Immagino. Ergo, non sono una macchina

di Antonio Errico

Possono fare molte cose. Probabilmente potranno farne molte di più. Potranno farle meglio, fino a raggiungere la perfezione. Però non potranno riuscire a immaginare. L’immaginazione resterà una facoltà, un privilegio e un potere concessi in dono soltanto agli umani.

Peter Ware Higgs, il fisico che ha scoperto un infinitesimo dell’universo, il bosone che porta il suo nome, quel granulo d’infinito che viene chiamato la particella di Dio, in un intervista a Italo Carmignani per “Il Messaggero” dice che rispetto all’elaborazione dei nostri pensieri, le macchine non potranno mai prendere il sopravvento, perché la nostra è un’attività immaginativa.

Le macchine non hanno immaginazione, il guizzo di una fantasia.

In realtà, poi, Higgs non esclude del tutto la possibilità che un giorno possa accadere, ma se mai avremo macchine con la capacità di immaginare, non sarà sicuramente in tempi brevi: ci vorrà tempo, davvero molto tempo. Così dice, e ci conforta.

Immaginazione, fantasia e parola, sono le sole condizioni di cui gli uomini hanno l’esclusiva. Vorremmo tenercele soltanto per noi. Orgogliosamente. Vorremmo essere soltanto noi a saper guardare oltre, andare oltre, prefigurare, configurare mondi possibili, universi quotidiani.
Anche se qualche volta si ha l’impressione che le possibilità lasciate alla nostra immaginazione stiano riducendosi con sistematica gradualità.

Un bambino, per esempio. Un bambino ha molto poco da immaginare. Ci sono altri che immaginano per lui, offrendogli una confezione completa, infioccata. La televisione immagina tutto per lui e glielo passa sotto gli occhi, dicendogli esplicitamente o implicitamente di non affaticarsi a formulare ipotesi, a disegnare giocattoli. I giocattoli esistono già, esistono giù tutti, deve soltanto sceglierli e comprarli.

C’era una volta la televisione. Poi la televisione non è bastata più. Allora è intervenuto tutto un apparato tecnologico che con i suoi effetti speciali ha reso visibile l’immaginabile, ha trasformato in un reale istantaneo qualsiasi elaborazione mentale del possibile.

Il virtuale ha scombinato i criteri, i canoni, le distinzioni; ha sovrapposto il lontano e il vicino, il passato, il presente, il futuro, il vero, il verosimile, il falso, la realtà e la finzione. Con la sua possibilità di offrire tutto in un istante ha ridotto, quando non azzerato, i livelli del desiderio, e di conseguenza quelli dell’immaginazione.
Perché l’immaginazione è legata a nodo stretto al desiderio.

Spesso, forse sempre, attraverso l’immaginazione si definiscono e si costruiscono figure del desiderio: di come vorremmo essere, di quello che vorremmo avere e fare, di esperienze che ci attraggono, ci richiamano, ci seducono. A volte con le figure della nostra immaginazione, attraversiamo l’intera esistenza. Ci indicano una strada, ci fanno compagnia, diventano una sorta di intima mitologia, ci conducono verso il territorio del sonno, si impastano e si confondono con i sogni. Qualche volta si concretizzano.

Ma i nostri desideri, le nostre intime mitologie, sono sempre di più sovrastati dalle icone proposte dai media, non di rado o quasi sempre attraverso messaggi subdoli e sotterranei. I nostri desideri si conformano a quelle icone, assumono le loro stesse sembianze, si collocano negli stessi contesti. I nostri desideri si trasformano in derivati da una réclame.

Già trent’anni fa, in un piccolo libro intitolato L’altro visto da sé, il filosofo francese Jean Baudrillard, sosteneva l’inutilità dell’immaginazione.

Immaginare le terre australi è inutile, diceva Baudrillard, perché le si può raggiungere in venti ore d’aereo. Immaginare gli altri è inutile perchè la comunicazione ce li rende immediatamente presenti. L’immaginazione del tempo, nella sua durata e nella sua complessità, è inutile, perché abbiamo la rappresentazione della storia.
Se per un primitivo l’immaginazione di un al di là del suo spazio era impossibile in quanto non aveva neppure percezione dell’esistenza di un altrove, per noi l’inutilità dell’immaginazione è determinata dal fatto che tutti gli orizzonti sono stati valicati, ci siamo confrontati con tutti gli altrove.

Anche l’orizzonte del cielo abbiamo valicato, fino ad un certo punto. Ci siamo confrontati con l’altrove della luna.

Così immaginare ancora diventa impossibile oppure inutile.

Però con cautela e con umiltà vorrei permettermi un leggero dissenso rispetto a quello che dice Jean Baudrillard, confidando nell’indiscussa autorità di Einstein, il quale sosteneva che l’immaginazione è più importante della conoscenza perché la conoscenza è limitata mentre l’immaginazione abbraccia il mondo, stimola il progresso e l’evoluzione.

Forse più che in altri tempi, noi abbiamo bisogno di immaginazione perché ci è necessaria una conoscenza ulteriore, un nuovo e diverso progresso, un’ulteriore evoluzione.

Abbiamo bisogno di conoscere le storie che hanno più importanza di altre, quelle che hanno un’importanza assoluta. Dobbiamo imparare a distinguere l’essenziale dall’inessenziale, il superfluo dal necessario. Ci servono conoscenze che superino quelle che abbiamo o che le rielaborino calibrandole alle necessità, alle prospettive, ai desideri. Allora diventa indispensabile riscoprire il desiderio nelle dimensioni della quotidianità, un desiderio di cose per sé ma anche – soprattutto- di cose per gli altri. Abbiamo anche bisogno di immaginare una realtà di macchine che non oscurino il nostro pensiero ma che servano a risolvere quei problemi che le macchine possono risolvere, nella consapevolezza che l’intelligenza artificiale non avrà mai un’immaginazione e che noi dovremo fare in modo di non metterla mai nella condizioni di averla perché non possiamo neppure immaginare che cosa potrebbe immaginare.

Siamo arrivati ad un punto di conoscenza straordinaria. Che sarà superata, senza dubbio. Ma il superamento dovrà contemplare e implicare una nuova ragione e un nuovo sentimento della conoscenza, una sua bellezza rassicurante, un’applicazione che non faccia paura.

Abbiamo bisogno di immaginare tutto questo, molto più di questo, per poter tentare di realizzarlo. Possiamo farlo da soli, senza l’aiuto delle macchine intelligenti. In fondo abbiamo fatto sempre da soli. Qualche volta con risultati anche entusiasmanti.

[“ Nuovo Quotidiano di Puglia” Domenica 22 Luglio 2018]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questa voce è stata pubblicata in Prosa e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *