Un gelato dopo Ferragosto

di Luigi Scorrano

Ferragosto è passato, le vacanze sono finite. Come abbiamo impiegato il nostro tempo? La frenesia della vacanza è talmente assorbente da non preparare spazi a postumi esami di coscienza, ad analisi sui nostri sentimenti e sui nostri comportamenti. Siamo d’accordo che abbiamo bisogno un po’ tutti di un periodo di riposo; l’idea della vacanza (cioè quella di un vuoto salutare che aiuti a riprendere energie) forse non ci assilla più come un tempo dovendo fare i conti con le strettezze economiche, ma nemmeno ci attira l’idea di trascorrere un po’ di tempo immersi in complicate indagini sulla vita e sui suoi aspetti più contraddittori. Vacanza significa vuoto, e la mente, talvolta, un po’ di vuoto lo richiede. Vuoto come sosta, vuoto come pausa nel ritmo incalzante e stressante della quotidianità. Un tempo per riflettere, per rimodulare progetti, per confrontarsi serenamente con gli altri e con quello che la vita giorno per giorno ci offre generosamente o ci sottrae astutamente.

Dalla vacanza vorremmo ricevere un pieno di disimpegno, la realizzazione di un’occasione mancata in tempi più tranquilli; esaminiamo perciò quelli che crediamo d’aver atteso con ansia e che abbiamo visto liquefarsi davanti ai nostri occhi come un bel cono di gelato che perda rapidamente la sua consistenza in un ambiente troppo caldo.

Il mare, la montagna, le città d’arte, le strutture alberghiere attrezzate per piacevoli passatempi, le crociere, le gite, gli incontri con gli amici che vediamo di rado, il rapporto ristabilito per un momento con parenti lontani, la curiosità di nuovi paesaggi, la certezza che in ogni giorno dell’estate  si nasconda un seme fecondo di occasioni prossime: tutto è cercato come fosse un’ultima possibilità, un approdo felice, la rivelazione di un segreto che ci riteniamo in grado di scoprire. Se abbiamo tempo per fare un esame delle nostre giornate estive, se riusciamo a spremere il succo (perché vitale) di un breve periodo dell’anno che porta nel nome l’idea di vacanza (le ferie!), cerchiamo non ciò che non abbiamo potuto godere ma ciò che ci è mancato e che desideravamo di avere. Magari non il troppo ma il piccolo sovrappiù: la dolcezza di un’ora particolare, un sapore che avremmo potuto aggiungere alla nostra memoria del gusto, una confidenza suggerita da un momento di intensa fiducia, il ricordo di una persona cara e lontana, la luce di un tramonto, una stella cadente nel terso cielo della notte… Il desiderio inappagato ci punge con una sua speciale qualità di malinconia, legato com’è a un’idea di ineluttabilità, di cosa sfuggita per sempre al nostro desiderio. C’è sempre, nella nostra gioia, qualcosa che ci manca. C’è anche in quello una vacanza, un vuoto.

Può anche accadere che la vacanza ci porti degli aspetti che non avremmo mai pensato di catalogare sotto la voce ‘vacanza’: pensiamo ai tanti disperati che approdano sulle nostre rive, venuti da rive remote, mossi dal naturale desiderio di condizioni di vita che nei loro paesi molte circostanze impediscono di realizzare. E ci sono coloro le cui menti turbate, in vacanza dalla ragione, spingono ad azioni delittuose atroci. Sono solo due esempi di una vacanza dolorosa, una ferita che cerca la guarigione, spesso invano.

La ricerca di ciò che può essere mancato alla nostra vacanza può farci riflettere sul valore che attribuiamo a certi gesti, alle nostre azioni, alle nostre parole. Ci chiediamo: che cosa è mancato alla nostra vacanza perché essa fosse piena e ricca di senso? Magari la dolcezza di un gelato che avremmo voluto assaporare nel momento migliore dei nostri giorni spensierati. Una cosa minima, un’occasione da nulla… Non è, certo, la stessa cosa mangiare un gelato dopo Ferragosto!

(2016)

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