Cosa resterà degli anni Ottanta?

di Paolo Vincenti

“Dentro o fuori la televisione?

meglio artefatto e volgare

o meglio coglione?

il risultato è il tuo cosmetico

efficacia ne ha tanta

se la mia pelle è nel 2000

e la tua è ancora anni ’80”

(“Non si esce vivi dagli anni Ottanta”-  Afterhours)

“Non si esce vivi dagli anni Ottanta” è anche il titolo di un libriccino di Omar Fantini (Mondadori), celebre comico di “Colorado Cafè”. L’assunto da cui partono gli Afterhours e Fantini non è certo un inno all’ottimismo ed è comunque smentito dal fatto che siamo ancora qui, “ancora in piedi”, come canterebbe Ligabue ( “Sopravvissuti ai ’60 ai ’70  e gli ’80 finiranno mai più?”), anzi seduti, e stiamo scrivendo, il che significa che da quegli anni noi almeno siamo usciti vivi.  Lo stesso non si può dire di alcuni miti dell’epoca, come i protagonisti dei telefilm di successo o della musica o delle mode di quegli anni.  Sentiamo sempre più spesso una sorta di revival in musica delle sonorità degli Ottanta, sperando che la moda del vintage e l’operazione nostalgia che è scoppiata non contemplino pure un ritorno all’abbigliamento di quegli anni, così luccicoso, appariscente  ma anche “cafonal” ( le spalline o il chiodo e le timberland no!) Qualche tempo fa, su Italia Uno davano una trasmissione intitolata “Meteore”(che aveva per sigla la bellissima “Starman” di David Bowe) , la quale andava a ripescare, dal mare profondo dell’oblio in cui erano precipitati, i protagonisti di un momento di successo, “morti di fama”, astri che appunto avevano brillato per un attimo nel cielo iridescente degli anni Ottanta e Novanta per poi spegnersi inevitabilmente. L’elemento di maggiore attrazione della trasmissione  era proprio vedere la faccia sconsolata e ormai inespressiva, a metà fra la catalessi e la paresi, di vecchie glorie musicali o dello spettacolo, di questi ex famosi, espulsi dallo star system, utilizzati e buttati via come preservativi usati,  cestinati come carta straccia, rigettati come organi non compatibili, scopati come deiezioni canine, i quali erano chiamati a ripercorrere i loro successi e anche ad esibirsi ripetendo esattamente i gesti e le movenze di allora. Ecco dunque, in ordine sparso, tanti vagotonici Alberto Camerini, Sandy Marton, Gazebo, Fiorella Pierobon, Susanna Messaggio, Roberto il Baffo, Marco Predolin, Corrado Tedeschi, sfilare in quel “funeral party”, quasi cadaveri riesumati dai loro sepolcri, e i conduttori necrofori divertirsi sadicamente, camuffando un ghigno satanico e beffardo con espressioni logore e affettate di complimenti e stima.

Ci sono alcuni telefilm trasmessi in quegli anni che fanno parte del nostro patrimonio collettivo, sedimentati nella memoria, tanto cari sono al nostro ricordo. Che ne dite de “L’incredibile Hulk?”.  Il mostro verde creato dalla Marvel era interpretato da un muscoloso Lou Ferrigno, ma di veramente “incredibile” nella sua trasformazione c’era il fatto che le camicie e le scarpe dell’esile Dottor Banner nella trasformazione si laceravano per l’aumento di taglia, mentre i pantaloni restavano al loro posto, anzi, per assurdo, si rompevano dove meno ciò può accadere, nella parte inferiore della gamba, e restavano intatti sulle anche, là dove invece i calzoni sono più sensibili al cedimento. L’ alter ego umano di Hulk, il mingherlino Bruce Banner, era interpretato da Bill Bixby, che è scomparso prematuramente nel 1993.

