di Gianluca Virgilio
In questa nota si dà conto della ricerca di un giovane sociologo gallipolino, Luca Benvenga, che, in Dal Ted al Punk, Milella, Lecce 2017, ripercorre in sole 100 pagine, comprensive della Bibliografia di riferimento e dell’Indice dei nomi, la storia delle subculture giovanili della classe operaia inglese dagli anni ’50 agli anni ’70, con rapide ed efficaci incursioni prima e dopo. Converrà riportare per intero il lungo sottotitolo, che riassume bene il taglio metodologico oltreché contenutistico dello studio: Genesi, corpi e simbolismi: il conflitto segnico delle subculture giovanili della classe operaia inglese dagli anni ’50 agli anni ’70.
Tutto ha inizio con la rivoluzione industriale dell’Ottocento, quando i figli della classe operaia danno chiari segnali di insofferenza, riunendosi in gruppi che vivono ai margini della produzione e dei consumi; per esempio, nella banda di strada, pronta ad intimidire il compassato borghese londinese. Eccoli che avanzano – siamo nel 1898 -, questi ragazzacci inglesi, antenati ottocenteschi degli hooligans, nelle strade della immediata periferia di Londra: “Tutti senza cappello, colletto e cravatta, portano una scarpetta annodata al collo, un berretto poggiato scostumatamente in avanti, ben calato sugli occhi, e dei pantaloni molto aderenti al ginocchio larghi alle caviglie. Sono qualche dozzina di ragazzi, tutti armati di bastone, tutti con lo stesso berretto di velluto” (Benvenga cita G. Pearson). Non è il quarto stato che avanza, quello per intenderci di Giuseppe Pellizza da Volpedo, ma il quinto, quello giovanile, ormai uscito o meglio espulso dal grande alveo del movimento operaio, che faceva fatica a contenerlo e disciplinarlo. In realtà, sembra già di vedere i giovani violenti così ben ritratti e messi in scena da Stanley Kubrick in Arancia meccanica, nel 1971. Sennonché, tutti costoro fanno parte della stessa storia, che giungerà a maturazione dopo la seconda guerra mondiale, quando la grande mattanza degli anni 1914-1945 avrà avuto termine e i giovani saranno ritornati a invadere prepotentemente la scena della storia. Benvenga ritrae appunto questa scena, nella quale si alternano gruppi eterogenei di giovani, tutti animati da un sentimento di forte ribellismo e da un deciso rifiuto della cultura adulta: i Ted, i Mods, i Rockers, gli Skinheads, i Punk, fino alla nuova frontiera giovanile del conflitto rappresentata dai Cyber-Punk.
Ma di quale conflitto parliamo? Certamente di quello che ha animato la società occidentale degli ultimi settant’anni, attaccata e poi via via fagocitata da un sistema culturale d’importazione anglo-americana. Del resto, chi aveva vinto la guerra? Nel breve volgere di qualche decennio una società contadina si è trasformata in una società operaia, la quale non ha nemmeno fatto in tempo ad elaborare una propria cultura, che è stata investita, frantumata e dispersa dai nuovi meccanismi del capitale, fino alla rivoluzione informatica – alla globalizzazione – tuttora in corso. Luca Benvenga si inserisce in questo discorso e interpreta la subcultura descritta “come risposta r-esistenziale” (p. 10) dei giovani, coi loro corpi e con i loro simbolismi, alla storia progressiva del secondo Novecento; una sana, spontanea reazione ai cambiamenti forzati a cui la classe lavoratrice è stata sottoposta fino ad essere trasformata nella massa dei consumatori acritici e perennemente indebitati dei giorni nostri. Dal che si deduce quanto residuale e vano sia stato e sia tuttora lo sforzo di tali subculture, che risultano schiacciate sotto la cultura dominante, quando non addirittura utilizzate per rafforzarne il potere. Benvenga fa benissimo a rievocare (p.31) la scena iniziale e quella finale del film di P.P. Pasolini, Uccellacci e uccellini, due sequenze davvero paradigmatiche: nella prima, giovani borgatari ballano scomposti davanti a un Juke-Box, alla maniera dei teddy; nella seconda, gli stessi borgatari partecipano compunti ai funerali di Palmiro Togliatti. Due scene che indubbiamente devono essere lette insieme, rispettivamente come rappresentative del nuovo stile di vita di importazione anglo-americana e dell’addio al capo del partito dei lavoratori, il PCI. Così la classe operaia non è arrivata mai in paradiso, ma si è annichilita strada facendo, persuasa all’omologazione dalla cultura dominante. Sembra una storia antica, ma invece è una storia che stiamo ancora vivendo.
Il libro termina con una intervista che l’antropologo Massimo Canevacci ha rilasciato a Benvenga, nella quale tornano molti temi già trattati nel volumetto, ma soprattutto si insiste sulla transnazionalità degli stili di vita dei giovani contemporanei, caratterizzati da “valori determinabili, l’accettazione delle differenze sessuali, la sostenibilità, la differenziazione familistica e dei generi amorosi”; tutte questioni molto intriganti, che meriterebbero una approfondita discussione, impossibile in questa sede. Quel che è certo, è che non è facile la vita del giovane del XXI° secolo, stretto tra mancanza di lavoro, lavoro precario (cioè sfruttato) e un’università sempre più incapace di coltivare il pensiero critico. Se questo giovane riuscirà a diventare adulto – il che non è scontato -, sarà tutto merito suo.