di Franco Martina
La “Nota critica” che accompagna queste pagine materane di Guido Piovene, è l’ultimo lavoro di Angelo Semeraro. <<Non sapevo cos’è la libertà>>, rispondeva a chi gli chiedeva come si sentisse dopo la quiescenza. In realtà, egli di lavorare non ha mai smesso: semel abbas, semper abbas. Lo studio, la scrittura, il confronto sempre franco e generoso con gli amici, i suggerimenti, le critiche, gli appelli, le lettere erano parte integrante del suo vissuto quotidiano, fino alla fine, quando più pesanti si facevano sentire i segni della malattia. Rispondere al perché di un simile impegno, comporta di scoprire l’aspetto più profondo della sua personalità intellettuale: il dovere della ricerca, della conoscenza, sostenuto da una radicale motivazione morale integralmente umana. Una moralità di tipo kantiano, appunto, nel senso che nasce e si sviluppa interamente all’interno dell’uomo, ma ha il suo termine di legittimazione nel necessario confronto con “l’altro”. Era nato nella Taranto della guerra, nel 1941, in una famiglia modesta che vide nel Seminario l’unica via che poteva aprire a quel figlio promettente un avvenire migliore. Una decisione subita, evidentemente, che egli, tuttavia, seguì fino alla laurea in filosofia conseguita alla Lateranense, con un tesi su Il concetto di libertà in Sartre, quando, invece, scelse lui di passare extra ecclesiam. Una scelta forte, di carattere etico-politico, perché riguardava non il semplice laicato, bensì la laicità, cioè una visione della vita che non si muove dentro un perimetro di risposte già date, di orizzonti predefiniti. Una scelta gravosa, perché fatta nella consapevolezza delle enormi responsabilità che comporta. Scrisse nel 1995:
“Accanto talvolta in contrasto con un’idea teologica della vita c’è un processo, tutt’ora aperto, nel quale la specie umana si è dotata, faticosamente, del concetto di individuo e di libertà. L’idea teologica della vita ci comanda di sottoporci a una legge formulata prima e al di sopra degli individui. L’idea laica della vita ci restituisce interamente la responsabilità dei nostri atti in forma di libertà, di produzione continua dei valori man mano che si modificano le condizioni storiche della libertà. Laicità e fede non si collocano in opposizione l’una all’altra. Né la laicità è la religione dei non credenti”.
Che la laicità sia non una condizione garantita da leggi e Costituzioni, ma un processo sempre aperto, con nuovi problemi e sfide inedite e con avversari vecchi e nuovi, era il convincimento che alimentava il suo quotidiano lavoro di studio ma soprattutto l’impegno nel confronto pubblico.
“La laicità si trova a dover combattere oggi una battaglia difficile, dove la difesa della libertà, della tolleranza positiva, del dubbio contrapposto a ogni verità rivelata… si allarga ai temi dell’emigrazione, dello scontro tra culture, etnie, ai temi della democrazia, della giustizia e dell’uguaglianza. Arginare la questione della disuguaglianza da cui tutti siamo circondati, non sarà facile. Ma una libertà senza uguaglianza (nel rispetto di ogni differenza) resta una libertà povera, ristretta e a rischio.”
Semeraro non era un utopista, ma amava gli utopisti, come anche gli eretici e gli irregolari, perché costringono a modificare la direzione frontale dello sguardo. Essere capaci di guardare la realtà con altri occhi, sotto altre prospettive è uno dei caratteri costitutivi del cittadino di una società libera. Sapersi guardare con gli occhi di un altro non relativizza, non condiziona, non indebolisce. Anche con questo obiettivo aveva pensato la collana dei Cultural tour, dei grandi viaggiatori in terra di Puglia.
Proprio la prospettiva etica laica, d’altra parte, gli impediva di chiudere le sue analisi dentro i ristretti recinti disciplinari, fossero quelli della vecchia Pedagogia o quelli delle Scienze dell’educazione e di pensare sempre alla formazione, quella che amava chiamare Paideia o Bildung, in un orizzonte universalistico e come un processo aperto agli stimoli e ai nuovi apporti, ma sempre necessariamente bifronte: ossia volto al passato, per accogliere quanto più possibile la ricchezza del sapere accumulato e attento al futuro, per calibrare le possibilità e la direzione del suo uso.
In Abbandonare Babele, il saggio del 2013 che possiamo considerare il suo testamento spirituale, riflettendo sugli effetti della crisi globale che aveva inciso non solo sugli equilibri sociali, ma anche sulla coscienza di sé elaborata dall’Occidente negli anni della modernizzazione forzata, aveva riportato l’attenzione sulla centralità dell’educazione come la risorsa decisiva per dare una risposta strategica alla crisi.
L’ultimo tratto del percorso intellettuale di Semeraro era segnato, infatti, dalla lucida consapevolezza del possibile esito tragico del cammino dell’umanità. Un esito non necessario ma possibile e tutto consegnato al destino che gli uomini decideranno per se stessi. Un pericolo che nasce in relazione all’allargarsi del divario tra i bisogni imposti dagli stili di vita dell’umanità e le risorse del pianeta. C’è una stretta relazione tra le navicelle che cercano l’acqua su Marte e le disperate emigrazioni dal Sahel. È sullo sfondo della consapevolezza di questo presente che Semeraro pone la centralità dell’educazione. Intesa non più come processo di trasmissione del sapere, bensì come la ‘pratica’ che forma l’uomo, per metterlo in grado di assumersi il peso delle nuove tremende responsabilità che lo attendono.
“Si va aprendo … una nuova e diversa stagione educativa rispetto a quella dell’adattamento. Vi è perciò urgente, assoluto bisogno di buoni allenatori, capaci di addestrare i novizi a penetrare la superficie dell’apparenza, addestrarsi a sguardi lunghi, oltre lo spazio evenemenziale di un solo giorno, per portarci fuori dalla spirale velenosa nell’adattamento-ripetizione-rassegnazione.”
Una sfida nuova, di enorme portata che non può essere affrontata facendo a meno della straordinaria esperienza del passato e quindi interrogandosi a fondò sullo che cosa si studia, sulla qualità dell’apprendimento, sui contenuti che servono per realizzare un cittadino consapevole. Tuttavia, l’importanza dell’ineludibile lezione della storia non può esimerci dalle responsabilità di cercare e dare risposte nuove ai problemi che il presente e il futuro ci pongono. È stato questo il lascito di Semeraro. E in questo senso ripeteva, a conclusione del suo ragionamento, il monito kantiano: Sapere aude!
[in Guido Piovene, Matera, Cultural tour, ospiti illustri di puglia. Collana diretta da Angelo Semeraro, Kurumuny].