di Augusto Benemeglio
Lungo la strada Gallipoli-Leuca, mi fermo tra “i mmunatori” degli ulivi di Presicce e Acquarica del Capo, che trasformano un giovane ulivo in un ampio calice traslucente, con le loro memorabili rimonde eseguite a “pizzu te forfice”, e poi dopo aver racimolato una giornata di lavoro vanno tutti a bere “mieru” nel profumo di aranci selvatici. Ed eccomi al Ciolo, a due chilometri da Leuca verso Tricase, che declina lentamente dalla Serra del Cianci, guardo uno spettacolare salto di 40 metri, un profondo canyon scavato nel corso dei millenni dalle acque meteoritiche, un passaggio sommerso che immette in un laghetto sotterraneo d’acqua salmastra, una galleria subacquea sotto il ponte delle gazze dov’era l’ultima foca monaca dell’Adriatico, osservo le “ spundulate”, doline di crollo, e mi fermo a fotografare l’asfodelo mediterraneo, dai petali bianchi rapiti dal verde, il fiore sacro dei morti, e le rare piante che crescono spontanee sulle sponde di un territorio dove nacquero le vicende del mito, in un paesaggio che ricorda l’antica Grecia, coi suoi tratturi, balze, scogliere a picco sul mare, anfratti che si aprono tra le rocce e tra le pietre dei muretti a secco. Chiedo dove sia il succhia miele, che non è un “Campanellino di Peter Pan al vento” , ma un biancospino che ti ronza nelle orecchie, fiori di campo, fiori pazzi che hanno la grazia abbandonata e selvatica, ma anche la salsa pariglia infestante che fa buttar sangue al contadino, però cura l’influenza, i reumatismi e gli eczemi. Da lì vado a Patù, dov’è il monumento funerario detto “Centopetre”, realizzato con monoliti di Vereto, antica città messapica, poi scendo alla Marina di Torre Vado, e se nel cammino mi dovesse apparire Cristo con gli apostoli non mi sorprenderei più di tanto. Qui, in quest’atmosfera senza tempo, si può ricreare in qualsiasi momento il quadro evangelico di una regione folgorante come una visione tenera, come una preghiera che avevi nel cuore da sempre e te ne eri dimenticato, o ti vergognavi di tirar fuori. Ci sono ulivi e fichi con tramonti di sangue, e il terreno brullo tra case bianche e arabeggianti, un orticello, e quel filo azzurro che era il mare, uva dolcissima e pomodori piccoli, la campagna silenziosa, mistica e misteriosa: c’è la dimensione esatta dell’Eden.