Se l’uomo è un animale…: scienza e natura in Ferdinando Boero

di Gianluca Virgilio

Natura – Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra?

Giacomo Leopardi, Dialogo della Natura e di un Islandese.

Ferdinando Boero, biologo marino e docente di Zoologia presso l’Università del Salento, ha appena pubblicato il suo quarto libro divulgativo dal simpatico titolo Ecco perché i cani fanno la pipì sulle ruote delle macchine, con sottotitolo orientativo L’uomo e il suo rapporto con gli altri animali e le leggi della natura (Manni, San Cesario di Lecce 2018). I lettori devono essergliene grati perché non tutti gli studiosi iperspecialisti impiegano il loro tempo per venire incontro al desiderio di conoscenza di chi ha fatto altri studi. Boero da molti anni ha affiancato alla sua produzione scientifica quella di libri divulgativi, che si leggono con piacere (ne ricordo i titoli: Ecologia della bellezza (Besa 2006), Ecologia ed evoluzione della religione (Besa 2008), Economia senza natura. La grande truffa (Codice 2012), che a suo tempo ho recensito su queste colonne). Inoltre, interviene spesso sui quotidiani nazionali e locali, “La stampa”, “Il secolo XIX”, “Nuovo Quotidiano di Puglia”, con articoli che ripubblico in www.iuncturae.eu per gentile concessione dell’autore (che qui pubblicamente ringrazio).

Per descrivere la struttura del libro, non trovo nulla di meglio che dare la parola al suo autore, che nella Conclusione scrive: “Ho iniziato a scrivere questo libro pensando di trattare il nostro rapporto con gli animali domestici. Soprattutto quelli che ci tengono compagnia. Poi ho allargato la gamma degli animali e sono passato a considerare tutti quelli con cui abbiamo qualche relazione e, ovviamente, sono arrivato a parlare praticamente di tutta la biosfera. E quindi sono passato da una serie di gustosi aneddoti a una “visione del mondo” .” (p. 237). Questo, dunque, è il contenuto dell’opera. Ma quel che ci importa soprattutto è individuare e descrivere il particolare approccio dell’autore alla materia trattata.

Boero è uno scienziato, convinto evoluzionista (Charles Darwin è “il più grande pensatore di tutti i tempi” p. 212), e dunque crede fermamente che “la scienza ci deve insegnare come funziona il mondo e ci deve fornire conoscenze a partire dalle informazioni che accumuliamo, e la conoscenza deve tradursi in saggezza. Così da permetterci di amministrare il mondo in modo adeguato, utilizzando la scienza per produrre tecnologie che contribuiscano all’armonia della natura” (p. 213). Questo è il programma ispiratore dello scienziato, che lo spinge a studiare e a scrivere e divulgare il sapere, e, se fosse possibile, anche ad agire nella realtà delle cose, per cambiarla, per migliorarla. Ma dal momento che nella nostra società lo scienziato è relegato nei laboratori e al massimo la sua voce di esperto riecheggia dalle pagine dei giornali quando ormai è troppo tardi, cioè quando qualche catastrofe naturale sconvolge la vita degli uomini, ecco che non rimane altro che constatare come assai raramente la conoscenza si traduca in saggezza, mentre il proposito di “amministrare il mondo in modo adeguato” rimane spesso un intento encomiabile quanto utopico, se non proprio lettera morta.

Ma lo scienziato non può non credere nell’utilità della scienza, poiché la scienza è la sua professione e la sua fede. Di qui deriva che la voce di Boero ha il timbro d’una vox clamantis in deserto, e così essa da molti anni risuona, ammonitrice e persuasiva, per avvertire gli uomini della evitabile catastrofe. Boero formula leggi incontrovertibili (c’è un limite allo sfruttamento delle risorse naturali, non si può crescere all’infinito, ecc.; le si legga alle pp. 217-221, dove sono esposte in modo sistematico) per dire in definitiva che nella scienza possiamo rinvenire una possibilità di salvezza, poiché solo la scienza, come s’è detto, può “produrre tecnologie che contribuiscano all’armonia della natura”. La bestia nera di Boero sono gli economisti, in particolare quelli – e sono la maggior parte – che non parlano d’altro che di crescita, come se fosse possibile una crescita infinita in un sistema finito.

Ora, leggendo questo libro, mi sono chiesto: il proposito di “amministrare il mondo” per farne una casa confortevole e sicura per l’umanità non è forse il risultato del nostro inguaribile antropocentrismo, che ci ha spinto a distruggere tutto quello che ritenevamo inutile o dannoso alla nostra interminabile crescita? E ancora: è proprio vero che la natura preveda per sé uno stato armonico che la tecnologia umana potrebbe rafforzare; o non è forse vero, al contrario, che la natura (compreso l’uomo che ne è parte integrante: “vi svelo un segreto: l’uomo è un animale” scrive Boero ironicamente a p. 51) è di per sé disarmonica e che la tecnologia ha in sé questa disarmonia, essendo essa un prodotto del tutto naturale dell’animale-uomo?

Sono tutte domande che sottintendono una sorta di adesione (mia) al pessimismo leopardiano, quello cosmico s’intende, e che ben poco hanno a che vedere con lo spirito sostanzialmente, forzatamente ottimistico del libro. Per Boero l’uomo è ancora in tempo per salvarsi, sempre che sappia ascoltare i consigli della scienza e tradurli in comportamenti ragionevoli. E siccome non ho intenzione di angustiare il lettore con pensieri catastrofici, e neppure Boero ha mai questa intenzione, penso agli aneddoti gustosi e agli esempi dilettevoli di cui è ricco il suo lavoro: la storia del coniglietto che gli ha distrutto la casa (p. 97) o quella del significato del comandamento “Non fornicare” (ovvero non superare le barriere tra le specie) e della capretta tibetana dello zio Carletto (pp. 106-110), giusto per fare qualche esempio simpatico, per il quale si rimanda il lettore al testo.

Ma si leggano anche le pagine in cui l’autore stigmatizza l’”egocentrismo antropomorfico” che spesso caratterizza il nostro rapporto con gli animali: “ci mettiamo al centro di tutto” scrive Boero, “e… ci piace solo quello che ci assomiglia, quello in cui ci possiamo specchiare” (p. 10); o le pagine in cui descrive e talvolta prende in giro le diverse tipologie di proprietari di cani (pp. 65-73). Quanto ai proprietari dei gatti, sentite cosa scrive: “Chi è posseduto da un gatto perde la propria autonomia ed è costretto a vivere in funzione della bestiola. E’ una forma di castrazione psicologica che compensa almeno in parte il taglio dei testicoli del gatto. Queste persone hanno di solito un solo argomento di conversazione: il gatto. Vi raccontano le sue imprese, vi fanno vedere le foto, si lamentano dei problemi, ma sotto sotto ci dicono che ne vale la pena. Proprio come fanno i genitori di figli umani. Ed è una malattia che non passa” (pp. 83-84). Quanti di noi non hanno fatto esperienza diretta o indiretta di questa malattia?

Non ho più spazio per dire la ricchezza di libro. Del resto, una recensione non deve dire tutto, ma solo fornire un assaggio di quanto si potrà apprendere leggendo l’intero libro. Per questo motivo, in conclusione, non svelerò al lettore il motivo per il quale i cani fanno la pipì sulle ruote delle macchine. Ma certamente è una cosa che ci riguarda molto da vicino.

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