di Rosario Coluccia
Partiamo da una voce del Disc. Dizionario Italiano Sabatini Coletti: modo congiuntivo agg. ‘esprime un’azione o uno stato non come reali ma come possibili, supposti, temuti, desiderati […]; s.m’. E ora quella omologa del Dizionario della lingua italiana di De Mauro: congiuntivo s.m. ‘modo verbale indicante un’azione o uno stato di possibilità, volontà o irrealtà, utilizzato spec. in proposizioni indipendenti per esprimere comando, augurio, preghiera, concessione; anche agg. modo congiuntivo’. Termine tecnico-specialistico (TS) di ambito grammaticale (gramm.). Nei dizionari si concentra la formulazione teorica di una pratica della lingua che, nelle attuazioni concrete, suscita forti dubbi e incertezze nei parlanti e negli scriventi, anche in quelli dotati di un buon corredo scolastico e grammaticale. Al punto che l’abilità di usare il congiuntivo in maniera appropriata al contesto, alla semantica e alla sintassi è considerata un indicatore fondamentale della capacità di usare adeguatamente l’italiano, una vera e propria spia della competenza linguistica del singolo individuo.
Al festival di Sanremo 2018, il tempio della musica italiana (come si diceva una volta), il cantautore Lorenzo Baglioni ha presentato una canzone intitolata Il congiuntivo. Eccone alcune frasi: «Il congiuntivo ha un ruolo distintivo e si usa per eventi che non sono reali. È relativo a ciò che è soggettivo a differenza di altri modi verbali. Nel caso che il periodo sia della tipologia dell’irrealtà (si sa) ci vuole il congiuntivo». Il video che promuove la canzone la mattina del 4 agosto 2018 riscuote 6.031.746 visualizzazioni, con 101.488 apprezzamenti (“like”, come è corrente nella lingua del web), simboleggiati dall’icona del pollice in alto, e 7.224 dissensi, simboleggiati dal pollice verso. È difficile immaginare che apprezzamenti e dissensi riguardino un giudizio sulle funzioni della lingua e su un uso corretto della stessa, andranno riferiti alla esibizione del cantautore. Le immagini mostrano due giovani su una spiaggia: sguardi teneri, fruscio del mare e piccoli stridi di gabbiani in sottofondo. Il corteggiatore, «che oggi incontra sempre più difficoltà coi verbi al congiuntivo», regala alla bella un piccolo cartoncino a forma di cuore che reca, di sua mano, la scritta a stampatello: «Se io starei con te sarei felice». Inorridita dalla presenza errata del condizionale nel messaggio d’amore, la ragazza scappa via e, a casa, contempla pensosamente un’immagine di Dante dai cui occhi ci si aspetta, da un momento all’altro, di veder sgorgare una lacrima. Ma tutto è bene quel che finisce bene. Rinvenuta casualmente una grammatica sepolta sotto la sabbia, il corteggiatore impara finalmente il corretto uso dei verbi e si presenta alla fanciulla con una serie incalzante di cartelli, anche questi di suo pugno: «che io sia», «che io fossi», «che io sia stato», «che io fossi stato», ecc. Di fronte all’esibizione di tanta competenza linguistica la giovane non può che arrendersi, l’amore trionfa.
Nell’italiano il modo congiuntivo ha quattro tempi: due semplici (il presente e l’imperfetto) e due composti (il passato e il trapassato). Nella tradizione grammaticale, le forme del paradigma del congiuntivo si citano precedute da che: «che io sia», «che io fossi», «che io sia stato», «che io fossi stato»; se ci riferiamo al secondo ausiliare (come nel video di Baglioni che abbiamo appena ricordato): «che io abbia», «che io avessi», «che io abbia avuto», «che io avessi avuto» ecc. Il congiuntivo può comparire sia nelle proposizioni principali sia nelle subordinate; in alcuni casi la sua scelta è obbligata, in altri è in alternativa con altri modi. Circolano in rete, rivolti a giovanissimi studenti, filmati vivaci e abbastanza divertenti, corredati da buoni esempi pratici. Possono servire, ma non bisogna prestare molta fiducia alle regole che se ne deducono, sono poco perspicue e a volte fuorvianti.
Nelle proposizioni principali, il congiuntivo esprime varie sfumature della non-realtà nell’area dell’obbligo e dell’ottativo, nel contesto di ordini e auguri, in alternanza con l’imperativo: volesse il cielo!; venga pure (M. Prandi, Congiuntivo, in Enciclopedia dell’Italiano, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2010, pp. 263-266: 263). Ricorre in frasi di vario tipo. Esortative o di ordine: venga, si sieda; di desiderio o di augurio: che arrivino sani e salvi a casa!; finissero una buona volta queste piogge!; concessive: sia pure bravo, però è maleducato; dubitative in forma interrogativa: che sia già arrivato?; di esclamazione: sapessi che dolore!; di negazione: mai che sia arrivato in orario! (esempi da F. Sabatini, Lezione di italiano. Grammatica, storia, buon uso, Mondadori, Milano, 2016, p. 195).
