Il disfacimento del Partito democratico

di Ferdinando Boero

Il disfacimento di un partito importantissimo (mi riferisco al PD) dovrebbe indurre ad alcune riflessioni chi lo ha condotto oltre l’orlo del precipizio, anche solo per giustificare il proprio ritiro dalla scena. Il PD ha sperperato l’eredità politica di PCI e DC messi assieme o, forse, del PCI e basta. L’attuale classe dirigente è in gran parte di derivazione post-DC, i post-PCI sono stati “rottamati” e il nuovo corso ha guardato al centro, con autoamputazione della parte sinistra. Per molto tempo i partiti si sono posizionati in modo ambiguo, mettendo la parola “centro” nelle loro denominazioni. Sinistra (senza centro) vuol dire stare con i più deboli, siano essi i giovani, o i precari, gli immigrati, i pensionati al minimo, i disoccupati. E, ancora, sinistra voleva dire cultura. I cosiddetti intellettuali non potevano non essere di sinistra, pur con qualche eccezione. Sinistra voleva anche dire sobrietà nella vita di tutti i giorni. C’erano scuole per apprendere questo stile di vita, e c’erano sezioni, gruppi culturali, circoli, e giornali, riviste, un certo cinema, e letteratura, musica, filosofia, arte e scienza.

Poi la sinistra, come si diceva un tempo, si è imborghesita perché ci sono stati anni in cui i cosiddetti sacrifici pareva non fossero più necessari. Erano gli anni Ottanta, e oggi sappiamo che quei “passi avanti” sono stati fatti contraendo debiti. Il debito pubblico spropositato che attanaglia l’intero paese ebbe inizio allora. Il bengodi, gli stipendi facili, le pensioni baby e quelle senza versamenti, accompagnati dal “nero” del doppio lavoro, le sanatorie, i posti fissi per far poco, e quant’altro diedero un benessere che tolse la voglia di combattere, visto che non c’era nulla per cui combattere. Solo che era un benessere fittizio, ottenuto contraendo debiti.

La sinistra sta al gioco e, quando arriva il conto, non ha la coscienza tranquilla.  La sinistra dovrebbe chiedere il riscatto dei deboli, ma i deboli sono diventati forti, hanno migliorato la propria condizione, ed è venuto a mancare il motivo per essere di sinistra. A debito, però. Pubblico. La sinistra vuole cambiare le cose, i conservatori le vogliono mantenere come sono. Per un po’ è sembrato che tutto sarebbe andato sempre meglio, in Italia, e che l’evoluzione avesse reso inutile la rivoluzione. Ma era solo un’illusione, di cui sono stati preda i “dirigenti” con vitalizio, con la presidenza di qualcosa per chi è trombato alle elezioni. Il Monte dei Paschi di Siena è l’emblema di tutto questo: ha garantito benessere per decenni, ora va salvato dal fallimento. Non devo far qui l’elenco di quel che non va. Basta pensare alle migliaia di laureati che emigrano, e a tutto il resto. Il riscatto sociale, dato per certo, è venuto meno. L’ascensore sociale, garantito dagli studi, si è bloccato oppure ti fa salire solo se te ne vai. I miracoli economici finiscono, le fabbrichette chiudono, delocalizzano, aumenta l’economia truffaldina delle frodi e dei furbetti, con le banche che propongono investimenti “sicuri” ai vecchietti, la corruzione, l’evasione.

Crescono la rabbia e l’insoddisfazione. Ci sarebbe posto per la sinistra, ma la sinistra continua a non capire. Quando Nanni Moretti gelò la dirigenza del partito di sinistra intendeva questo. Fu giustamente rottamata, quella dirigenza, ma la nuova continuò a non capire, accusando gli altri di non capire. Anche Grillo cercò di farlo capire, denunciando scandalo dopo scandalo, e fu etichettato come un dilettante: che faccia un partito, si presenti alle elezioni e vediamo quanti voti prende, gli disse Fassino, sprezzante. Ora si cerca persino non nominare l’artefice del disastro estremo della sinistra, assieme al cerchio magico di amici fedeli, ridotti all’irrilevanza nel paese ma ancora numerosi in Parlamento. Gli opposti estremismi di M5S (diventato paladino dei senza futuro) e Lega (rinata con l’odio razziale di Salvini dalla Lega Ladrona di Bossi) non trovano argini, la sinistra (cosiddetta) si tira fuori e sta a guardare, pregustando il disastro. Come già fece a Roma, facendo cadere il proprio sindaco per dare il comune al M5S e pregustando il fallimento della gestione dell’ingestibile. Non ha funzionato: la sinistra si autodigerisce e si svuota, non rimane neanche il centro. Il motivo è semplice: non era sinistra e nei suoi programmi centro-sinistra e centro-destra avrebbero dovuto unirsi al centro, con una legge elettorale che annullasse velleità estreme. Sappiamo come è andata a finire. L’elettorato ha punito i moderati. I moderati vanno bene in tempi moderati, quando le cose vanno, ma quando i mali sono estremi si chiedono estremi rimedi.

Un tempo c’era l’odio di classe e i poveri odiavano i ricchi, considerandoli sfruttatori. Ora c’è l’odio razziale. Nel primo caso c’era l’ansia di migliorare la propria condizione combattendo i più forti, ora c’è l’ansia di mantenere la propria condizione combattendo i più deboli: gli immigrati.

L’elaborazione intellettuale è minimale e gli slogan contano più delle raffinate analisi. Come sempre inspiegabilmente avviene, la destra si prende i voti dei deboli, dei senza speranza, come già è successo con Trump, votato dagli operai disoccupati. Il M5S ora è in affanno: se le cose vanno male la colpa è solo degli immigrati.

C’è una pseudosinistra in Parlamento (il PD) che potrebbe riscattarsi, incuneandosi tra i due estremi e portandone uno dalla propria parte. Ma, proprio come Don Abbondio, uno il coraggio di essere di sinistra mica se lo può dare. Se M5S non si divincola dalla Lega ci aspettano tempi neri. Intanto, la cosiddetta sinistra mangia i pop corn e accusa il resto del mondo di non aver capito niente. Come il vecchietto che sente alla radio di un pazzo che va contromano sull’autostrada e, tra sé e sé, guidando sull’autostrada, pensa: uno? qui sono tutti pazzi!

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di giovedì 28 giugno 2018]

 

 

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