di Francesco D’Andria
Fra piacer tanti, ovunque un arbor dritto
vedesse ombrare o fonte o rivo puro,
v’avea spillo o coltel subito fitto;
così, se v’era alcun sasso men duro:
ed era fuori in mille luoghi scritto,
e così in casa in altritanti il muro,
Angelica e Medoro, in vari modi
legati insieme di diversi nodi.
La stanza XIX, 36 dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto presenta due personaggi centrali nel poema, colti nell’esplodere della loro passione amorosa, causa, per Orlando, della perdita di senno. Angelica e Medoro vivono intensamente questa indissolubile attrazione; in una sequenza di abbracci e di baci, per più di un mese “stero a diletto// i due tranquilli amanti a ricrearsi”. Vagano per i boschi e su ogni albero o su una morbida pietra, in preda al furor amoris, vanno incidendo i loro nomi, intrecciati nei modi più diversi.
La lettura del libro di Angelo Cossa, Navigando sui muri. I graffiti navali nel Salento (XII-XVIII secolo), Editrice Botanica ornamentale, mi ha riportato con la memoria ai versi in cui lo scrivere graffiti, una delle manifestazioni considerate spesso marginali dalla cultura ufficiale, viene evocato in un testo tra i più alti della nostra letteratura.
Così è accaduto anche per i “graffiti” che spesso imbrattano i muri delle nostre città, ma che tuttavia sono diventati una forma d’arte di frontiera, attraverso l’opera di artisti come Keith Haring, nel vivacissimo panorama culturale di New York. Come si vede, il termine graffiti abbraccia oggi una vastissima area semantica ed indica forme diverse di espressione e di comunicazione, in cui convergono istanze sociali, estetiche, psicologiche.
In questo quadro di interesse generale per il fenomeno, si è andato sviluppando una ricerca sempre più affinata per i graffiti prodotti nel corso della storia antica, medioevale e moderna; si è compreso che, nonostante la loro apparente semplicità, e spesso rozzezza di esecuzione, essi costituiscono documenti importanti, i quali veicolano significati che la “storia ufficiale”, il più delle volte, non considera. Essi danno voce alle periferie ed ai livelli marginali delle società in cui vengono prodotti, attraverso scritture, spesso approssimative e ricche di errori, ma più frequentemente attraverso i disegni. I segni incisi sui muri evocano ambienti della strada, delle taverne e dei lupanari, delle latrine e degli ambienti più nascosti; ma spesso cercano anche il contatto e la protezione della divinità, spalmandosi lungo i muri esterni delle chiese e dei santuari, come umili ex-voto.
Punti di massima concentrazione sono però gli ambienti adibiti a carceri, nei castelli, nei palazzi feudali, nelle torri, in cui i reclusi proiettano sui muri, al lume delle candele, il disagio del loro stato ed il desiderio di libertà, in un inestricabile sovrapporsi di segni dove la costrizione peggiore è nella loro impossibilità di esprimersi. Questi ambienti costituiscono un archivio straordinario di quelli che Michel Foucault indicava come i gruppi di frontiera dell’assetto sociale: i carcerati, i pazzi, gli stranieri, i soldati, gli orfani, un campo enorme di ricerca da indagare anche secondo i concetti elaborati dal discusso filosofo francese.
Dobbiamo perciò essere grati ad Angelo Cossa per aver raccolto queste preziose testimonianze relative ai graffiti con rappresentazioni di navi e per averle studiate con metodo scientifico, sottraendole alla dimensione di mera curiosità, nella quale spesso le immagini dei graffiti vengono relegate. L’autore può avvalersi della sua acclarata esperienza di archeologo subacqueo, che si è andata consolidando nei lunghi anni di esperienza sul campo, anzi, meglio sottacqua, nelle immersioni per esplorare relitti, sotto la guida di Rita Auriemma, e nelle ricerche di archeologia navale che lo hanno messo in contatto con i maggiori centri di ricerca in questo settore.
Nei vari capitoli Cossa propone una utilissima rassegna dei graffiti navali sin dall’Antichità, passando a proporci i temi generali di carattere storico, che spaziano dalle dinamiche dei rapporti di potere nel Mediterraneo tra Medioevo ed età moderna, alle tecniche di navigazione, all’organizzazione degli arsenali. Il nucleo originale dell’opera sta nella rassegna dei graffiti navali del Salento, sempre analizzati all’interno del loro contesto, con una lettura gradevole che tende ad esaurire le curiosità intorno ai luoghi ed ai monumenti che recano queste preziose testimonianze. Apprezzabile la completezza delle informazioni estesa sino a rinvenimenti molto recenti, come quelli effettuati all’interno della prigione nel Castello di Otranto, scavata nel banco roccioso. I 26 contesti salentini vengono presentati con titoli accattivanti, che anticipano il contenuto e il significato dei segni incisi nella roccia, e che costituiscono anche un invito alla lettura ed all’approfondimento.
Non sono soltanto i diversi tipi di navi rappresentate a stimolare la curiosità ma anche il costante tentativo di ricostruire un racconto, ogni volta diverso, che sta dietro ciascuna azione di incidere la forma della nave, per dedicarla ad un Santo o alla Vergine ed impetrare protezione nel viaggio, per raccontare un’esperienza vissuta, come nel frantoio di Muro Leccese con la “monumentale” raffigurazione della flotta cristiana in partenza dal porto di “Missina”, il 16 settembre 1571, per affrontare a Lepanto le navi ottomane.
Diverse le declinazioni di questo “Navigare sui muri”, in cui la dimensione psicologica e cognitiva appare in tutto il suo spessore, specie in alcuni, toccanti, graffiti di navi incisi sulle pareti buie delle segrete, accanto alle impronte di mani, alle croci davanti a cui pregare, alle sequenze di linee, a segnare i giorni che trascorrevano nella prigionia. In queste navi graffite, forte appare il coinvolgimento psicologico dei reclusi, che, nel tracciare le forme delle loro imbarcazioni potevano rivedere la loro vita all’aperto nella navigazione marina, proiettando queste immagini oltre le pareti, come un anelito di libertà.
Dalle prigioni soprattutto appare evidente il carattere effimero dei disegni e delle scritte, tracciati per alludere ad una storia individuale, da parte di gente marginale, che non pretende di “passare alla storia” e sa che, sopra quei segni, altre mani continueranno ad incidere la tenera pietra leccese, sovrapponendosi, in un intricato reticolo, che soltanto l’acribia degli archeologi permetterà di districare.
I graffiti pongono infine, con ricchezza di esempi, il tema della scrittura come un impulso misterioso, che si manifesta nelle sue forme più effimere e provvisorie: nel Vangelo di Giovanni (8, 1-11) si narra l’episodio dell’adultera che gli Scribi e i Farisei portano a Gesù per lapidarla. Tutti conoscono la risposta del Messia “Chi è senza peccato, scagli la prima pietra”; meno noto è il dettaglio in cui, mentre i Farisei lo interrogavano, provocandolo con argomenti capziosi, Gesù non rispondeva, ma “…inclinans se deorsum digito scribebat in terra.” Cosa scrivesse il Cristo per terra non lo sapremo mai, forse tracciava le parole del comandamento di non uccidere; di certo resterà in noi il mistero di quel gesto, di quelle parole tracciate nella sabbia, che il primo colpo di vento porterà via.
Lecce, 1 maggio 2016