di Antonio Errico
Generazione che va, generazione che viene, e le cose sono sempre le stesse sotto il sole. Però cambiano le loro forme e le loro espressioni, cambiano i tempi, i luoghi, le situazioni. Prima di ogni altra cosa, cambiano le persone; cambia la loro esistenza, la loro conoscenza, nelle circostanze del presente e nelle tensioni verso il futuro. Non c’è stato mai un tempo che non si sia interrogato sulla forma e la sostanza della conoscenza necessaria per il tempo a venire. Quando i tempi sono lineari, anche le domande e le conseguenti risposte sono lineari. Quando i tempi hanno complesse conformazioni, altrettanto complesse si rivelano le domande e le risposte. Questo è un tempo di complesse conformazioni. Per cui le domande e le risposte che riguardano il sapere del futuro, si presentano con complesse formulazioni. Poi si cerca di semplificare, di riassumere, di sintetizzare in un lessico essenziale. Per esempio ci si chiede quale sarà la conoscenza necessaria, la competenza imprescindibile di cui avranno bisogno coloro che nel futuro prossimo si ritroveranno ad elaborare un progetto di società, a governare una qualsiasi situazione,
Con una consapevolezza: che la competenza senza conoscenza è nulla di più di un addestramento. La competenza è a valle, non a monte. Prima si conosce, indiscutibilmente. Poi si applica il conosciuto.
Ma bisogna già correggere e trasformare al plurale: conoscenze, competenze. Plurali. Mai definitive, certamente, ma comunque solide, compatte, resistenti. Non punti fermi, ma interrogativi che pretendono precise e spesso rapide risposte. Non ambigue, non indeterminate. Dalla qualità delle domande e dall’esattezza delle risposte dipendono le scelte, i progetti, gli assetti dei sistemi sociali, civili, culturali, i profili e le prospettive esistenziali.
Quando ci si chiede quali saranno le conoscenze essenziali, le competenze indispensabili, ci si rende conto che poi, in fondo, non sono molto diverse da quelle che sono state essenziali e indispensabili in ogni tempo e in ogni luogo. Solo che bisogna adeguarle, renderle compatibili, coerenti. L’uomo è sempre lo stesso. La differenza è data dalla sua condizione e dalle modalità che adotta per realizzarla in un luogo e in un altro, in un tempo e in un altro.
Allora, un sapere essenziale sarà il linguaggio. Anzi, i linguaggi. Dai linguaggi deriverà tutto il resto. Dovranno essere linguaggi conosciuti e linguaggi nuovi, o costantemente rinnovati, perché conosciute e nuove o costantemente rinnovate saranno le cose da dire, da dirsi, quelle su cui ragionare, confrontarsi, comprendersi. Non ci potrà essere nessuna comprensione senza una conoscenza dei linguaggi in tutte le loro forme, e quanto più diverse saranno le culture, più sarà indispensabile possedere i linguaggi che esprimono quelle culture, che esprimono i bisogni, oppure che esprimono i sogni. Sono i linguaggi che mettono insieme tanto gli universi delle esistenze individuali quanto quelli delle esistenze delle civiltà. Le convivenze, ma anche le coesistenze, si fondano sulla comprensione, intesa nella sostanza semantica della sua etimologia.
In assenza, si può avere soltanto il conflitto, o l’indifferenza. L’indifferenza produce la stagnazione; il conflitto genera la tragedia.
Poi sarà indispensabile la conoscenza della storia. Anzi, ancora una volta, delle storie. Forse sarà questa la conoscenza che richiederà criteri e metodi completamente nuovi. Forse sarà necessario perfino elaborare un nuovo concetto e maturare un nuovo sentimento della storia. Forse la conoscenza della storia implicherà l’indispensabilità di una relazione con colui che la rappresenta. Per comprendere la storia di una civiltà non basteranno i libri: servirà saper parlare – un’altra volta il linguaggio – con chi è venuto da luoghi lontani da noi e abita vicino a noi, accanto. La conoscenza della storia si esprimerà nella concretezza dell’incontro, della relazione tra uomo e uomo, nella reciprocità delle storie. La conoscenza della storia si realizzerà attraverso le storie che l’Altro ci racconterà, che noi gli racconteremo. Probabilmente impareremo ad interpretate i silenzi, a penetrare nell’implicito, a decodificare gesti che traducono stratificazioni di senso. Probabilmente sarà necessario più di quanto lo sia adesso imparare a rintracciare le convergenze tra le storie e ancora di più le loro divergenze in modo da poter trovare il modo di incastrarle, di intrecciarle. Soprattutto di integrarle.
Il futuro prossimo richiederà, pretenderà saperi strutturalmente integrati. Nessuna integrazione e nessuna interazione si può verificare senza una combinazione delle conoscenze.
Forse si potrebbe condensare il tutto e sostenere che nel futuro prossimo non si potrà fare a meno di sconfinare dai territori del proprio sapere per perlustrare quelli del sapere dell’altro. Ma poi non sarà nemmeno sufficiente perlustrarli; sarà necessario comprendere le condizioni fondamentali di quei territori, i modi in cui si articolano, le loro connotazioni.
Così alla domanda che riguarda le conoscenze e le competenze necessarie a coloro che il futuro prossimo dovranno governarlo, si potrebbe forse rispondere che saranno indispensabili conoscenze di linguaggi e di storie. Semplicemente perché i linguaggi e le storie includono qualsiasi altro sapere. Semplicemente perché i linguaggi e le storie sono le condizioni attraverso cui qualsiasi sapere si traduce, si rielabora, si rinnova. La rielaborazione e il rinnovamento dei saperi avvengono attraverso la contaminazione. E’ sempre stato così, in fondo. Un sapere che non si contamina con altri saperi, risulta assolutamente improduttivo, e quindi destinato all’inevitabile consumazione. I linguaggi invecchiano e muoiono se non si alimentano di altri linguaggi, costantemente, ogni giorno. Le storie invecchiano e muoiono se non si incontrano con altre storie, generando storie ulteriori.
Abitiamo strade, quartieri, paesi, città, metropoli, stracolme e attraversate da una molteplicità di linguaggi, da innumerevoli storie, e quindi da conoscenze molteplici, innumerevoli. Questa condizione comporta inevitabilmente un livello di complessità ed una necessità di incontro e confronto che senza dubbio presenta elementi di criticità ma che, altrettanto senza dubbio, propone la bellezza di una prossimità di qualcuno o di qualcosa che è sconosciuto.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 20 maggio 2018]