Ricordate “Il mio amico Arnold?”. Io ne andavo pazzo.  Lo seguivo fin dalla prima serie italiana, quando ancora si intitolava “Harlem contro Manhattan”. Con i protagonisti di quella zuccherosa serie, la sorte però è stata molto amara. A cominciare dalla star della trasmissione, Arnold. L’attore Gary Coleman, affetto da una grave forma di nanismo e in dialisi a seguito del trapianto dei reni, era un personaggio spigoloso, arrestato due volte per violenze, morto nel 2010 a 42 anni. Todd Bridges, che interpretava il fratello Willis, ha avuto una giovinezza difficile, abuso di alcol e droghe, oggi si è ripulito e ha messo su famiglia. Anche con Dana Plato, l’attrice che interpretava la sorellastra di Arnold e Willis, l’angelica Kimberly, la sorte è stata cattiva. Interprete di film porno, schiava dell’alcol e della droga, arrestata per rapina a mano armata, è morta di overdose a 35 anni. Stessa sorte toccata al figlio, avuto in giovane età: eroinomane, è morto suicida a 25 anni, sparandosi un colpo di fucile in testa, quasi undici dopo la morte della madre. L’unico attore ad essere deceduto di morte naturale è stato Conrad Bain che interpretava il magnanimo papà, signor Drummond.  E che dire de “I Chips?” Bellissima, la serie, con protagonisti i due poliziotti motociclisti Frank Poncherello e Jhon Baker. Gli attori che li interpretavano, l’ispano Erik Estrada e lo statunitense Larry Wilcox, hanno ottenuto piccole parti dopo il grande successo del telefilm, ma poi sono stati dimenticati dalla tv e dal cinema ed oggi non lavorano più, salvo reality show e spot pubblicitari per Estrada. Ma anche i cartoni animati di quegli anni occupano un posto importante nel data file della nostra memoria: Sampei, Goldrake, Mazinga Z, Geeg Robot, Candy Candy, I Puffi, Lady Oscar, Jenny la tennista, Rocky Joe, e chi più ne ha più ne metta. E il “dolce Remi”? “La tristezza fatta a cartone” scrive Omar Fantini, “se c’era una sfiga nel raggio di quattro chilometri, beccava lui”. A proposito di Remì, qualche tempo fa ho ascoltato su Virgin Radio, di cui è uno dei principali speaker, Fabrizio Vidale, la voce di Remì , il quale (oggi è un affermato attore) si intratteneva insieme a Francesco Pezzulli, altro celebre ex doppiatore di cartoni, proprio sulla loro pregressa esperienza nel doppiaggio, in particolare su quella del cartone “Holly e Benji” (Vidale era voce di Holly e Pezzulli di Benji). I due ironizzavano sulla celebre serie inglese dei “Teletubbies”, quella dei pupazzetti colorati Tinky WinkyDipsyLaa-Laa, e Po, che tanto successo hanno avuto anche in Italia, e sulla omosessualità occulta di Tinky Winky, già stimmatizzata da una parlamentare polacca del partito conservatore, per il fatto che egli è viola (il colore dell’orgoglio gay), ha un’antenna a forma di triangolo ed indossa una borsetta rossa, e dunque sulla presunta pericolosità del pupazzo per i piccoli spettatori a rischio traviamento (Ah, ah…!)

Che dire del mio personale rapporto con gli anni Ottanta? Il mio primo libro, “L’orologio a cucù (Good times)”, riportava in copertina, oltre alla foto di me bambino nella vecchia casa di famiglia, in ordine sparso, L’uomo Ragno, Artur “Fonzie” Fonzarelli, Paperino, Vasco Rossi, Francesco De Gregori e Sandokan, cioè buona parte dei miti televisivi e musicali della mia crescita. Quale miglior modo allora di concludere questo pezzo, se non con un vecchissimo testo tratto da quel libro, anche in tutta la sua ingenuità e leggerezza? Beccatevelo!

“Andando per viali di campagna, in un pomeriggio d’ottobre, annusando l’aria dell’autunno, i colori, le foglie, la tristezza, le luci che si accendono piano e l’imbrunire che mi ricorda Casarano, quella voglia di tornare a casa ed attaccarmi alla televisione: Le previsioni del tempo, Almanacco del giorno dopo e il Telegiornale, per poi, finalmente, sognare, sognare, sognare, di imbarcarmi anch’io, con i tigrotti di Monpracen, al grido di “Sandokan!”, o di partire con lo zio Zeb, alla conquista del West. Poi, attraverso tutti i gironi infernali, uscire infine a riveder le stelle. E Luna passava, Luna mi guardava e sorrideva, ma non capiva…  E mentre gli anni passavano, Bo e Luke correvano sulle strade di Hazzard, Marx ed Engels scrivevano il loro Manifesto e gli operai non avevano ancora trovato un pretesto per scioperare e cantare; il Capitano Kirk chiedeva le coordinate al Signor Scott ed io le chiedevo a Gianni. E Luna passava, Luna mi guardava e sorrideva, ma non capiva…Ed io scrivevo e freneticamente scrivevo… E mentre gli anni passavano, Sonny Crockett e Rico Tubbs correvano sulle strade di Miami; fra una partita di calcetto e dieci vasche in piscina, io e Gianni cantavamo: voglio una vita spericolata, voglio una vita come quella dei film…”.

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