di Rosario Coluccia
Oggi parleremo di politica, ma non ci allontaneremo dai temi consueti di questa rubrica. Il governo austriaco del giovanissimo cancelliere Sebastian Kurz ha istituito un gruppo di lavoro incaricato di studiare la possibilità di concedere la cittadinanza austriaca ai cittadini italiani dell’Alto Adige (o Tirolo meridionale, Südtirol in tedesco) di madre lingua tedesca e ladina (il ladino è una lingua derivata dal latino, come l’italiano, il francese, lo spagnolo, il rumeno ecc.). Non è una proposta estemporanea. L’accordo di governo tra il Partito Popolare Austriaco (Österreichische Volkspartei, ÖVP), a cui appartiene il Cancelliere Kurz, e il Partito Austriaco della Libertà (Freiheitliche Partei Österreichs, FPÖ), populista e sovranista (parole alla moda), prevede la possibilità di far acquisire alla popolazione dell’Alto Adige di etnia tedesca e ladina la cittadinanza austriaca, in aggiunta alla cittadinanza italiana.
Vediamo di capirne di più. In Alto Adige, nella provincia autonoma di Bolzano, accanto a quella italiana è presente una forte comunità che ha come madre lingua il tedesco. Esiste anche una comunità molto più piccola che parla ladino. Il ladino è parlato in Alto Adige, Trentino, Veneto e Friuli-Venezia Giulia, soprattutto in cinque valli: le valli Gardena e Badia (provincia di Bolzano), la valle di Fassa (provincia di Trento), l’alta valle del Cordevole e Cortina d’Ampezzo (in Veneto, provincia di Belluno).
La convivenza di tre lingue diverse (italiano, tedesco e ladino) nello stesso territorio si spiega con la storia. La regione altoatesina è terra di confine e di incroci, via di passaggio fra il sud e il nord delle Alpi, teatro di ondate migratorie, colonizzazioni e rovesciamenti nell’assetto politico e istituzionale, con alterne vicende. A séguito della prima guerra mondiale (vinta dall’Italia), il Trentino e l’Alto Adige passarono dall’Austria all’Italia. Durante il fascismo si favorì lo spostamento in quelle zone di lavoratori provenienti da altre località d’Italia, fu attuata una politica di italianizzazione intensa del territorio, la lingua italiana divenne prevalente nell’amministrazione, nel diritto e nella scuola. Dopo la seconda guerra mondiale (persa dall’Italia), si riconobbe alla regione Trentino-Alto Adige un’ampia autonomia legislativa e amministrativa. Si affrontò anche la delicata questione linguistica. Si stabilì la parità ufficiale tra i tre gruppi etnici presenti nella provincia e tra le rispettive lingue (italiano, tedesco e ladino). Si fissarono norme precise, con l’obiettivo di tutelare i diritti di tutti. Oggi i sistemi scolastici sono separati in base alla lingua materna, l’insegnamento si svolge in italiano o in tedesco a seconda della lingua parlata di preferenza degli allievi. I nomi delle località sono duplici: Bolzano ~ Bozen; Bressanone ~ Brixen, Merano ~ Meran, ecc. I cartelli stradali recano la doppia denominazione, rispettando la parità. Anche l’assegnazione di posti di lavoro nell’amministrazione pubblica avviene sulla base della consistenza percentuale dei gruppi linguistici e della conoscenza di italiano e tedesco. Hanno rappresentato la nostra nazione e hanno gareggiato per la nazionale italiana grandi campioni di sci che con la veste esterna del proprio nome e cognome mostrano l’appartenenza alla etnia tedesca o ladina: nel passato Isolde Kostner, Gustav Thoeni, Erwin Sticker, Kristian Ghedina; nei nostri anni Verena Stuffer, Johanna Schnarf, Peter Fill, Christof Innerhofer. Tutti italiani, a prescindere da come risuonano nome e cognome.
Nel corso dei secoli, le differenti etnie hanno imparato a convivere. Il quadro complessivo è oggi tranquillo, i diversi gruppi coesistono pacificamente, ognuno mantiene la propria specificità. In passato ci sono state fasi non brevi di conflitto. Il «Comitato per la liberazione del Sudtirolo» (Befreiungsausschuss Südtirol, fondato nel 1956), aveva come scopo l’autodeterminazione dell’Alto Adige, sognava la secessione dall’Italia e l’annessione all’Austria, vagheggiava l’unificazione politica del Tirolo (la parte italiana e la parte austriaca) sotto la sovranità della nazione austriaca. Ci furono attentati con dinamite, mitra, mine antiuomo, morti e feriti, individuazione dei colpevoli e condanne a seguito di processi non semplici.
