di Antonio Errico
“Tutto, amici miei, dipende dal caso”. Comincia con questa frase un racconto che sta in un piccolo libro di 86 pagine di Ottavio Cecchi intitolato “L’ornitologo”.
Forse è davvero così: dipende tutto dal caso. Forse tutto quello che accade dal primo all’ultimo istante dell’esistenza. Forse, o certamente, anche la stessa esistenza dipende dal caso. La storia di ciascuno, la Storia di tutti, le strade che intraprendiamo, quelle che abbandoniamo, le esperienze che ci coinvolgono, le conoscenze conquistate, gli amici e quegli altri che non lo sono, gli amori e i disamori, dipendono dal caso.
Anche una scoperta di scienza molto spesso dipende dal caso. Non esiste alcun progetto, nessuna meticolosa programmazione che non possa essere contaminata dal caso. Quando sembra che ogni elemento e ogni meccanismo e ogni procedura siano sottoposti a verifiche e controlli rigorosi che vengono definiti infallibili, s’intromette l’imprevisto, l’avvenimento fortuito che scombina le carte, rimette in discussione le cognizioni acquisite, contamina le certezze, le stravolge, introduce condizioni e principi inattesi, insospettati, impone direzioni diverse, delinea orizzonti inimmaginati.
C’è chi alla parola caso associa i termini di destino, fortuna, sorte, fatalità, fato. Ciascuno di questi termini si compone di stratificazioni semantiche, ideologiche, mitologiche, filosofiche, psicologiche, implica fedi e tradizioni. Ma nessuno di essi, forse, ha lo stesso senso del caso.
Il caso è qualcosa di completamente diverso. Anche il caso ritrova connessioni con la filosofia o la fisica, per esempio. Ma nella percezione, nel sentimento e nella ragione comune, è completamente diverso, si propone in una dimensione quotidiana, naturale. E’ un parola umile; ha una fisionomia anonima. E’ indifferente a tutto, a tutti. E’ soltanto un caso. Destino, fortuna, sorte, fatalità, fato, richiedono un impegno di pensiero, in qualche circostanza fanno anche paura. Il caso, invece, sembra addirittura che deresponsabilizzi. Così diciamo che è stato un caso: noi non abbiamo né merito né colpa. E’ successo per caso. Prendetevela col caso. Diciamo: salvo casi imprevisti. Molto spesso non facciamo nemmeno caso al caso.
Eppure tutto, amici miei, dipende dal caso, dice il personaggio di Cecchi.
Si dice che l’universo sia nato per caso. Però, rispetto a questo particolare, con il privilegio che viene dalla totale incompetenza mi permetto di dubitare. La straordinarietà della natura, dei suoi fenomeni, la loro perfezione, il sorgere della luna e il tramontare del sole e poi il sorgere del sole e il tramontare della luna, e quell’ora in cui sole e luna si ritrovano di fronte, e poi l’alta e la bassa marea, non possono essere nati dal caso. Non possono nascere dal caso le funzioni del corpo umano, l’avvicendarsi delle stagioni, l’equilibrio e lo squilibrio di certe manifestazioni della terra, del mare, del cielo. Lo dicono gli scienziati che l’universo appartiene quasi del tutto ancora al mistero. Conosciamo appena il cinque per cento, dicono. Il resto si scoprirà. Forse.
Se questo è vero, può anche essere lecito dubitare che l’universo sia nato dal caso. A meno che al caso non si attribuiscano i poteri di un Dio. A meno che non sia stato il caso, una volta, a dire sia fatta la luce e sia fatto il buio, le acque, il firmamento, i rettili, le fiere, sia fatto l’uomo a mia immagine e somiglianza.
Si può chiamare Dio in innumerevoli modi, e uno degli innumerevoli modi è il nome di caso.
Tutto, amici miei, dipende dal caso, dice il personaggio di Cecchi.
Tutto dipende da un’incognita, un mistero, da un’origine indecifrata, una causa sconosciuta, da una frattura nel rapporto tra la causa e l’effetto, da un trama così fitta da non poter essere penetrata, da un intreccio così complesso e complicato da non poter essere districato.
Avevo un libro, molto famoso e molto discusso, di Jacques Monod che s’intitola “Il caso e la necessità”, ma anni fa l’ho prestato e quindi anni fa l’ho perduto. Mentre cercavo in internet una modalità per ricomprarlo, per caso (potenza della rete, certe volte) l’ho trovato in pdf. Alle pagg. 95-96, Monod sostiene che le alterazioni del DNA sono accidentali, avvengono a caso. Siccome esse rappresentano la sola fonte possibile di modificazione del testo genetico, a sua volta unico depositario delle strutture ereditarie dell’organismo, ne consegue necessariamente che soltanto il caso è all’origine di ogni novità, di ogni creazione nella biosfera. Il caso puro, il solo caso, libertà assoluta ma cieca, alla radice stessa del prodigioso edificio dell’evoluzione: oggi questa nozione centrale della Biologia non è più un’ipotesi fra le molte possibili o perlomeno concepibili, ma è la sola concepibile in quanto è l’unica compatibile con la realtà quale ce la mostrano l’osservazione e l’esperienza.
Però forse non sarebbe assolutamente assurdo domandarsi se ci possa essere e come possa essere una realtà “altra” da quella con cui abbiamo una relazione attraverso l’osservazione e l’esperienza.
Dopo aver fatto la domanda superflua ed oziosa perché non esiste risposta che possa essere data dal pensiero, si deve necessariamente ritornare a quella realtà che ci viene proposta dall’osservazione e dall’esperienza.
In questa realtà ha ragione il personaggio di Ottavio Cecchi: tutto, amici miei, dipende dal caso.
Per rendersene conto, basta semplicemente farci caso. Osservare la nostra realtà e quella degli altri, valutare quante sono le cose che ogni giorno veramente decidiamo di fare e quante sono quelle che facciamo perché le decide il caso: certe volte cose importanti, di quelle che cambiano la vita, certe volte cose banali, che la lasciano esattamente com’è.
A volte può accadere che ci si domandi se esista una possibilità di negoziare le nostre determinazioni con le determinazioni del caso. Se può esistere una forma di compromesso, un patto, un’alleanza.
Così ci sforziamo di cercare una combinazione fra le nostre determinazioni e quello che appartiene allo spazio sconfinato del caso, a quello che definiamo l’imprevisto, l’imprevedibile, l’inaspettato.
Lo facciamo perché è giusto così, perché non possiamo rinunciare al tentativo ambizioso e doveroso di governare la nostra esistenza.
Ma di tanto in tanto ci viene in mente l’incipit di quel racconto: tutto, amici miei, dipende dal caso.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 18 novembre 2018]