di Pietro Antonio Giannini
Quando, nel 1550, Giorgio Vasari, nel suo testo fondamentale su Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti descrive la carriera artistica di Giotto, così si esprime riguardo al suo intervento in Santa Chiara a Napoli (presumibilmente nel coro dei frati ed in quello delle Clarisse), dove era stato chiamato per interessamento diretto di re Roberto: “Dipinse in alcune cappelle del detto monasterio molte storie del Vecchio Testamento e Nuovo. E le storie de l’Apocalisse che fece in una di dette cappelle, furono, per quanto si dice, invenzione di Dante (…) e sebbene Dante in questo tempo era morto, potevano averne avuto, come spesso avviene tra gli amici, ragionamento”. Ricordiamo che la navata centrale di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina è decorata, in perfetta corrispondenza con il programma giottesco per Santa Chiara, con tre cicli consecutivi, ad ognuno dei quali è riservata una sua campata, dedicati al Vecchio Testamento (con le Storie dal libro della Genesi, integrato da due scene da Daniele e dai Salmi), al Nuovo Testamento (episodi dai Vangeli) e all’Apocalisse, il ciclo più ampio della chiesa e, per questo soggetto, certamente quello di maggiore estensione di tutta la storia dell’arte per numero di scene, occupando tre pareti adiacenti (oltre le due pareti contrapposte anche la controfacciata e le volte di questa campata, se vogliamo limitarci alla corrispondenza diretta col testo di San Giovanni). Escludiamo dalla sequenza delle campate della navata centrale quella del presbiterio, dedicata a Santa Caterina d’Alessandria, proprio perché volutamente tenuta separata dal resto della chiesa attraverso l’innalzamento del livello del pavimento con la presenza di sei gradini.
Tuttavia, dei cicli di Santa Chiara menzionati da Vasari, eseguiti intorno al 1330, che segnarono la nascita di una scuola pittorica giottesca a Napoli contribuendo in modo determinante al rinnovamento della pittura in Italia meridionale, si perdono le tracce già nella seconda metà del Cinquecento. Essi vengono distrutti (o semplicemente scialbati?) per iniziativa del viceré spagnolo di Napoli Bernardino Barrionuevo per ragioni che rimangono ancora misteriose (cattivo stato di conservazione? Soggetto dei cicli e presenza di immagini non conformi alle indicazioni del Concilio di Trento, appena concluso in quegli anni? Temi fortemente influenzati e condizionati nell’ispirazione dalla presenza dei francescani Spirituali, il ramo rigorista del movimento, osteggiato dalla Chiesa, cui Santa Chiara apparteneva?). Qualsivoglia siano le motivazioni, i termini della questione oscillano fra questi due poli: l’esecuzione di questi dipinti negli anni fra il 1331-33 e la loro distruzione intorno al 1570. Di essi dunque non rimangono testimonianze dirette di qualche tipo che contribuiscano a far luce sui soggetti degli affreschi, ad eccezione di alcuni frammenti, peraltro poco significativi, riapparsi a seguito dei bombardamenti cui la chiesa fu sottoposta durante la seconda guerra mondiale e relativi ad una crocifissione e ad una deposizione.
All’inizio del secolo scorso, tuttavia, appaiono sul mercato antiquario romano due dipinti a tempera su tavola (cm. 35×86), che illustrano in miniatura 49 scene apocalittiche nei più minuti dettagli. Acquistate, si dice, dal cognato di Goethe, J.G. Schlosser, furono portate in Germania dove, passando di proprietà, pervennero nelle mani di Erbach Furstenau che condusse su di esse uno studio che rimane per molti versi fondamentale. Egli le associò ad un gruppo di documenti, fra i quali sono da prendere in considerazione solo due Bibbie miniate intorno al 1350-60 con soggetti identici a quelli delle Tavolette, anche se con qualche variante, e le attribuì ad ambito napoletano. Queste figurazioni sono state poi riportate dalla critica ad una stretta pertinenza giottesca e riconosciute come progetti per il ciclo dell’Apocalisse affrescato dal Maestro toscano e dalla sua scuola in Santa Chiara (l’attribuzione più recente ed autorevole è da considerare quella di Miklos Boskovits). Le due tempere su tavola sono conosciute come Tavolette di Stoccarda dal nome della pinacoteca che le ha acquistate e le custodisce dal 1972. Delle due Bibbie la prima, nota come Bibbia Hamilton, che si trova a Berlino presso gli Staatliche Museen – Kupferstichkabinett, si ritiene sia stata inviata in dono, intorno al 1350 da Giovanna I regina di Napoli ad Avignone al papa Clemente VI, Pierre Roger de Beaufort, proprio perché reca al suo interno lo stemma di questa casata. Alla medesima bottega di miniatori di corte riunita intorno a Cristoforo Orimina, cui si deve questo codice, se ne deve anche un’altra, nota come Bibbia di Vienna (Österreichische Nationalbibliothek – Vienna) che presenta in parte le medesime figurazioni. Secondo P. Leone de Castris, si deve a questo laboratorio di miniatori l’esecuzione materiale anche delle Tavolette di Stoccarda, sebbene egli riconosca che l’ispirazione originaria per tutto questo complesso di immagini vada fatta risalire sempre al ciclo giottesco di Santa Chiara.
