La propaganda leghista sull’immigrazione

di Guglielmo Forges Davanzati

La propaganda leghista sull’immigrazione si fonda su due pilastri: l’immigrazione in Italia è in aumento; non possiamo permettercela e occorre una severa attività di repressione.

Due pilastri fattualmente erronei. Vediamo perché.

Accade che alcune leggi producano, anche nel breve periodo, effetti del tutto inattesi. In tal senso si può leggere il c.d. decreto Minniti di regolamentazione dei flussi migratori. Si tratta del provvedimento proposto dall’ex Ministro dell’Interno Marco Minniti – il decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, coordinato con la legge di conversione 13 aprile 2017, n. 46 recante: “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale”. Fra gli altri interventi, il decreto dispone di superare l’accoglienza dei migranti in grandi centri e di diffonderla in strutture di piccole e medie dimensioni. L’obiettivo è ridurre la probabilità dell’insorgere di conflitti, probabilità tanto più elevata quanto più masse di individui vengono concentrati in pochi luoghi. L’esperienza delle banlieue parigine è emblematica in tal senso.

I migranti vengono così disseminati in piccole strutture di accoglienza, anche in centri di piccole dimensioni. L’effetto dirompente, e appunto imprevisto, è il diffondersi della percezione che l’immigrazione sia un fenomeno imponente che investe il nostro Paese, che gli immigrati sottraggono lavoro ai nativi, che, se disoccupati, la loro sopravvivenza in Italia dipende dalle tasse pagate dagli italiani. Nei fatti tutto ciò è falso. Basti considerare che l’incidenza degli immigrati sulla popolazione residente è in Italia minore della media dell’Eurozona e molto minore di Francia e Germania. Su fonte ufficiale, si stima che gli sbarchi sulle coste italiane, soprattutto a partire da luglio 2017, hanno registrato un decremento complessivo di oltre il 33% rispetto allo stesso periodo del 2016.
Rispetto al 2016, gli arrivi in Italia si sono ridotti di circa il 34%, equivalente a circa 60 mila unità.
In più, nel 2017 si è registrato anche un aumento del 62% delle espulsioni per motivi di sicurezza e il 19,6% di rimpatri in più per migranti irregolari dall’Italia (da 5300 a 6340). Dal 2016 al 2017 le espulsioni per motivi di sicurezza sono passate da 66 a 105. Il 2018 conferma questa tendenza, con una ulteriore contrazione del numero di sbarchi.

Il Ministero dell’Interno rivendica questo come un successo delle politiche messe in atto. Che si tratti di pura propaganda non è difficile da comprendere: i flussi migratori verso l’Italia sono stati in continua riduzione negli ultimi anni e questo Governo si è insediato da pochi mesi.

Su fonte CARITAS, viene rilevato che tra il 1 gennaio e il 31 luglio 2018 sono arrivati via mare in Europa circa 62 mila migranti. La gran parte non è sbarcata in Italia: 16 mila individui sono arrivati in Grecia e 28 mila in Spagna.

E’ dunque anche falso che l’Italia accoglie più migranti degli altri Paesi europei.

La dottrina leghista del nativismo (variante aggiornata del razzismo), con il corollario dell’aumento dei respingimenti, è la risposta sbagliata a un problema che è reale, sebbene enormemente amplificato dalla propaganda della Lega: in alcuni segmenti del mercato del lavoro, la concorrenza fra lavoratori italiani e lavoratori immigrati è effettiva, non solo percepita.

Ma il nativismo è una dottrina che ha lo sguardo corto e non coglie le imponenti trasformazioni che il capitalismo, su scala internazionale, ha subìto a seguito della crisi del 2007-2008. E non considera i processi di ristrutturazione del capitalismo italiano nell’ultimo decennio.

La tendenza globale alla deindustrializzazione (con eccezione della Cina e di altri Paesi c.d. emergenti) si è rivelata molto più accentuata in Italia, con una perdita di produzione industriale di circa 25 punti percentuali negli anni della crisi e con un’accentuazione della presenza di imprese di medio-piccole dimensioni, poco innovative e collocate in settori ‘maturi’ (agroalimentare, turismo, beni di lusso), nei quali è quasi sostanzialmente assente l’avanzamento tecnico. La deindustrializzazione si associa alla riduzione della domanda di lavoro qualificato, la riduzione della domanda di lavoro qualificato accentua i flussi migratori di giovani scolarizzati dall’Italia verso altri Paesi. La rinuncia all’attuazione di politiche industriali, finalizzate a generare innovazioni, anche mediante maggiori investimenti pubblici nel settore della ricerca scientifica, ha amplificato il problema. E’ la deindustrializzazione italiana, dunque, a mettere in concorrenza – in alcuni segmenti del mercato del lavoro (molto spesso collocati nell’economia sommersa o criminale) – nativi e immigrati.

Va purtroppo registrato che parte della sinistra politica europea (non esenti alcuni intellettuali italiani) rincorre la propaganda leghista, secondo uno schema già visto e perdente: provare a sottrarre alla Destra i temi a lei propri. Lo fa proponendo una versione aggiornata ma erronea della teoria marxiana della sovrappopolazione relativa, secondo la quale il capitale necessita di un ampio serbatoio di manodopera disoccupata per tenere bassi i salari. E’ una tesi smentita sul piano empirico per due ragioni. In primo luogo, l’andamento dei salari non risulta correlato con l’andamento del tasso di disoccupazione, ovvero un aumento dell’offerta di lavoro non ha effetti significativi sui salari degli occupati. In secondo luogo, l’offerta di lavoro non è affatto omogenea, ovvero è radicalmente falsa l’ipotesi implicita in questa tesi per la quale gli immigrati sanno fare e vogliono fare le stesse cose che sanno fare e vogliono fare i lavoratori italiani.

                                      [“Nuovo Quotidiano di Puglia” di Giovedì 13 settembre 2018]

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