di Luigi Scorrano
Con l’abitudine di leggere a sbalzi, non si coglie molto dell’insieme ma può capitare di ri-trovare qualcosa che avevamo perduto in letture anteriori. Proviamone una: La tempesta di W. Shakespeare, primo atto scena prima, atto primo scena seconda.
Appunto: seconda. Il padre di Miranda, il mago Prospero ha suscitato una tempesta che ha travolto nelle onde una splendida nave che aveva a bordo nobili esseri umani. Miranda ricorda quella tragedia, le grida disperate di chi era a bordo e non poter sottrarsi alla morte. “Oh, quelle grida mi colpirono profondamente il cuore! Povere creature perite miseramente. Se avessi avuto il potere di un dio, avrei affondato il mare dentro la terra, prima che esso inghiottisse la bella nave e tutto il suo carico di esseri umani”. Ciò che Miranda ha visto era opera d’incanti operata da Prospero a favore della figlia come si vedrà nello svolgimento del dramma shakespeariano. Qui abbiamo ritagliato, ovviamente compiendo uno strappo nel tessuto compatto di uno dei lavori più celebrati del drammaturgo inglese, per isolare quelle parole di Miranda che rispecchiano una situazione moderna, un’immagine dei tempi nostri adattata a una situazione che è sotto i nostri occhi e che ci si presenta non incasellata nella poesia di una favola drammatica ma vissuta da migliaia di persone in fuga dai loro paesi d’origine sulla ricerca di migliori situazioni di vita e tese, assai spesso, a conservare il bene primario dell’esistenza. I fuggitivi che di notte riempiono un gommone di disperazione non sono molto dissimili dal carico di carne umana destinata a fare spesso la fine delle persone imbarcate sulla nave di Prospero e attese dal destino al varco nel quale un evento spesso prevedibile ha fissato il luogo del loro appuntamento ultimo con la vita e il mondo. C’è qualche differenza tra i due carichi di persone partiti da remote oscure rive, rivolti ad approdi incerti o non mai raggiunti. Sono situazioni diverse ma con molte affinità di svolgimento delle tante storie delle quali ognuno porta il peso. Vicende individuali s’intrecciano dolorosamente con vicende comuni; quando si muove e si mette in cammino verso destinazioni oscure, oscure sono le motivazioni della fuga dalla propria terra, dai propri affetti. Ciò che angoscia i personaggi di Shakespeare e i pensieri di tutte quelle persone (salvo alcune che sono riuscite a raggiungere una riva) perite nelle acque sognate come una possibilità di salvezza. La morte è, per quegli uomini, la smentita di ogni attesa messa a dimora nei giardini della speranza.
Contrasta nelle due situazioni poste a fronte la bellezza del manufatto ben realizzato che dovrebbe garantire la sicurezza dei viaggi e la vicenda tragica dei morti in mare. La nave di Prospero fa barcollare la fiducia nella tecnologia: questa, come un Titanic (se ne ricorda qualcuno?), cala a picco in un gelido mare notturno. Miranda dice che, fosse stato in suo potere, avrebbe affondato la terra come un mare/nave in bottiglia prima che si verificasse il disgraziato evento. Ma qui il dolore di Miranda, il suo compianto sulle vicende misteriose tessute dal destino, si fa fiabesco e riconsegna al mondo della favola la bella storia che il drammaturgo inglese suggellò – ma in altra sede – con la persuasione che “tutto è bene quel che finisce bene”.