Ora, come risulta evidente anche da un sommario esame, le scene degli affreschi che costituiscono il ciclo dell’Apocalisse nella basilica di Santa Caterina d’Alessandria, eseguito però intorno al 1420-30 (quindi circa un secolo dopo quelli giotteschi) sono nella stragrande maggioranza desunte direttamente dalle miniature presenti sulle Tavolette di Stoccarda, nella Bibbia Hamilton ed in quella di Vienna ed anche se alcune (poche per la verità) presentano delle significative varianti, l’affinità è palese ed indiscutibile. L’identità compositiva delle scene richiamate sulle Tavolette, sulle due Bibbie miniate e sul ciclo galatinese non può essere quindi casuale: indica invece che si riconosceva particolare autorità ad un ciclo precedente, attualmente non più esistente, che veniva in questo modo riproposto assegnandogli il ruolo di modello ideale. Ed in ambito napoletano a nessun altro ciclo di pitture poteva essere attribuito un valore esemplare paragonabile a quello giottesco di Santa Chiara.
D’altra parte, pur nell’estrema penuria di informazioni riguardanti gli autori degli affreschi cateriniani, una conferma ci giunge dal passato. Fra le poche notizie pervenuteci, una in particolare attrae la nostra attenzione. Quando nel 1724 padre Bernardino de Lama, nella sua Cronica dei Minori Osservanti Riformati della Provincia di S. Nicolò, attribuiva direttamente a “Giotto pittor fiorentino, molto celebre in quel tempo” la paternità dei dipinti galatinesi, non tenendo conto dell’incongruenza cronologica, non era poi tanto distante dalla verità. Egli si collegava certamente ad una tradizione che riferiva al Maestro toscano la prima ideazione delle composizioni, trascurando i nomi degli effettivi esecutori: la celebrità di cui ancora godeva il caposcuola originario aveva gettato nel dimenticatoio gli autori di questi tardi rifacimenti. D’altronde, la ragione dell’attrazione che ancora esercitano su di noi questi cicli è in gran parte dovuta all’aria di mistero che li circonda ed al richiamo che la fama di Giotto opera sul nostro immaginario.
Ad esemplificazione di quanto sostenuto, metteremo qui a confronto solo alcune fra le miniature presenti sulle Tavolette di Stoccarda col loro corrispettivo dall’Apocalisse di Santa Caterina. Avvertiamo che per ovvie ragioni di spazio non possiamo dar luogo ad una analisi puntuale ed esauriente, ma siamo costretti a procedere per sommi capi ed in modo sommario. Assicuriamo comunque che gli accostamenti non si esauriscono qui, ma vanno estesi a tutto il ciclo apocalittico ed ampliati anche a quello adiacente con le Storie dalla Genesi (corrispondente alle Storie dell’Antico Testamento citate da Vasari). Persino le figure dei santi, poste alla base dei cicli (citiamo Santa Chiara), sono presenti sulla Bibbia Hamilton. Persino i motivi a foglie di acanto con inserite teste-ritratto, che decorano i costoloni delle colonne di separazione delle navate, trovano il loro aggancio nei motivi, simili, venuti alla luce in seguito ai restauri compiuti nella cappella Palatina in Castelnuovo (Maschio Angioino) a Napoli, affrescata da Giotto e dalla sua scuola contestualmente a Santa Chiara. È da presumere perciò che i collaboratori di Giotto facessero ricorso ad elementi decorativi simili nelle due imprese in cui erano impegnati, in Santa Chiara e a Castelnuovo.
Le conseguenze, inevitabili, che se ne possono trarre sono a diversi livelli:
- i cicli di Santa Caterina, in particolare quello dell’Apocalisse, sarebbero individuati come rifacimenti da originali giotteschi andati perduti, acquisterebbero cioè il valore di ultima sopravvivenza di capolavori scomparsi.
- bisognerebbe chiedersi se anche l’organizzazione spaziale (cioè la ripartizione in due pareti contrapposte tenute insieme dalla controfacciata, la presenza delle volte), la successione delle scene e la loro disposizione seguendo un andamento rotatorio dall’alto verso il basso, sia stata mutuata sull’originale e quindi sia parte dell’ideazione di Giotto per Santa Chiara o sia invece più verosimilmente un’elaborazione locale entro cui sono stati inseriti gli elementi compositivi provenienti dall’esterno, direttamente tramite le Tavolette di Stoccarda o indirettamente, su cartoni desunti sugli originali giotteschi.
In ogni caso, le pitture di Santa Caterina ci propongono un’opportunità rara: ci mettono di fronte ad un capolavoro del passato restituendocelo nelle sue linee essenziali e permettendoci di investigarne il messaggio originario. È proprio questo che schiude nuovi ed inusitati orizzonti di lettura ai cicli galatinesi.
Per comodità di trattazione, limiteremo la nostra analisi ai riquadri che riteniamo più conosciuti. L’aspetto più interessante è certamente costituito dal fatto che l’esame delle Tavolette permette di ricostruire, almeno mentalmente, l’aspetto complessivo degli affreschi scomparsi, o gravemente compromessi, di Santa Caterina. Nelle immagini che accompagnano il testo mettiamo dunque a confronto le singole miniature delle tavolette di Stoccarda (a sinistra) con gli affreschi di Galatina (a destra) con l’indicazione della parete su cui sono collocati e del passo dell’Apocalisse illustrato, convinti che il lettore potrà riscontrare autonomamente le somiglianze. Siamo costretti a rimandare ad altra occasione il confronto tra il nostro ciclo e le miniature a soggetto apocalittico presenti sulla Bibbia Hamilton e sulla Bibbia di Vienna.
[“Il Titano”. Supplemento economico de “Il Galatino” n. 12 del 22 giugno 2018, pp. 45-47]