Questo appartiene al passato, per fortuna. Sono passati i tempi delle bombe e degli attentati. In un quadro pacificato spunta ora l’iniziativa apparentemente innocua del governo austriaco. Invece è fortemente simbolica, gravida di conseguenze. Con una buona dose di ironia (non sappiamo se volontaria), i proponenti affermano che l’iniziativa è rivolta a favorire un’unione sempre più stretta dei cittadini degli Stati membri, nello spirito dell’integrazione europea. Ma l’estensione della cittadinanza austriaca a intere comunità di cittadini italiani di madre lingua tedesca, che godono di ottime condizioni di autonomia e anche di privilegi economici, si presta ad una ambigua rivendicazione identitaria e linguistica. Estendere la cittadinanza austriaca ad una popolazione residente nella provincia di un altro stato equivale a dichiarare una sorta di annessione, un atto grave con implicazioni recondite chiaramente ostili verso l’Italia. Uno dei tanti segni di disgregazione del sogno europeo, di rivendicazioni particolaristiche, di affermazioni ottuse che funestano ogni giorno le cronache. Lo spiega bene un articolo di Federico Guiglia apparso nel «Messaggero» di pochissimi giorni fa, il 23 luglio. Emblematico il titolo di quell’articolo: «L’Austria fermi quello scippo di cittadinanza».
La novità, se attuata, comporterebbe seri problemi pratici. Concedere la doppia cittadinanza a tutti gli altoatesini o solo a chi si dichiara appartenente all’etnia di lingua tedesca? Potremmo avere anche dichiarazioni di comodo, cittadini di origine albanese o marocchina nati in Alto Adige che si dichiarano di lingua tedesca e potranno chiedere e ottenere la cittadinanza austriaca. E accanto a questi avremmo cittadini di famiglie bilingui che per il semplice fatto di essersi dichiarati italiani sarebbero esclusi da questa concessione. Un modo per spaccare ancora di più un territorio fragile. Faccio un esempio fittizio. Cosa accadrebbe se l’Italia offrisse unilateralmente la cittadinanza anche italiana a tutti gli abitanti del Canton Ticino, dove la lingua prevalente è l’italiano? La Svizzera tacerebbe?
Il tentativo del governo austriaco non rappresenta un episodio isolato. Lo scorso anno un’altra Commissione, diversamente strutturata, tentò di far approvare una norma che mirava a cancellare i nomi dei luoghi italiani dalla toponomastica ufficiale della Regione: aboliti Bolzano, Bressanone, Merano, ecc. L’Accademia della Crusca, autorevoli esponenti del mondo accademico tedesco, polacco, inglese, americano e naturalmente italiano sottoscrissero un appello al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio, alla Ministra dell’Istruzione. Quel tentativo fu fermato. Non aveva fondamenti giuridici né linguistici, era un’azione strumentale di natura politica, rivalsa anacronistica nell’Europa della coesistenza plurilingue. Non si può impedire ai cittadini italiani di usare, in Italia, nomi ufficiali italiani che esistono da un secolo. Garantendo ovviamente il diritto contestuale dei cittadini di lingua tedesca di usare anche il tedesco per i nomi delle stesse località.
In Italia la legge 482 del 15 dicembre 1999 detta le «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche» valide per l’intero territorio nazionale. Quella legge tutela le lingue che si trovano in condizione di minorità, che corrono rischi di obsolescenza e di morte. Favorisce iniziative che aiutino le lingue minoritarie a non morire. È il caso, per fare un esempio, del griko salentino, che grazie a mille attività (non tutte esenti da difetti, ma meritorie) conosce oggi una rinascita simboleggiata dalla presenza orgogliosa di questa lingua nelle manifestazioni collegate alla «Notte della taranta», che anno dopo anno si ripete a Melpignano e si diffonde nel mondo. In Alto Adige il tedesco non corre alcun rischio, non è minacciato. L’ipotesi di conferire la doppia cittadinanza a una parte degli altoatesini è immotivata.
Sul Messaggero del 24 luglio, a p. 19, leggo: ««Le notizie in merito alla volontà del governo austriaco di procedere sulla strada del doppio passaporto per i cittadini sudtirolesi destano inquietudine. Se fosse confermato saremmo di fronte ad un atto inopportuno e ostile che intendiamo respingere con fermezza». Così Riccardo Fraccaro, ministro per i Rapporti con il Parlamento. Se legge il nostro articolo, alle buone ragioni politiche il Ministro potrebbe aggiungere solidi argomenti linguistici. Il tedesco dell’Alto Adige è tutelato in base ad accordi internazionali, gode di prestigio e di ufficialità, non corre alcun rischio che vengano erose le sue prerogative. La conoscenza delle condizioni linguistiche reali indica chiaramente alla politica la strada da seguire, nel rispetto reciproco e nella tolleranza.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di Domenica 29 luglio 2018]