Le Nazioni Unite hanno lanciato la Decade degli Oceani (2021-2030); la Decade che sta per finire è dedicata alla biodiversità. Studio biodiversità marina e quindi entrambe le decadi pongono le mie ricerche al primo posto tra le priorità scientifiche identificate dalle Nazioni Unite. Papa Francesco ha scritto un’Enciclica sulla biodiversità e gli ecosistemi. Le trasmissioni televisive dedicate alla natura sono una moltitudine. Questa grande attenzione dovrebbe generare una comune volontà di preservare il capitale naturale, sia terrestre sia marino. Queste posizioni, però, sono percepite come estetiche, di intrattenimento, non sono veicolate come “scienza”. Quanta ecologia c’è nei percorsi scolastici? Zero. Quanta ecologia c’è nei programmi politici? Nessuna, tutti propongono la crescita del capitale economico e non considerano la decrescita del capitale naturale. Ci sono le Conferenze delle Parti, come quella appena conclusa in Polonia, si riconoscono priorità, emergenze, si dice che non possiamo più aspettare, e poi tutto resta come prima. La sostenibilità viene perseguita solo se è un buon affare. Le case produttrici di auto elettriche si fregano le mani, ora. Nonostante tutte queste dichiarazioni che vedono sempre al primo posto la natura intesa come biodiversità ed ecosistemi, se si parla di scienza ci sono matematica e fisica. L’astrofisico Stephen Hawking propose la colonizzazione di altri pianeti come soluzione alla distruzione della Terra, e nessuno gli diede del matto, anzi: ora stiamo cercando esopianeti e programmiamo colonizzazioni extraterrestri. Biodiversità e oceani non sono al primo posto nelle agende, e neppure al secondo. La dimostrazione è che non esistono istituti nazionali o internazionali dedicati a biodiversità e oceani, come avviene per lo spazio e le particelle. Non esiste una strategia di ricerca, una visione politica che identifichi le priorità a cui dedicare attenzioni. Di chi è la colpa? Da membro della comunità scientifica mi sento di dire che la colpa è nostra. Chiedete a cento scienziati marini quali siano le priorità per le scienze marine e avrete cento risposte differenti, ognuna focalizzata su un aspetto particolare. Fate la stessa domanda ai fisici: sono compatti su due o tre argomenti. A chi dare ascolto? Ovviamente a chi presenta visioni concordi, a chi identifica priorità condivise. Abbiamo qualche giustificazione per questa mancanza di uniformità delle proposte. Non esiste nulla di più complesso del fenomeno vita, nell’universo conosciuto: non si può ridurre tale complessità a poche semplici domande, e questo è il nostro problema: troppe domande, e troppo complesse. I livelli di complessità aumentano vertiginosamente quando si passa dalle particelle elementari alla materia vivente. Siamo tutti d’accordo nel sostenere la ricerca medica, ovviamente, e anche in questo caso ci sono le priorità, dettate dal tenore di vita degli ammalati. La malaria colpisce i poveri, mentre il cancro è una malattia da ricchi e, ovviamente, la ricerca sul cancro è molto più finanziata rispetto a quella sulla malaria. In generale, però, la ricerca medica è considerata una priorità assoluta. Poniamoci la domanda: possono esistere umani sani in un ambiente malato? Oppure: potremmo esistere senza gli oceani, senza il resto della biodiversità, di cui siamo il prodotto? Chi cerca la vita su altri pianeti (spendendo enormi quantità di denaro pubblico) è costantemente alla ricerca di acqua come presupposto alla presenza di forme di vita. Lo è anche su questo pianeta, ma abbiamo mappato la superficie della luna e di Marte con maggiore accuratezza di quanto abbiamo mappato il fondo degli oceani. Per non parlare di quel che vive nell’enorme massa liquida che tiene in vita il pianeta (e noi). Noi “scienziati” dovremmo riuscire a comunicare questi concetti, ma se parlo di mare vengono in mente le tartarughe e i delfini (oggetti concreti), se parlo di bosoni e buchi neri no, e questo già intimidisce. La tartaruga e il delfino sono visti come qualcosa di carino ma di non molto serio da un punto di vista scientifico. Vuoi mettere i bosoni? O i buchi neri? Gli animali più importanti della biosfera sono i copepodi, e nessuno li conosce: siamo fermi a tartarughe e delfini. L’ho detto durante la preparazione di una trasmissione televisiva e la redazione ha subito cercato una foto di un copepode per mostrarla durante la mia dichiarazione. Non ho avuto tempo di controllare: hanno mostrato la foto di un rotifero. La cosa grave, comunque, è che sia i rotiferi sia i copepodi siano totalmente sconosciuti, anche se ecologicamente sono enormemente più importanti di tartarughe e delfini. Nella decade della biodiversità non siamo riusciti neppure a far capire chi svolga i ruoli più importanti nel far funzionare gli ecosistemi che ci sostengono, e a far inserire queste informazioni nei percorsi di formazione istituzionali, nelle scuole. Temo che falliremo anche con gli oceani. Ho fatto una serie di conferenze nei licei pugliesi e siciliani, ho visto complessivamente più di mille studenti alle soglie dell’esame di maturità e ho fatto domande elementari sulla storia naturale. Domande semplici. Nessuno è stato in grado di rispondere per il semplice fatto che la natura non fa parte della nostra cultura e non fa parte dei programmi di istruzione. Come si fa a rispettare quello che non si conosce? La “terza” missione di chi opera nell’università, oltre a produrre conoscenza attraverso la scienza e a trasmetterla a chi segue i corsi universitari, è di condividere queste conoscenze con il resto della comunità in modo da aumentare la cultura diffusa e la consapevolezza dell’importanza della scienza. Per il momento non abbiamo aumentato questa consapevolezza, abbiamo solo divertito il pubblico con tartarughe e delfini, ma nessuno è in grado di spiegare come funziona un ecosistema. Non è un dettaglio insignificante: senza gli ecosistemi siamo morti. Dobbiamo sforzarci di più perché, in democrazia, la maggioranza deve essere consapevole delle priorità su cui investire e, ovviamente, la maggioranza non è consapevole dell’importanza dell’ambiente per la nostra sopravvivenza.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di Martedì 18 Dicembre 2018]