di Ferdinando Boero
Facciamo conto che, ogni anno, la Terra abbia una produzione pari a 100. Non ha importanza, ora, qualificare con precisione questa quantità. In generale si tratta di risorse rinnovabili che vanno dal legname, all’acqua, agli animali che alleviamo o peschiamo, alle piante che coltiviamo, l’acqua che utilizziamo per bere e irrigare. Queste risorse si rinnovano ogni anno e, se amministrate con saggezza, non si esauriscono. Le piante ricrescono, gli animali si riproducono, l’acqua si rinnova passando dagli oceani, alle nuvole, ai fiumi, laghi, ghiacciai, per finire nuovamente negli oceani. Ogni anno consumiamo queste risorse per garantire il nostro tenore di vita. L’ecologia studia le risorse naturali, mentre l’economia studia i beni di consumo e i meccanismi che decidono il loro prezzo. I beni di consumo sono suddivisi in diverse categorie che, alla base, hanno le risorse primarie, naturali: quelle che ci fanno mangiare e bere, le risorse essenziali, le più importanti. Ora uniamo ecologia ed economia e facciamo un bilancio. Quante risorse produce la natura? Torniamo a quel 100 annuale come misura generale. Ora misuriamo la quantità di beni consumata dalla nostra specie. In questi giorni siamo arrivati a 100: abbiamo consumato tutto quello che produce la Terra ogni anno e che è in grado di rinnovare l’anno successivo. Il giorno preciso dipende dai diversi modi di conteggiare le entrate (quel che produce la Terra) e le uscite (quel che consumiamo) ma, ogni anno, il giorno in cui i consumi annuali arrivano all’ammontare delle produzioni annuali arriva con sempre maggiore anticipo. Dopo quel giorno, in inglese l’overshooting day, il giorno dell’eccesso, viviamo a debito. Le terre coltivate non bastano più a sfamarci e, per ottenerne altre, disboschiamo le foreste e trasformiamo i terreni naturali in terreni agricoli. Facendolo, uccidiamo tutte le piante e gli animali, con erbicidi e insetticidi, e azzeriamo la biodiversità, passando da tante specie a una sola: quella che vogliamo coltivare. Se non ci sono più pesci in mare, passiamo all’allevamento. Ma alleviamo carnivori, come spigole, orate, salmoni, rombi, e li nutriamo con farine di pesce. È come se allevassimo leoni e li nutrissimo con le mucche. Una follia. Stiamo rosicchiando la superficie del pianeta. Non parliamo del suolo coperto dai nostri insediamenti. Oltre a fornirci beni, la natura ci offre anche servizi. Per esempio il clima. Le foreste assorbono anidride carbonica e producono ossigeno. Ma se le abbattiamo e le sostituiamo con l’agricoltura il servizio viene meno, visto che la produzione agricola viene consumata (metabolizzata) con la produzione di anidride carbonica. Cemento e asfalto non producono ossigeno e causano il dissesto idrogeologico! L’eccesso di anidride carbonica causa il riscaldamento globale: cambia il clima, e certe regioni del mondo, soprattutto quelle equatoriali, diventano aride a causa del caldo eccessivo. Mentre alle latitudini intermedie aumentano le tempeste e le piogge. I popoli ridotti alla fame e alla sete iniziano a combattere tra loro per accaparrarsi il poco che resta, e i perdenti fuggono dalla fame e dalla guerra. Vengono da noi.
Per far fronte alle necessità di numeri crescenti di umani stiamo esaurendo le risorse planetarie. L’economia considera i costi ambientali come “esternalità”, non conteggiate nelle analisi costi-benefici. Un grave errore. Ci sono due leggi naturali in apparente contrasto. Una impone a tutti gli organismi di crescere di numero, con i processi riproduttivi. Equivale alla legge fondamentale dell’economia: la legge della crescita, in questo caso del PIL. La seconda legge della natura fa da contrappeso alla prima: anche se tutti tendono a crescere, non tutti possono farlo, perché le risorse sono limitate e la crescita infinita è impossibile. Le specie, come gli economisti, non lo sanno e perseguono la crescita. Quelle di maggior successo crescono a tal punto da erodere i beni essenziali per la loro sopravvivenza, per poi soccombere per mancanza di risorse, ed esser sostituite da altre specie. È sempre stato così, in natura. La specie di successo, oggi, siamo noi, e siamo la prima specie che ha capito anche la seconda legge della natura, quella che impone un limite. Ma noi, come tutte le altre specie, la ignoriamo e viviamo a credito: il debito continua a crescere. Lo sappiamo, ma facciamo finta di niente. L’era delle conseguenze si avvicina: abbiamo un debito da pagare e la natura è un creditore implacabile.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia e Secolo XIX di martedì 31 luglio 2018]