Gianfranco Belfiore, Il filo di un sorriso e il “segno” come parola

di Gigi Montonato

Diciamo la verità, che cosa andiamo a vedere per primo in un giornale anche autorevole e serio come il “Corriere della Sera” o “la Repubblica”? Ma la vignetta! Non solo perché ci mette di buonuomore per tutto il resto del giorno e ci fa chiacchierare piacevolmente con gli amici, ma anche perché in quei pochi tratti di matita c’è la fulminante sintesi di una notizia, di un fatto, di una verità o, come dice Gianfranco Belfiore, Il filo di un sorriso e il «segno» della parola. Con questo titolo ha pubblicato nel 2017 con l’editore Maffei un libro-catalogo della/sulla sua opera.

Gianfranco Belfiore è leccese, è un disegnatore satirico, noto in campo nazionale per aver partecipato a tante campagne pubblicitarie e a diversi concorsi. Nel 1985 la F.C.I. (Federazione Ciclistica Italiana) scelse i suoi progetti grafici per i “Campionati Mondiali di Ciclismo in Italia” con un’esposizione mediatica internazionale. Ha insegnato ed ha lavorato per quotidiani e periodici nazionali. Per alcuni anni ha illustrato “La Carrozza”, il giornale satirico di Ruggero Vantaggiato, che esce due/tre volte all’anno. Ha fatto, per questo periodico, la caricatura a centinaia di personaggi leccesi e salentini e a molti altri di passaggio.

Il suo essere “artista libero salentino” – ma la successione degli attributi-apposizioni potrebbe cambiare a piacimento senza per questo alterare l’essenza di nessuno dei tre – lo riporta alla sua terra natia. Dove estro e libertà diventano distintivi di una condizione creativa straordinaria nella sua varietà di generi e di forme.

La satira nasce dal riso e deve far ridere. Il disegnatore non si deve porre altri fini. Se se li pone fa un’altra cosa, spesso fa intenzionalmente politica. Non che fare politica sia uno sproposito, essa può pure essere espressione di estro e libertà. In Italia abbiamo valentissimi vignettisti e caricaturisti che hanno esaltato il genere politico. Il Cipputi di Altan è un’icona della sinistra politica e sindacale. Politica, dunque, ma a condizione che sia onesta e non al servizio del potere o dei potenti, che appaghi prima di tutto chi la fa per il gusto di farla. D’accordo, così sei lodato ma non diventi né ricco né celebre e, diceva Giovenale, che di satira se ne intendeva, muori dal freddo: probitas laudatur et alget; qualche volta neppure laudatur. Ma nella vita non hai scelta: aut…aut. La satira è l’unico genere che quando fa arrabbiare il dedicatario, ovvero chi la subisce, fa felici e lieti tutti gli altri; al contrario, quando fa felice e lieto il dedicatario, gli altri restano irritati anche se fanno finta, per piaggeria, di non esserlo. E poi, la politica, la vuoi o non la vuoi, la pensi o non la pensi, è in ogni attività pubblica, tanto più se riguarda la comunicazione, sotto qualsiasi forma.

Belfiore è un vignettista-caricaturista che obbedisce d’istinto all’appagamento divertito di se stesso. Una condizione rilevata dalla figlia Erika, che così descrive il momento creativo del padre, quando “nel bel mezzo di una cena fuori o di una normalissima passeggiata inizia a ridere…da solo…porta la mano sugli occhi per cercare di nascondersi ma le spalle continuano a sussultare…”. Una vignetta, in verità, degna di tanto padre.

Nel catalogo-antologia Belfiore riporta testimonianze critiche varie, non solo di intenditori o di esperti, ma anche di comuni fruitori. Un aspetto importante perché è il “lettore” comune che rende il giudizio più schietto e immediato. Un po’ come diceva Montanelli per i suoi editoriali: se li capisce il lattaio, vanno bene. Se le vignette o le caricature fanno ridere la gente comune vuol dire che sono ben riuscite, che l’autore è entrato in sintonia col gusto e il senso popolare. Del resto, fra tutti i prodotti culturali, quello che più cerca l’incontro col pubblico più generico è proprio la satira. Per questo i vignettisti sono molto temuti dal potere politico.

Il dato più ricorrente in Belfiore, dal punto di vista dei contenuti, è l’intento svelatorio, senza calembour o giochi di parole. Dal punto di vista grafico l’uomo di Belfiore è sempre grasso, cascante, eccessivo, quasi un uomo di pezza; che si tratti di Berlusconi o di Bergoglio è lo stesso. Più sono importanti i personaggi e più fanno ridere se colti nel loro “contrasto”. In questo, Belfiore rivela una concezione bonaria dell’uomo; comunica il suo essere vero, non lo insulta e non lo ingiuria, lo mette in contrasto con gli orpelli dell’apparire. Caratteristica che conferisce alla vignetta o alla caricatura una particolare benevolenza. Il vignettista entra nel personaggio e lo svela, proponendolo per quello che effettivamente è malgré i paramenti, politici o religiosi o professionali che lo infagottano. In genere non se la prende chi nella vita in quei panni sente di stare bene e meritatamente; chi invece si sente di per sé inadeguato, allora diventa permaloso. Capisce lo scarto, suo prima ancora di quello del caricaturista.

Una nota merita la grafia delle scritte delle vignette. A volte, brevi come twitter illustrati. Niente fumetti, ma caratteri grandi e acuminati come una pioggia di dardi da destra a sinistra, dall’alto in basso, che contrastano con le forme caricaturali afflosciate e arrotondate. E’ nelle scritte che Belfiore completa il messaggio, a volte didascalico, a volte parenetico o sentenzioso, a volte epigrammatico o addirittura epistolare. Un “vaffa” con il cuore a tutte quelle persone a cui ho dato tanto e non meritavano un cazzo!!! Chi vuol capire, capisca!

Tanto tradisce quel suo essere nell’intimo un educatore, non un fustigatore di costumi, secondo la tradizionale definizione “ridendo castigat mores”, ma un saggio della vita, dotato di uno spirito di osservazione che è premessa indispensabile del messaggio.

“Io – mi diceva qualche tempo fa a San Pietro in Lama, dove da qualche anno vive – sto seduto davanti al bar o in un giardino pubblico, distratto o vagante col pensiero, in realtà seguo, osservo e colgo da uno scenario apparentemente neutro e piatto spunti che traduco in vignette o caricature. Il produttore di satira è così”. Un oraziano. Non a caso per il suo libro ha scelto in calce un verso di Orazio, un quasi conterraneo, il grande autore di satire, “Ridentem dicere verum / quid vetat?”, nel solco di una tradizione che porta ad un altro conterraneo, Quinto Ennio, il primo autore di satire. Dunque, non satira lucianea, cattiva, vendicativa, strumentalmente demolitrice, ma una satira che diverte divertendosi. Gianfranco Belfiore non minaccia e non vanta crediti, ma i piedi sulla testa non se li fa mettere da nessuno. Un “vaffa” sì, ma sempre col cuore! E, in punta di…matita.

[“Presenza tuarisanese”, XXXVI – n. 5 – maggio 2018, p. 10]

 

 

 

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