Che cosa insegna il crollo del ponte di Genova

di Ferdinando Boero

Interessi privati salvaguardati, beni pubblici svenduti

Trentun anni fa lasciai Genova per andare a lavorare all’Università di Lecce. Iniziavano le ondate di calore dovute a riscaldamento globale, e si decise di installare l’aria condizionata. Arriva una squadra di operai che copre i mobili con teli di plastica e fa buchi nelle pareti, inondando il mio studio di polvere. Se ne vanno, e il giorno dopo niente, e neanche il successivo. Il mio lavoro era bloccato. Telefono all’ufficio tecnico e mi dicono che il contratto prevede un anno di tempo per la consegna dei lavori. Da contratto gli operai avrebbero potuto lasciarmi in condizione di non lavorare per quasi un anno. Telefono al direttore amministrativo e chiedo: chi è che ha firmato un contratto a favore di chi fa il lavoro e a sfavore di chi lo paga? Non è così che si gestisce la cosa pubblica. Il giorno dopo arrivano gli operai. Il rompiballe (io) è accontentato ma gli altri aspettano. Dal microcosmo di una Università decentrata al paese intero, le cose non cambiano. Chi ha firmato contratti che danno ai privati la gestione della cosa pubblica senza prevedere penali spropositate nel caso che crolli un ponte e che, invece, prevedono penali spropositate per lo stato in caso di rescissione del contratto a seguito di gravi inadempienze da parte del concessionario? Interessi privati salvaguardati, beni pubblici svenduti.

Questo è il male che ha portato al disastro attuale, con il crollo del ponte a fare da paradigma. Ora bisogna decidere la cura. Non la può mettere in atto chi ha causato il male e, in effetti, le ultime elezioni hanno messo fuori gioco quasi tutti i partiti responsabili della situazione attuale (la Lega di Bossi ha agito come tutti gli altri partiti ma non è stata punita nella reincarnazione di Salvini). Chi è subentrato sarà in grado di riparare? A Roma pare che il “nuovo” non riesca a innescare un’inversione di tendenza. Ci dobbiamo rassegnare all’ineluttabilità della disonestà e dell’incompetenza? Possibile che non si trovi un altro Enrico Mattei, un Marchionne di stato? L’ex ministro Lupi, quello del Rolex al figlio, dà per scontata l’idea che “stato” significhi inefficienza. Forse era così quando era ministro lui: come si fa ad affidare la gestione dello stato a chi pensa che lo stato sia obbligatoriamente inefficiente? È evidente che chi ha gestito la cosa pubblica non ha agito nell’interesse pubblico e ha anche la faccia tosta di portare il proprio fallimento a prova dell’inefficienza del pubblico. Inefficienza “curata” con inefficienti stipule di contratti con privati che si sono arricchiti a spese del pubblico. 

I debiti accumulati a seguito di una gestione economicamente criminale della cosa pubblica dimostrano la incapacità di chi ha sino ad ora governato. Questi, ora, sono ansiosi di mostrare che anche gli “altri” sono inefficienti. Una strategia che risale ai tempi di Mani Pulite, quando i corrotti cercarono di infangare chi indagava su di loro, in modo da mostrare che nessuno fosse “pulito”. Tutti colpevoli uguale tutti innocenti. Purtroppo in economia questo non conta, e i debiti si devono pagare. Una parte rilevante del paese si è impoverita, i giovani emigrano, il pubblico dato in gestione ai privati crolla, e i ricchi sono sempre più ricchi. Situazioni analoghe, in passato, portarono alle ghigliottine. Quelle vere. Ora ci sono solo le decapitazioni mediatiche. Eccessi da stigmatizzare, senza alcun dubbio. Ma senza dimenticare cosa li abbia generati. I responsabili di tutto questo, invece di dare lezioni, farebbero meglio a collaborare alla riparazione dei propri errori, se pensano di avere competenze. Ma non so se affiderei la mia salute a un medico che abbia ottenuto simili risultati. 

[“Il Secolo XIX” di  giovedì 23 agosto 2018]

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Rendere efficienti le imprese di Stato!

