di Rosario Coluccia
Parliamo ancora di punteggiatura, come promesso due settimane fa. Uno scrivente italiano conosce e adopera regolarmente almeno sei segni di punteggiatura (punto, virgola, punto e virgola, due punti, punto esclamativo e punto interrogativo). Ma, se andiamo a verificare le modalità pratiche di utilizzazione di quei segni e, più ancora, se ampliamo l’indagine all’intero universo dell’interpunzione, a quella selva di simboli popolata di virgolette, apici, parentesi, accenti, tratti, trattini e lineette ne emerge una situazione molto complessa, caratterizzata da estrema variabilità nelle attuazioni concrete. Basterebbe mettere a confronto l’uso della punteggiatura nei giornali per evidenziare profonde difformità, anche nei tratti più comuni. Si pensi, per fare un solo esempio, ai segni differenti che si adoperano per introdurre il discorso diretto. Ecco come può essere diversamente stampata una frase semplicissima, che riproduce un discorso diretto. Carlo disse: “Questa sera non ho fame” (due punti e virgolette alte); Carlo disse: «Questa sera non ho fame» (due punti e virgolette a caporale o a sergente, si chiamano così); Carlo disse: ─ Questa sera non ho fame ─ (due punti e trattino lungo).
Attenzione al trattino, che può essere breve (-) o lungo (─) e svolge funzioni diverse. Nella scrittura a stampa il trattino breve è adoperato per dividere una parola andando a capo (amiche- vole, su due righi diversi), per separare congiungendo due nomi (il bus Lecce-Gallipoli), due nomi che danno un significato specifico all’espressione (una donna-poliziotto), due aggettivi giustapposti (la struttura burocratico-amministrativa). Il trattino lungo (per cui esiste un simbolo preciso nei programmi di scrittura al computer, va cercato) serve a riprodurre il discorso diretto (come abbiamo appena visto) e anche a riportare un inciso (due trattini lunghi, all’inizio e alla fine, possono sostituire due parentesi tonde). A volte i miei studenti scrivono con due trattini brevi accostati (–) al posto di uno lungo (─). La sostituzione non va bene, bisogna scegliere il segno corretto.
La finalità fondamentale della punteggiatura nella lingua italiana corrente è in primo luogo comunicativa (esiste anche una finalità espressiva, ricorrente in letteratura, ma di questa non parliamo). I segni interpuntivi assolvono alla funzione comunicativa in vario modo. Possono, come la virgola o il punto, segmentare il testo nelle sue unità costitutive, mettere in sequenza una serie di informazioni. Come nel caso seguente. «Mettiamo in valigia magliette, calze e pigiama. E, prima di partire, controlliamo l’olio dell’auto». Possono, come il punto interrogativo o i puntini di sospensione, avere un valore interattivo (richiedere una risposta da parte dell’interlocutore) o attivare significati impliciti (richiamare qualcosa di già conosciuto ai protagonisti della comunicazione). Come nel caso seguente. «Mettiamo in valigia magliette, calze e pigiama? E, prima di partire, controlliamo l’olio dell’auto…». Il secondo caso è diverso dal primo perché il punto interrogativo richiede una risposta da parte dell’interlocutore (che può essere di assenso o di rifiuto, ma dev’esserci); e i puntini di sospensione fanno capire che in occasioni precedenti ci si è dimenticati di controllare l’olio dell’auto (con il rischio di avere problemi durante il viaggio) o magari che l’interlocutore è spesso distratto e sbadato (e la disattenzione può creare problemi).
