Carta o digital, il fascino del giornale non ha età

Ragazzo che legge il giornale di Piero Gauli.

di Antonio Errico

Alcuni giorni fa, mentre si parlava del più e del meno, ho chiesto ad una persona di poco più di vent’anni, se legge i giornali. Mi ha risposto che è chiaro che legge i giornali, certi giorni più di uno, certi giorni anche tre, che legge anche i giornali in inglese. Allora ho detto che non mi sono mai accorto, che non l’ho mai vista con un giornale fra le mani. Mi ha guardato e ha sorriso. Dalla tasca posteriore dei pantaloni ha preso il suo smartphone e me lo ha fatto ruotare sotto gli occhi alternando il senso orario e antiorario, e domandandomi con un tono di scherno affettuoso se riuscivo ad immaginare che cosa fosse quell’oggetto strano. Io i giornali li leggo su questo, online, mi ha detto.

Due universi lontani.

Ho un ricordo. Quando frequentavo l’università a Lecce, l’ora più bella della mattina era intorno alle dieci. A quell’ora, nella sala della biblioteca, arrivava un bibliotecario che lasciava sopra il tavolo tutti i giornali locali e nazionali. Ogni mattina, a quell’ora, era una festa.

Quando poi andai militare, per un po’ di tempo non riuscivo a spiegarmi per quale ragione intorno alle dieci di mattina, mi prendesse una specie di frenesia, un’inquietudine. Dopo alcuni giorni capii. A quell’ora mi mancava la lettura dei giornali. Mi mancava sfogliarne le pagine.

Adesso chi vuole leggere i giornali, può farlo in qualsiasi momento della giornata. Ce li ha tutti in quell’oggetto che la persona di vent’anni mi girava davanti agli occhi in senso orario e antiorario.

Io non riesco a leggerli così. Vado in edicola ogni mattina, intorno alle sette e mezzo. I giornali devono essere di carta.

Due universi lontani. Oppure, forse apparentemente lontani. Perché, probabilmente, il senso non cambia. Perché, probabilmente, non importa se i giornali li leggi sulla carta o su uno smartphone. Quello che conta è che tu li legga.

Si diceva una volta, e si dice ancora, che i giornali sono una finestra sul mondo. Probabilmente una volta era vero. Probabilmente ora non lo è più. I giornali non sono una finestra sul mondo. Sono, invece, un attraversamento del mondo. Ogni giorno ti fanno essere lì dove accadono le storie. Se leggi, sei dentro quelle storie. Le parole – la scrittura- ti danno la possibilità della compenetrazione, della relazione che a volte può diventare anche identificazione. Il giornale ti fa tornare su una descrizione, ti fa riflettere, ti consente la possibilità di una interlocuzione con il pensiero di chi ha scritto un reportage, una cronaca, una riflessione, un commento, un’opinione. E’ un confronto – a volte anche un corpo a corpo – tra pensieri, visioni del mondo, interpretazioni.

Non saprei dire se fra qualche tempo ci sarà una condizione che permetterà la stessa possibilità dialettica. Per ora non c’è. Per ora c’è soltanto il giornale. La parola scritta. L’immagine è tutta un’altra cosa. Forse può avere anche un impatto più forte, un coinvolgimento più forte dell’emozione. Ma la profondità concettuale appartiene al giornale.

Un attraversamento del mondo. Un essere lì, dove accadono le storie. Ci sono racconti, resoconti, narrazioni particolari o generali che aprono orizzonti semantici, che permettono le decifrazioni di codici storici, geografici, antropologici.

Alla persona che ha poco più di vent’anni dicevo: va bene, ma io posso strappare le pagine, conservarle, rileggerle. La persona mi rispondeva: anch’io posso salvare quello che voglio in un file, conservarlo, rileggerlo, ci metto anche meno tempo, occupo anche meno spazio.

Forse aveva ragione anche se io non ammettevo che avesse ragione.

Perché avevo il ricordo delle mattine in cui il bibliotecario dell’università metteva sul tavolo tutti i giornali, e io per qualche ora lasciavo da parte i libri che servivano per l’esame. Perché avevo il ricordo di quando nella fureria di una compagnia della caserma Nacci, sulla via per Monteroni, mi prendeva quell’inquietudine, quella frenesia, e trovavo i modi per uscire a comprare i giornali oppure chiedevo di comprarmeli a qualcuno che usciva. Perché avevo il ricordo di quelle mattine di guardia a Fondone che dovevo farmi venire la rassegnazione.

Due universi lontani. Oppure no. Chi può sapere se domani o domani l’altro non ci sarà un modo diverso di leggere i giornali rispetto a quello dello smartphone. Ma l’importante sarà leggerli, ancora. L’importante sarà farsi un trabiccolo con cui poter attraversare il mondo ogni mattina, per scoprire che cosa accade vicino a noi e lontano da noi, in quel lontano che si fa sempre più vicino.

Vengono tempi in cui la necessità di leggere i giornali è più forte rispetto a quella di altri tempi. Questo tempo, per esempio. Questo è un tempo in cui la necessità di leggere i giornali è diventata più forte. Perché è un tempo in cui le false verità diventano quasi costume, che non ha più nessuna selezione delle opinioni; è un tempo in cui la funzione dei social è esagerata, esasperata, si è fatta invasione; è un tempo di chiacchiericcio spacciato per notizia, di piedi pestati nelle pozzanghere delle chat. Siamo diventati tutti maestri di pensiero, finalmente affrancati da qualsiasi intermediazione. Questo è un tempo in cui il sacrosanto libero pensiero si è confuso con l’illazione senza scrupoli.

Allora abbiamo bisogno di giornali che ripristino gli equilibri, che consentano di analizzare, comparare, approfondire, criticare, contraddire.

Ha poco più di vent’anni e legge i giornali. In modo diverso da come li leggo io, da come li leggono molti di voi, probabilmente. Ma l’importante è che attraversi il mondo e che di esso elabori una pluralità di visioni, di idee, di cognizioni. L’’importante è che faccia esperienza del suo tempo attraverso i fatti e le storie che lo rappresentano.

Certo, non riesce a capire per quale ragione io debba andare in edicola, strappare le pagine per conservarle e poi perderle, non riesce a capire perché insomma non uso quello strumento che rende tutto più facile e ti fa avere tutti i giornali che vuoi.

Però io capisco che ho un ricordo. Anche questa persona, quando passeranno gli anni, avrà un ricordo e forse continuerà a leggere i giornali allo stesso modo in cui li legge adesso. Anche se ci sarà un modo diverso, più rapido, più comodo. Forse a decidere sarà ancora il ricordo.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 16 dicembre 2018]

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