Quando iniziò l’era delle privatizzazioni si diceva: i carrozzoni statali sono inefficienti, le assunzioni sono sovradimensionate e clientelari, la gestione è pessima. L’analisi mi vedeva totalmente d’accordo ma la mia terapia, elaborata nelle discussioni estemporanee con amici (tutti contrari alle mie idee, come il resto del mondo), non prevedeva la privatizzazione. Bisognava rendere efficienti le imprese di stato! Un privato che dovesse comprare quelle imprese sborsa dei soldi, che vanno allo stato. Benissimo, lo stato guadagna. Però il privato, se non è scemo, fa i suoi calcoli e stima di rifarsi abbastanza in fretta delle spesa e prevede, poi, di guadagnare. Ovviamente a seguito di una ristrutturazione che rimuova le cause dell’inefficienza della gestione statale. Tale ristrutturazione spesso prevede “esuberi”. Un eufemismo per dire che bisogna licenziare il surplus di persone assunte. Spesso, inoltre, quelle persone non erano neppure qualificate. La qualifica era la raccomandazione del politico di turno. In questo modo, gonfiando l’apparato pubblico, la politica ha fatto fronte alla disoccupazione: posti pubblici elargiti in cambio del voto. Eserciti di incompetenti sono stati assunti. In più, a capo delle aziende pubbliche spesso venivano nominati i candidati alle elezioni che non venivano eletti. In questo modo si premiava il loro “impegno”. Che fossero competenti era un dettaglio irrilevante e loro, a loro volta, assumevano i loro amici incompetenti. Un’impresa privata gestita in questo modo è presto destinata a fallire. E anche una pubblica. Dato che non si possono licenziare i dipendenti pubblici, si sono privatizzate le imprese pubbliche e poi si è passati ai licenziamenti. Inutile dire che la cassa integrazione e tutte le spese rivenienti dalla improvvisa disoccupazione sono state pagate dallo stato. Ripulite dall’eccesso di personale e dalle inefficienze, le ex aziende pubbliche avrebbero dovuto iniziare a rendere, producendo guadagni negli investitori. Nessun problema se l’azienda produce beni di consumo soggetti a concorrenza ma se, per esempio, do le autostrade in gestione a un’azienda privata, non è che a fianco all’autostrada A si costruisce l’autostrada B che le fa concorrenza. L’autostrada, e i suoi ponti e le sue gallerie, è stata costruita con fondi pubblici  perché ha interesse strategico, è un’infrastruttura importantissima per l’intero paese. Va gestita, supervisionata, tenuta in perfetta efficienza. I pedaggi devono servire per mantenerla. In modo che il pubblico che usa una struttura costruita con fondi pubblici abbia un servizio economicamente vantaggioso per chi l’ha pagato (il pubblico) ed efficiente. Invece che hanno fatto i privati? Hanno licenziato il surplus del personale (accollandolo al pubblico) e poi hanno perseguito il loro primo obiettivo: guadagnare. Il loro primo obiettivo non è di fornire un servizio efficiente al pubblico, è naturale! Hanno quindi eliminato tutti i costi eliminabili, in modo da massimizzare i benefici per il privato che ha in gestione ciò che prima era dello stato. A volte si sono eliminati anche costi che non andrebbero eliminati, tipo i costi di manutenzione. Ogni quanto bisogna rifare l’asfalto? Ogni cinque anni? Se lo rifacciamo ogni sei guadagniamo un anno ogni cinque. Sai che bel risparmio. I fessi che viaggiano pagano il pedaggio lo stesso, e per un po’ si trovano strade piene di buchi. Poi si trovano anche a dover subire lavori supplementari, dovuti al degrado conseguente all’incuria. Se i guasti non vengono riparati subito, il deterioramento accelera. Ma che importa? Abbiamo diminuito il personale e lo facciamo girare. Il che significa che un lavoro che si farebbe in un mese si fa in sei mesi, visto che le squadre sono diminuite. I disagi per il pubblico aumentano. E dopo un po’ il gestore dice: i costi di manutenzione sono lievitati, dobbiamo aumentare le tariffe. Ma i costi sono lievitati perché non hai fatto la manutenzione, o perché l’hai fatta male! Bisognerebbe dirgli. Ma spesso chi rileva le aziende pubbliche ha qualche cointeresse con chi gliele dà in affido (i soliti politici) e quindi nessuno chiede conto. Poi ci sono i disastri ferroviari, i ponti crollano. Oppure, come è avvenuto per la Salerno-Reggio Calabria, si costruisce un’altra autostrada a fianco a quella costruita male. L’Italia è l’unico paese al mondo ad aver costruito due siti per un unico incontro del G7, entrambi in totale abbandono, uno a L’Aquila e l’altro a La Maddalena. 

