di Gianluca Virgilio
Due minuti dopo il suono della campanella che segnala la fine delle lezioni, alle 13.17, ogni giorno, nei pressi della mia scuola, succede qualcosa di straordinario. Gli studenti e i professori si sono già preparati allo scatto. Il tempo per gli uni di riporre l’ultimo libro nello zaino, per gli altri quello di chiudere a chiave il cassetto in sala professori, e poi via, tutti fuori, all’aria aperta.
Fuori, nel piazzale della scuola, già da qualche minuto alcuni genitori, col motore acceso, sono pronti ad accogliere nelle auto la prole studiosa, e ripartire subito, prima che il traffico aumenti; altri, più accorti, hanno parcheggiato l’auto cento metri più avanti, assicurandosi una veloce via di fuga. All’uscita di scuola, difatti, tutto il piazzale appare bloccato, almeno per qualche minuto, mentre il vigile di turno si dà da fare, con alterna fortuna, per ripristinare la circolazione. La maggior parte degli studenti s’incammina a passo spedito in una lunga e scomposta fila indiana, alcuni sul marciapiede, altri ai margini della strada, lasciando tutt’intorno una densa scia di fumo da tabacco (ma è solo tabacco?) che si mescola con il biossido di carbonio delle auto e rende l’aria irrespirabile. La lunga fila si dirige verso la fermata degli autobus e verso il centro cittadino non molto distante. Dopo aver percorso cento metri, i primi della fila, i più veloci, sono giunti nei pressi del semaforo che disciplina il passaggio delle auto e dei pedoni del quadrivio.
Ora, si sa che due sono i colori del semaforo: il rosso, e bisogna fermarsi, e il verde, e bisogna passare; con l’aggiunta del giallo, che consiglia di affrettarsi a passare o di fermarsi. Ebbene, ogni giorno, alle ore 13.17, all’uscita di scuola, nei pressi di questo semaforo accade qualcosa di strabiliante, uno stravolgimento del codice della strada che ha dell’incredibile.
Il semaforo dei pedoni segna il rosso? Bene, i pedoni continuano la marcia come se niente fosse, con gli zaini pesanti che incurvano un po’ le loro schiene, fumando e ridendo e chiacchierando senza sosta, senza curarsi minimamente di chi dall’altra parte della strada avrebbe il diritto di passare col verde. Infatti, dall’altra parte, la lunga colonna di auto rimane ferma: qualcuno accelera e frena per incutere un po’ di timore agli studenti, qualcun altro suona il clacson, qualcuno impreca, qualche studente in scooter fa lo slalom tra i pedoni cercando di passare comunque, finché, a furia di premere, la prima auto della colonna riesce ad aprire la pista, forzando la barriera umana, e così passa. Sì, passa, ma passa col rosso, perché nel frattempo il semaforo ha continuato il suo lavoro meccanico, mentre i pedoni sono costretti a fermarsi pur avendo diritto a passare perché nel frattempo per loro è scattato il verde. Dalla parte degli automobilisti, passato col rosso il primo, l’automobilista che segue passa dietro di lui solo se è bravo, il che vuol dire: non ha fiducia nel rispetto delle regole e nella bontà innata dell’essere umano; ma per far questo non deve lasciare neanche un po’ di spazio al pedone, che è sempre pronto a infilarsi tra un’auto e l’altra; e così quello che sta dietro e gli altri ancora: passano col rosso tre, quattro, anche dieci auto. Se invece l’automobilista non è bravo, il che vuol dire: ha fiducia nel rispetto delle regole e nella bontà dell’essere umano, allora puoi star sicuro che troverà sempre uno studente-pedone più ardito degli altri che si getta davanti all’auto del fiducioso, costringendolo a frenare. Quando ciò accade, le acque si richiudono sull’esercito del faraone, ovvero la colonna di auto si blocca di nuovo e proprio quando potrebbe passare, perché nel frattempo è scattato il verde. Una volta passato uno studente e fermata la colonna d’auto, l’acqua riprende a scorrere più impetuosa di prima. La debolezza di uno è la fine per i molti automobilisti, insegnanti, studenti, genitori, residenti o semplici malcapitati: hanno il verde, eppure rimangono nuovamente bloccati a respirare l’aria fetida, suonando e imprecando, mentre i pedoni fluiscono incuranti del rosso, che impone loro di fermarsi, lanciando sguardi agli automobilisti che all’apparenza dicono: ma che vogliono questi?
La cosa si ripete per circa cinque minuti, cosicché un vigile, se fosse presente, non farebbe in tempo a rilevare il numero straordinario di infrazioni che vengono commesse e non gli rimarrebbe che mettersi le mani nei capelli.
Sapete, da buon automobilista, che non dimentica d’essere un insegnante appena messo il piede fuori della scuola, preso da frequenti eccessi di moralismo, un tempo mi arrabbiavo anch’io, vuoi per essere costretto a fermarmi col verde vuoi per essere costretto a passare col rosso. Come potevo accettare di dovermi trasformare – dopo cinque ore di lezione, dove si insegna il rispetto delle regole, e dunque per primi ci si impegna a rispettarle – in un automobilista indisciplinato?
Ma oggi non mi arrabbio più. Gli strombazzamenti, le imprecazioni, le infrazioni mi fanno pensare alla pura vita che si riprende i suoi diritti dopo cinque ore di costrizioni, all’anarchia che subentra all’esercizio del potere all’interno delle mura scolastiche, al senso di selvaggia libertà scevra di regole che tutti riacquistano all’aria aperta e che nessun semaforo potrebbe disciplinare; e infine mi fanno pregustare il tempo del riposo che mi accoglierà a casa… In fondo, mi dico, ho vissuto questa scena centinaia di volte e mai nessuno si è fatto male; è una scena assurda, lo so, ma dura solo cinque minuti. E allora, suvvia, Gianluca, un po’ di tolleranza…
(2014)