di Rosario Coluccia
Pochi giorni fa in Francia è stata approvata una legge che vieta, dall’inizio del prossimo anno scolastico, l’uso dei telefonini nelle scuole elementari e medie (ne scrive, tra gli altri, il Messaggero dell’8 giugno). La misura, promessa dal presidente Emmanuel Macron nella campagna elettorale, riguarderà bambini e ragazzi fino ai 14-15 anni ed è, nelle intenzioni dei promotori, un importante segnale per l’intera società. Il provvedimento si inserisce in un contesto generale già orientato in questo senso. Dal 2010 nelle scuole francesi è in vigore un divieto che impedisce di consultare i cellulari durante le ore di lezione, mentre il loro uso è finora consentito nelle pause tra una materia e l’altra, a pranzo (nelle scuole con la mensa) e durante l’intervallo. La nuova regola estenderà il divieto anche ai momenti di pausa, vietando quindi l’uso del cellulare per tutto il tempo di permanenza degli studenti negli istituti scolastici. In ogni classe andrebbero collocati armadietti dove gli studenti dovrebbero depositare i loro smartphone, per ritirarli alla fine della giornata. Il ministro dell’Istruzione francese, Jean-Michel Blanquer ha precisato: «Durante i nostri Consigli dei ministri, mettiamo via gli smartphone in un armadietto prima di cominciare. Mi sembra che sia una cosa praticabile anche in una classe». In effetti alcuni istituti già da tempo vanno in questa direzione, i professori possono farsi consegnare i cellulari prima di iniziare la lezione o durante i compiti in classe, per evitare che gli studenti copino o cerchino online le risposte alle domande e ai test che si svolgono in classe. L’obiettivo della legge approvata in Francia è trovare, d’intesa con i dirigenti scolastici, con gli insegnanti e con i genitori, un modo per proteggere gli studenti dalle distrazioni dei telefonini.
Alcuni hanno criticato la legge come superficiale e strumentale: si tratterebbe di un provvedimento inutile e ipocrita, una banale operazione pubblicitaria di scarsa sostanza effettiva. Non sono mancate obiezioni di natura pratica: i professori non possono trasformarsi in controllori occhiuti di ogni movimento degli studenti. E inoltre: chi può impedire che alcuni furbetti consegnino durante le ore di scuola un cellulare magari fuori uso e ne conservino uno perfettamente funzionante in tasca o nello zaino? Anche la considerazione che mandare messaggini o chattare durante le lezioni distrae dallo svolgimento delle lezioni e di conseguenza abbassa il rendimento scolastico viene contestata o aggirata: per distrarsi da qualche lezione poco interessante non servono fattori esterni, il pensiero degli studenti può divagare liberamente senza limiti. Qualcuno aggiunge: capitava così anche quando internet non esisteva, ci si distraeva giocando a tris con il compagno di banco, leggendo fumetti di nascosto, facendo svolazzare aeroplanini di carta, ecc.
Sono entrato in un sito dove si discutono le misure del governo francese. Ecco alcuni commenti, che riporto alla lettera, depurando i messaggi di qualche strafalcione linguistico e di qualche parolaccia. Non parlo oggi della lingua dei social, che si nutre di «mediocrità, grigiore, ovvietà, chiacchiericcio, clangore», come ha lamentato Antonio Errico nel Quotidiano di domenica 10 giugno. Della lingua dei social parleremo un’altra volta, forse. Oggi riporto alcune affermazioni dei frequentatori della rete. Si confrontano tesi contrapposte. Da una parte: «Vietare il cellulare durante le lezioni OK, ci mancherebbe. Vietarlo anche durante l’intervallo, NO. Nei 10-15 minuti di pausa credo che, oltre a mangiarsi un panino, uno possa fare ciò che vuole per rilassarsi». E dall’altra: «La situazione sarebbe che durante la ricreazione ci sarebbe il 95% delle persone con la testa china sullo smartphone. Che è un po’ quello che si vede nei ristoranti, nei piccoli gruppetti di amici fuori per la birra, a volte nelle coppie. Ognuno logicamente faccia quello che vuole ma la realtà è questa … e non lo trovo proprio educativo». E ancora. «A mio parere il mancato uso per alcune ore non comporta un uso smodato successivo, ma abitua il ragazzo a vivere senza essere sempre connesso a tutto ciò che sta all’esterno e attaccato al suo telefono».
