di Guglielmo Forges Davanzati
In un recente articolo sul blog lavoce.info, il prof. Guido Tabellini, ex Rettore dell’Università Bocconi, propone un’entusiastica recensione di un libro di due autori francesi – Pierre Cahuc e André Zylbrerger, un vero best seller – sul c.d. “negazionismo economico”. La tesi di fondo è che “la conoscenza economica ha ora solide basi empiriche e le sue prescrizioni sono diventate più affidabili” e ciò nonostante “questi progressi sono spesso ignorati al di fuori della disciplina, con la conseguenza che il dibattito di politica economica è di frequente viziato da pregiudizi ideologici” (http://www.lavoce.info/archives/52226/contro-il-negazionismo-economico/).
E’ evidente il presupposto dal quale Cahuc, Zylberger e e il prof. Tabellini partono: l’Economia è una scienza esatta, esiste un’unica ‘verità in Economia alla quale si arriva mediante un processo di continua e progressiva eliminazione di errori, l’Economia è una scienza sperimentale il cui statuto metodologico è (o deve tendere a) quello delle scienze della natura.
Non è una tesi nuova e le obiezioni rivolte a questo modo di concepire l’Economia sono state e sono molteplici. Già nel 1900, Maffeo Pantaleoni, economista italiano di orientamento liberista, ebbe a dichiarare: “In Economia esistono due scuole di pensiero: chi la conosce e chi non la conosce”. Non è questa la sede per richiamare i tanti argomenti contrari a questa posizione: è sufficiente rilevare che in Economia, a differenza delle scienze della natura, è impossibile replicare un esperimento1.
Qui è forse più interessante mettere in rilievo alcune conseguenza implicite di questa posizione: conseguenze per certi aspetti paradossali o contradditorie rispetto a ciò che Tabellini scrive.
- Proposizione 1: la teoria economica è plurale e, al tempo stesso, basata sull’evidenza. La ‘teoria’ del negazionismo economico prova a far credere che, nella disciplina, esistono orientamenti diversi (“è semplicemente falso che in economia vi sia un’unica visione dominante”, scrive Tabellini) e, al tempo stesso, pone un punto fermo laddove fonda l’analisi economica su un’evidenza empirica considerata non disputabile. Da qui, delle due l’una: o è vera la prima affermazione (gli economisti hanno opinioni diverse) o è vera la seconda (l’evidenza empirica è conclusiva e non ammette opinioni discordanti). In altri termini, se è l’evidenza fattuale – assunta oggettiva – a stabilire qual è la correlazione fra variabili economiche, non vi è motivo per metterla in discussione e, per conseguenza, l’esistenza di un “pensiero unico” (la cui esistenza Tabellini nega) ne costituisce, per contro, la conseguenza logica. Di più: sostenere la teoria del negazionismo economico porta semmai a rafforzare la convinzione che non solo già esiste un pensiero unico, ma che occorra renderlo ancora più egemone. La proposizione 1, dunque, si nega da sola.
- Proposizione 2: la politica economica deriva da una teoria economica basata sull’evidenza. Ciò che preoccupa Tabellini è che l’opinione pubblica sia “vittima di credenze”, che derivano dalle “false certezze” delle “ricette populiste”. E’ compito dell’economista far valere la sua “autorità scientifica”, contrastando i danni che si possono produrre “in nome del pluralismo economico”. L’autorità scientifica dell’economista la si valuta dalle sue “credenziali”. Quali siano queste credenziali non è dato sapere, ma si può congetturare che siano riferite alla quantità di pubblicazioni su riviste accademiche considerate top. Lasciamo da parte il problema di come e su quali parametri queste riviste vengono considerate prestigiose e procediamo con questa considerazione. Se l’Economia è basata sull’evidenza, la politica economica è anch’essa basata sull’evidenza e se la politica economica è basata sull’evidenza non ha alcun senso il dibattito di politica economica. Da ciò dovrebbe logicamente discendere che gli unici governi ammissibili sono governi formati da soli tecnici, gli unici legittimati a gestire la politica economica sulla base dell’evidenza. Il passaggio alla riduzione degli spazi democratici (peraltro diffusamente teorizzato nell’ambito di ricerca nel quale si muove il prof. Tabellini) è molto breve.
