di Gigi Montonato
Il Risorgimento della Nazione non fu il Risorgimento del Mezzogiorno. Si potrebbe riassumere così l’esito dell’impegno profuso dai fratelli Liborio e Giuseppe Romano come emerge dal volume di Francesco Accogli Liborio e Giuseppe Romano. La nascita dello Stato italiano e la difesa del Mezzogiorno (Elezioni – Atti Parlamentari – Allegazioni giuridiche), Castiglione, Giorgiani, 2018, pp. 519. Una panoramica su una famiglia della borghesia agraria salentina nella seconda metà dell’800, con due zumate sui due fratelli, Liborio e Giuseppe, che vissero da protagonisti la transizione dal Regno delle Due Sicilie al Regno d’Italia e gli esordi della vita politica dello Stato unitario. Due personaggi di grande popolarità, poi come cancellati dalla memoria collettiva; ora riproposti all’attenzione di conterranei e studiosi.
Di carattere documentaristico-apologetico, è uno di quei libri che ambiscono a contenere tutto, a partire dalle notizie geografiche del paese natio del personaggio o personaggi biografati, della famiglia, delle vicende di vita, delle opere e dei giudizi variamente espressi e in tempi diversi, epigrafati in apertura di capitoli. 400 delle complessive pagine (i quattro quinti) sono dedicate ai documenti, atti parlamentari, allegazioni giuridiche, lettere.
Accogli non entra direttamente nella quaestio politica, lascia parlare fonti e testimonianze. Dà per scontato che nei confronti di Liborio Romano sono maldicenze e ingiustizie “storiche”, dal momento che Liborio ha patito da sempre sotto la monarchia borbonica per le sue idee liberali e nel Parlamento nazionale ha sempre difeso gli interessi del Sud; come del resto, e senza il peso delle gravi accuse di “tradimento” rivolte a lui, avrebbe fatto il fratello Giuseppe.
L’Autore si era occupato di Liborio Romano in un libro del 1996, Il personaggio Liborio Romano. Precisazioni bio-anagrafiche. Contributo all’epistolario. Uno studio per certi aspetti pionieristico. Sua la scoperta dell’esatta data di nascita di d. Liborio.
All’epoca su Liborio Romano si potevano leggere un saggio di Pietro Marti del 1909 e uno studio di Guido Ghezzi del 1936 oltre alle Memorie politiche e al Rendiconto politico; Memorie poi riproposte a cura di Fabio D’Astore nel 1992. Diverso l’approccio metodologico al personaggio da parte degli autori.
In questi ventidue anni trascorsi fra le due pubblicazioni di Accogli ci sono stati sull’argomento importanti contributi. Segnaliamo i maggiori: Dalla setta al governo. Liborio Romano di Giancarlo Vallone del 2005, L’inventore del trasformismo. Liborio Romano strumento di Cavour per la conquista di Napoli di Nico Perrone del 2009, prodotti in ambiente accademico; e, per quanto riguarda il fratello Giuseppe, i saggi di Salvatore Coppola pubblicati in più sedi editoriali negli anni tra il 2010 e il 2015.
Va segnalato, inoltre, fra le tante iniziative editoriali della Società di Storia Patria per la Puglia di Lecce per celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia, il volume “…giudicate sui fatti” Liborio romano e l’Unità d’Italia del 2012, a cura di Mario Spedicato, con contributi di Vittorio Zacchino, Salvatore Coppola, Fabio D’Astore, Luigi Montonato e Mario De Marco.
Importante per un doveroso approccio metodologico di tipo revisionistico è lo studio di Marco Meriggi, docente di Storia Contemporanea all’Università Federico II di Napoli, del 2007, Gli antichi Stati crollano; e il più recente Dagli antichi Stati all’Italia Unita del 2011, in cui il caso Liborio Romano è ricondotto nel più ampio fenomeno di transizione degli stati preunitari italiani nello Stato nazionale.
Per Accogli i fratelli Romano furono due grandi patrioti italiani e due grandi politici, impegnati sul fronte, a nazione unita, a rappresentare e tutelare gli interessi del Mezzogiorno. La corposa documentazione parlamentare a corredo del volume ne fa testo. In realtà non sposta l’asticella della considerazione pubblica nei confronti soprattutto di d. Liborio, la cui lettera al Cavour sulla “questione” meridionale del 15 maggio 1861 era abbastanza nota. Non così per Giuseppe, la cui attività parlamentare si svolse in un periodo di tempo più lungo, fino al 1890, con l’opportunità di intervenire su numerose questioni di interesse territoriale e nazionale, del quale solo in tempi più recenti si è messa in evidenza la notevole mole dell’impegno parlamentare e politico.
Liborio Romano conobbe una rapida parabola politica, nel corso della quale ebbe modo di rimanere profondamente deluso da come procedevano le cose in Italia. Eletto in otto collegi nelle prime elezioni del Parlamento nazionale (1861) optò per Tricase; rieletto nella successiva legislatura in due collegi (1865) optò per quello di Napoli. La scelta di Napoli non è estranea alla sua delusione per come era considerato nella sua terra. Non gli sfuggirono il progressivo scemare della sua popolarità e l’ostilità dell’ambiente politico se ritenne opportuno pubblicare le sue Memorie e insistette per la pubblicazione del suo Rendiconto.
Quando morì, “povero e quasi dimenticato”, il 17 luglio 1867, era oltremodo dispiaciuto perché “muto sul suo capo [sentiva] il giudizio incerto dei contemporanei”.
Dei fratelli è Giuseppe, il caro Peppino, quello che più di altri gli fu vicino e ne continuò l’opera politica e parlamentare. Questi, che nelle elezioni del 1870 non fu rieletto, battuto da Giuseppe Pisanelli, non si ricandidò alle successive del 1874; ma poi fu rieletto nel collegio di Tricase nel 1876 e nel 1880; nel 1886 fu eletto nel Collegio di Gallipoli, ma nel 1890 non fu rieletto. Aveva 84 anni e di lì a poco, nel 1891, sarebbe morto.
Questo volume di Accogli si pone nell’ambito degli studi sui fratelli Romano come un riferimento ineludibile, vuoi per le notizie sulle persone vuoi per la ricca documentazione.
Forse converrebbe, però, anche in fase di lettura, prescindere dall’annosa questione del “tradimento” più che dal “trasformismo”, che è altra cosa. Il tradimento, dovunque e comunque consumato, ha un aspetto morale ed un aspetto tecnico. Si può discutere sul primo; di meno o affatto sul secondo, anche se in questi ultimi tempi si tende ad escludere che il tradimento possa avere un senso in politica.
[“Presenza taurisanese” anno XXXVI n. 304 – Settembre 2018, p. 12]