Nella percezione comune, le svariate funzioni della virgola (la parola italiana deriva dal lat. virgula, diminutivo di virga ‘verga’, per la forma) si identificano fondamentalmente con le pause di lettura (ad esempio nelle sequenze: «ho comprato pane, acqua, vino, pesce, verdura»). Cerco la definizione di virgola nel dizionario Sabatini Coletti: ‘segno d’interpunzione costituito da un’asticella con la punta ricurva verso sinistra, posto in basso rispetto alla riga di scrittura; esprime una pausa breve tra due elementi sintattici del discorso’. La virgola segnala blocchi unitari entro una frase. Per questa ragione non si appone nei seguenti casi. Tra soggetto e verbo, perché insieme costituiscono la frase (non si può scrivere: «Carlo, mangia»; sarebbe errore grave). Tra verbo e complemento oggetto, perché insieme costituiscono un sintagma verbale (non si può scrivere: «Carlo mangia, panini»; sarebbe errore grave). Tra articolo e sostantivo o aggettivo e sostantivo, perché insieme costituiscono un sintagma nominale (non si può scrivere: «il, panino» o «la bellissima, ragazza»; sarebbero errori gravi). Esiste un’eccezione, ma è solo apparente. Se noi scriviamo: «lo compro io, il giornale», e quindi separiamo con la virgola il verbo dal complemento oggetto, ricorriamo a questo costrutto per mettere in rilievo qualcosa, per dare enfasi al nostro discorso (come se dicessimo: compro io il giornale, non comprarlo tu). A questo scopo posticipiamo e separiamo per mezzo della virgola l’oggetto (il giornale), che abbiamo anticipato con un pronome (lo). È un costrutto molto diffuso nell’italiano dell’uso medio: «l’ho letto, il libro» e anche «il libro, l’ho letto»; «non la mangio, la carne» e anche «la carne, non la mangio». Quando non vogliamo dare enfasi alla nostra frase, quando vogliamo essere semplicemente referenziali o informativi, scriviamo: «io compro il giornale» (senza separare verbo e oggetto).
Nello stesso dizionario il punto è virgola è definito così: ‘segno d’interpunzione costituito da una virgola sottostante un puntino, usato per esprimere una pausa più marcata di quella segnata dalla virgola’. Sorge spontanea la domanda: in quali casi è preferibile ricorrere al punto e virgola invece che alla virgola? Oltre alla durata della pausa, la motivazione fondamentale della preferenza risiede nell’intento di sottolineare le gerarchie dei componenti sintattici, mettendo una cura particolare nel graduare (con i segni di punteggiatura) la diversa intensità delle pause in relazione ai contenuti. Virgola e punto e virgola non sono la stessa cosa, come mostra questo brano dell’art. 19 della nostra Costituzione, scelto da Bice Garavelli Mortara.
«La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento».
Qui i punti e virgola sono messi in serie, come abitualmente facciamo con le virgole (abbiamo visto prima: «ho comprato pane, acqua, vino, pesce, verdura»). Ma i due segni non sono intercambiabili, il punto e virgola distribuisce uno dopo l’altro i componenti significativi della sequenza logica, a ognuno dei quali assegna una rilevanza propria, che risulterebbe meno marcata da una semplice successione di virgole. Si tratta di valutazioni sottili, che è difficile applicare secondo schemi rigidi a priori. Da questa difficoltà nasce quella che potremmo definire “la mala sorte del punto e virgola”, tratto poco ricorrente anche in scritti che richiedono una certa elaborazione e compostezza compositiva (tesi, relazioni di lavoro, scritture aziendali o burocratiche), marginale e trascurato nella comunicazione pratica informale, praticamente ignorato nella scrittura online, oserei dire poco amato in generale (se si possono amare i segni di punteggiatura…). Anche nei giornali è rarissimo o assente. Ho esaminato rigo per rigo la prima pagina di «Nuovo Quotidiano» del 16 luglio. Ci sono punti, virgole, due punti, parentesi, trattini, puntini di sospensione. Non c’è neanche un punto e virgola. Lo stesso capita nelle altre testate italiane, il fenomeno è generale.
Non sono in crisi i due punti, ‘segno usato per introdurre un discorso diretto, una citazione, un’elencazione o una frase esplicativa della precedente’. Il tratto ha una funzione eminentemente presentativa, una sorta di annunzio riguardante il discorso in atto, come a voler dire: «Attento, adesso segue qualcosa di importante, preparati». Se li sostituissimo con la virgola o con il punto (ancor meno con il punto e virgola) risulterebbe attenuato quell’avvertimento implicito che i due punti trasmettono al lettore, invitandolo a collegare in maniera strettissima due segmenti del discorso, quelli che immediatamente precedono e seguono i due punti.
Nonostante i tentativi di regolamentazione, instabilità e difformità d’uso persistono anche oggi. C’è altro. Con il dilagare di sms, email, messaggistica elettronica istantanea il sistema della punteggiatura subisce uno scossone profondo. Negli sms si realizza il risultato estremo, in essi è frequentissima la sparizione della stessa punteggiatura. Vittoria, ci siamo liberati di un orpello inutile, dobbiamo esultare? No, decisamente. Se scriviamo articoli, libri, lettere, relazioni, documenti e testi di vario genere, la punteggiatura serve moltissimo, è fondamentale per una comunicazione efficace. Ecco perché conviene imparare ad usarla.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di domenica 22 luglio 2018]