- L’evidenza è oggettiva e chi non la riconosce è ‘negazionista’. E’ implicita nella tesi di Tabellini l’idea che l’economista non abbia un proprio orientamento ideologico e neppure politico. E’, cioè, un tecnico puro, la cui unica funzione consiste nel raccogliere dati, metterli in relazione (avvalendosi delle tecniche econometriche più avanzate) e derivarne prescrizioni di politica economica. Il punto qui in discussione è se l’evidenza empirica sia realmente oggettiva. La risposta non può che essere negativa. Ogni esercizio statistico presuppone l’individuazione di variabili che il ricercatore soggettivamente considera rilevanti. La rilevanza soggettiva di una variabile rispetto a un’altra non può che risentire della sua “visione pre-analitica” e, dunque, delle sue convinzioni in senso lato politiche. Ovviamente, esiste anche una domanda politica di idee economiche ed ‘effetti di cattura’, soprattutto laddove la ricerca è finanziata da Istituzioni private, per ottenere risultati che diano legittimazione scientifica ai loro interessi. Tutto legittimo, ma nulla a che vedere con la libertà di ricerca e tantomeno con la verità in Economia.
La teoria del negazionismo economico ripropone il programma della Evidence based policy lanciato nel 1997 dal New Labour di Tony Blair, cerca di avvalorare la dicotomia fra ‘scientismo’ e ‘antiscientismo’ e, per quanto attiene alle politiche economiche, ripropone di fatto il thatcheriano There is no alternative.
La teoria del negazionismo economico può essere letta come il tentativo, da parte delle èlites, di mettere a tacere teorie economiche che pongono in discussione l’attuale assetto istituzionale, basato su quello che è stato definito attacco globale al lavoro2. Anche qui nulla di nuovo. Uno dei massimi esponenti della “scuola austriaca”, Ludwig von Mises, scrisse con estrema chiarezza a riguardo:
“Se è l’interesse di classe a determinare il pensiero, allora oggi la borghesia ha bisogno di una teoria che esprima la realtà senza contaminazioni da false idee. Fino all’apparizione di Marx, la borghesia ha beneficiato di un’ideologia, vale a dire del sistema degli economisti classici e volgari. Ma quando, con la pubblicazione del primo volume del Capitale (1867), il proletariato ha avuto una dottrina corrispondente alla propria collocazione sociale, la borghesia ha cambiato tattica … La borghesia aveva bisogno di una teoria che, guardando spassionatamente al vero stato delle cose e affrancata da ogni coloritura ideologica, le offrisse la possibilità di avere sempre a sua disposizione i mezzi più idonei per la grande e decisiva lotta di classe” (L. von Mises, Problemi epistemologici dell’economia, 1933).
Il rilievo della teoria del negazionismo economico, in questa fase storica, la si può mettere in relazione con il successo elettorale, in Europa e non solo, di partiti e movimenti politici con programmi economici potenzialmente destabilizzanti. In più, la teoria del negazionismo economico può essere anche letta come un segnale di crisi della teoria economica dominante, proprio in quanto ha necessità di acquisire ulteriore legittimazione negando appunto la validità di altre teorie, quindi rifiutandosi di confrontarsi con queste.
Non esiste dunque un qualcosa che può definirsi negazionismo economico. L’economia è una disciplina sociale, con importanti presupposti e implicazioni politiche, ed è sempre più un ambito di conflitto fra teorie economiche contrapposte e radicalmente inconciliabili. Che il prof. Tabellini sia maggiormente ascoltato rispetto ad altri economisti ‘critici’ non dipende dal fatto che ciò che dice o scrive è basato sull’evidenza (anche le teorie economiche definite negazioniste si basano sull’evidenza): più banalmente, ciò dipende dal fatto che quello che dice o scrive è in linea con il pensiero dominante e lo dice o lo scrive da una sede universitaria considerata prestigiosa.
Note
1 Le tesi qui esposte si limitano a discutere criticamente la posizione del prof. Tabellini in una formulazione comprensibile anche a non economisti, considerando la rilevanza che la voce di Tabellini ha avuto e ha nel dibattito politico italiano. Per una trattazione recente e approfondita delle teorie qui richiamate, si rinvia a C. Codaglione, F. Bogliacino e G.A. Veltri, (2018). Scienza in vendita. Incertezza, interessi e valori nelle politiche pubbliche. Milano: Egea.
2 Cfr. R. Bellofiore and J. Halevi (2010). Could Be Raining”: The European Crisis After the Great Recession, “International Journal of Political Economy”, 39, pp.5-30.