Io credo che le imprese e i servizi strategici per il paese non possano essere dati in gestione o addirittura trasferiti ai privati: devono essere gestiti dallo stato. Ovviamente devono essere gestiti bene e occorre assumere personale, di qualunque livello, ad altissima qualificazione. Personale il cui stipendio sia legato all’efficienza del proprio lavoro. Questa è la filosofia che ha guidato il mio lavoro nell’Università Pubblica! Ora, per il crollo del ponte Morandi, si dirà che il responsabile è Morandi. Il che potrebbe anche essere vero: il progetto non ha resistito all’usura ed ha ceduto quasi improvvisamente. Morandi è morto e quindi non ci sono responsabili. Ma chi avrebbe dovuto accorgersi dell’inadeguatezza del progetto? Chi avrebbe dovuto chiudere quell’opera e ha invece rinviato alle gestione successiva la scelta economicamente svantaggiosa della sua dismissione? Lo stato si può permettere di costruire un ponte nuovo e poi di buttar giù un ponte obsoleto, ma un privato no. Un consiglio di amministrazione tende sempre a scaricare sul successivo consiglio le spese che manderebbero i bilanci in rosso. E così si tergiversa, e poi i ponti crollano. Non succede solo in Italia. In tutto il mondo le privatizzazioni hanno portato a grandi guadagni per i privati e a servizi sempre meno efficienti per il pubblico. Potrei dire che lo avevo previsto e, quando lo prevedevo, mi sembrava così ovvio. Tutti mi dicevano che non capivo, che quello non era il mio mestiere, che i miei erano discorsi da bar. In effetti i miei erano discorsi da bar. Però se guardo i risultati della gestione di tutti questi “esperti” mi viene da piangere. Ora, di fronte all’evidenza dei fatti, si arrampicano sugli specchi per dimostrare che quel che è avvenuto era imprevedibile. Che le cose avrebbero dovuto andare come avevano previsto loro. No. Sono degli incompetenti. Io lo avevo previsto, e sono anche io un incompetente, lo so benissimo, ma come è possibile che ai competenti non sia neppure venuto in mente lo scenario che, da incompetente, avevo previsto e che si è puntualmente verificato? 

I motivi sono riconducibili all’inefficienza delle strutture pubbliche. Le privatizzazioni sono state gestite da chi aveva gestito, in precedenza, le imprese pubbliche. E gli affidamenti sono stati fatti esattamente con la stessa logica. Tipo i capitani coraggiosi di Alitalia. Non parliamo poi di appalti pubblici dati in gestione a mafia, camorra, ‘ndrangheta, organizzazioni criminali diventate pervasive nell’intero paese e che certamente non hanno il bene comune tra le loro finalità. 

Il risultato delle elezioni, e questo governo, sono la reazione del paese all’insostenibilità di una gestione di questo tipo. Resta da vedere, ora, se il paese ha le risorse, in termini di onestà e competenza, per sbarazzarsi di decenni di rapina generalizzata e di esprimere finalmente uno stato serio ed efficiente. Non ci possiamo più permettere la malavita organizzata, il lavoro parassitario, la gestione truffaldina. I “competenti” hanno fallito. Che si facciano da parte. Ora cerchiamo qualcuno che sia più competente, e non possono certo essere i “competenti” del passato a sceglierlo. Il principio base da applicare è quello di responsabilità. Deve essere chiaro di chi sono le responsabilità. I responsabili che sbagliano, sino ad ora, sono stati sostituiti ma hanno ricevuto enormi liquidazioni. Non deve più succedere. I responsabili devono essere ricompensati se fanno bene il loro lavoro, ma se si dimostrano incompetenti devono essere chiamati a pagare i costi del proprio fallimento. 

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di venerdì 24 agosto 2018]

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