Nelle subordinate il congiuntivo si realizza secondo diverse modalità. In dettaglio si usa: 1. Nelle subordinate completive (frasi che completano il nucleo della frase centrale), in contesti che esprimono un’azione o uno stato non come reali ma come possibili, supposti, temuti, desiderati (torna ancora utile la definizione del DISC). Quindi, concretamente, il congiuntivo ricorre dopo verbi che indicano speranza, desiderio, dubbio o stati d’animo: «spero che vada tutto bene»; o dopo frasi o costruzioni impersonali che indicano necessità, possibilità, convenienza o esprimono una valutazione: «è meglio che partiate oggi». Il congiuntivo non ha valore proprio, e non può fornire, di per sé, un contributo alla costruzione del significato. Il valore semantico della subordinata non è dato dal congiuntivo ma è collegato al significato del verbo reggente. In una frase come: «temo che tu non stia bene», il costrutto della secondaria dipende dal verbo reggente, che indica incertezza o dubbio, esprime un fatto non reale o non sicuro. Capita a volte di ascoltare la medesima frase con l’indicativo al posto del congiuntivo: «temo che non stai bene». Il valore delle due frasi sembra identico, la subordinata della seconda pare collocarsi ad un livello sociolinguistico più basso. Chi parla in questo modo forse non padroneggia appieno la grammatica della nostra lingua. Ma non sempre è così, a volte sono possibili ragionamenti più sottili. Una duplice possibilità di reggenza si registra in frasi introdotte dal verbo pensare: «penso che i tuoi comportamenti siano riprovevoli» e anche «penso che i tuoi comportamenti sono riprovevoli». Se al verbo pensare che introduce la subordinata diamo il significato di ‘credere con dubbi più o meno forti’ (e dunque siamo nel campo delle ipotesi e della soggettività) è obbligatorio l’uso del congiuntivo nel verbo che segue (siano). Se invece pensare ha il significato di ‘sapere con certezza’ (e quindi siamo nel campo della oggettività) è consentita (e anzi auspicabile) la reggenza con l’indicativo (che è il modo verbale che esprime oggettivamente l’enunciazione o la constatazione di un fatto; dunque: sono). In conclusione, le due frasi «penso che i tuoi comportamenti siano riprovevoli» e «penso che i tuoi comportamenti sono riprovevoli» possono essere entrambe corrette, se la differenza di costrutto non è legata a inabilità linguistica di chi le formula ma dipende da un diverso significato consapevolmente attribuito al verbo reggente.
Il congiuntivo si usa anche nelle frasi subordinate non completive esplicite, che collegano in una relazione data – per es., la causa o il fine – due processi indipendenti. Il termine che esprime la relazione, e quindi determina il modo della subordinata, non è il verbo principale, ma la congiunzione che opera il collegamento. Nelle subordinate non completive il congiuntivo ricorre 2. dopo congiunzioni e locuzioni finali (come affinché, perché), concessive (come benché, sebbene), eccettuative (come a meno che). Una frase temporale consente l’alternanza tra congiuntivo: «usciamo prima che diventi buio» e indicativo: «siamo usciti dopo che è diventato buio», a seconda che si focalizzi l’attenzione sull’incertezza del futuro (congiuntivo) o sulla realtà del passato (indicativo). 3. Nelle ipotetiche di irrealtà: «se l’avessi saputo, non sarei venuto». 4. Nelle frasi relative restrittive: «cerco un appartamento che abbia il garage condominiale». Anche 2., 3. e 4 ammettono la sostituzione del congiuntivo con l’indicativo («usciamo prima che diventa buio»; «se lo sapevo, non venivo»; «cerco un appartamento che ha il garage condominiale»), ma in questi casi il costrutto con l’indicativo può essere tollerato solo in contesti comunicativi piuttosto rilassati ed è censurabile nella lingua di chi aspira ad una apprezzabile padronanza della lingua. Quando si scrive o si parla adoperando il registro formale, l’uso del congiuntivo va fortemente consigliato in tutti i costrutti che abbiamo elencato.
Abbiano ripassato le regole del congiuntivo, non sempre facili da applicare. Nella prossima puntata vedremo, concretamente, l’uso che i parlanti e gli scriventi fanno di questo modo verbale, il più controverso della nostra lingua.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di Domenica 12 agosto 2018, p. 11]