Questo è, a mio avviso, l’elemento centrale. Non si tratta di impedire l’ingresso a scuola delle tecnologie digitali. In molte scuole esistono aule di informatica con computer e tablet, in molte classi è presente la L.I.M. (Lavagna Interattiva Multimediale). Tutto ciò è positivo. Guidati dai professori, gli studenti acquisiscono la capacità di utilizzare opportunamente questi strumenti, vagliando criticamente le informazioni che circolano in rete, imparando a distinguere il vero dal falso e a ragionare sulla attendibilità delle fonti. Ma questo è cosa ben diversa dal mandare e ricevere di continuo messaggi su whatsapp e notifiche da facebook. Anche alcuni genitori potrebbero riflettere e magari autocensurarsi adottando comportamenti ragionevoli, ad esempio evitando di mandare ai propri pargoletti sms ansiogeni a metà della terza ora per sapere com’è andato il compito di matematica o per chiedere se a cena si preferisce il pollo o il pesce.
Ecco la mia opinione, senza giri di parole: l’uso del cellulare a scuola va vietato perché distrae e perché è inutile, per qualche ora bambini e adolescenti (e adulti collegati) possono farne a meno. Possiamo tutti resistere alle interessate pubblicità delle ditte che costruiscono e vendono cellulari, sempre più potenti e polifunzionali (non multitasking, l’italiano ha la parola giusta) e ci invogliano ad usarli in ogni momento del giorno e della notte.
Qualche pausa dal contatto ossessivo con il cellulare non può che far bene. Leggo statistiche impressionanti che considerano il comportamento di tre diversi blocchi di adolescenti che hanno, rispettivamente, 13-14, 15-16 e 17-18 anni, a partire dal 2007 (anno di uscita dell’iPhone) fino ad oggi. Nelle tre diverse fasce di età decresce progressivamente il numero di coloro che escono con amici, aumenta quello di coloro che hanno difficoltà ad addormentarsi, moltissimi dichiarano che preferiscono collegarsi in rete o in chat rispetto ad altre forme di svago (leggere un libro, guardare la televisione, andare a cinema). La dipendenza da internet è un fenomeno mondiale ed ha sintomi simili a quelli della dipendenza da sostanze. I ragazzi fanno fatica a non essere connessi durante le lezioni. Passano tanto tempo on line anche di notte, quando nessuno li vede: il meccanismo collettivo imperante obbliga a interagire finché c’è qualcuno che risponde, una spirale da cui è difficile uscire. I più giovani rischiano di perdersi nella rete e di farsi male.
Tutto incide sul rendimento scolastico: l’eccesso di collegamento in rete provoca una netta riduzione della soglia di attenzione e una diminuzione della capacità di apprendimento. Se mentre segui una lezione, elabori un testo argomentativo o risolvi un problema di matematica ti arriva una notifica di messaggio, leggi e immediatamente rispondi, questo spezza la concentrazione. Ogni volta devi ricominciare a fare quello che facevi prima della notifica. Il tempo necessario per portare a termine un cómpito di italiano, di inglese o di geometria si dilata enormemente e il risultato è spesso mediocre. Per non parlare dei disastri che comporta il travaso delle forme di comunicazione usate nelle chat a testi di natura diversa, che richiedono una lingua appropriata. Nella veste esterna e nella sostanza. Una ricerca della London School of Economics dimostra che negli istituti dove non è permesso l’uso dei telefonini i voti sono più alti. Ricevere messaggini, giocherellare sotto il banco, porta a distrarsi, mentre una migliore concentrazione ha effetti benefici sul rendimento scolastico.
I governi non possono ignorare il problema. Abbiamo visto la Francia. In Germania il primo Land a introdurre il divieto di utilizzo del cellulare in classe è stato la Baviera. Una norma stabilisce che «nei locali della scuola devono essere tenuti spenti telefoni cellulari e altri strumenti digitali, non specificamente utilizzati a fini didattici». Il governo britannico tenta di imporre alle grandi piattaforme come Facebook, Instagram e Snapchat un limite al tempo che i bambini possono trascorrere sui social. Probabilmente ispirata da una frettolosa adesione a istanze falsamente progressiste, una circolare della ex-ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli invitava i ragazzi a portare a scuola i propri dispositivi mobili: BYOD «Bring your own device», ‘porta il tuo dispositivo’ sollecitava l’infelice acronimo inglese di quella direttiva. Ho letto il «Contratto per il governo del cambiamento». Della scuola si parla alle pp. 41-42, punto 22. Mi pare una lista di intenzioni scarsamente valutabili perché prive di indicazioni concrete. Impossibile giudicare. In un certo senso, paradossalmente, il nuovo ministro Marco Bussetti potrà decidere liberamente sui temi che abbiamo trattato. Con intelligenza, speriamo. Aspettiamo, vedremo.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di domenica 17 giugno 2018]