di Augusto Benemeglio
Potremmo far rientrare i riti della Settimana Santa, – che si svolgono a Gallipoli da tempo immemorabile (forse dai moti penitenziali del XIV secolo) e con straordinaria partecipazione di tutta la popolazione, – nell’ambito dell’antropologia culturale e sociale, discipline dirette all’indagine e all’interpretazione di attività espressive e creative di istituzioni e credenze popolari, o forse ancora più specificatamente nell’antropologia del “Nuovo Testamento”, in cui l’uomo, nella sua concezione e definizione, nel suo linguaggio teologico , nella gestualità e nella ritualità, si pone in rapporto con il principio creatore dell’universo, o come soggetto del regno di Dio. Una cosa è comunque certa: tra le tante tradizioni che scandiscono a Gallipoli il frettoloso scorrere del tempo e l’incessante succedersi delle stagioni , quelle riguardanti il periodo quaresimale, che culminano nella Settimana santa rivestono un’importanza particolare, non solo perché rammentano e fanno rivivere usi e costumi di un tempo immemorabile , ma anche (e soprattutto) perché testimoniano e riaffermano, ancora oggi, – malgrado il nichilismo imperante – la coscienza di un popolo profondamente cristiano, legato alle pratiche devozionali e soprattutto al mistero della passione di Cristo, con cui spesso identifica le proprie sofferenze , che ripercorre, nella sua coralità, il suo antico itinerario di fede, fatto di preghiere e purificazione dello Spirito. Ed è questo un valore altissimo di fede e di conversione , ma anche di speranza nell’uomo che ogni gallipolino custodisce gelosamente nel proprio cuore e trasmette ai propri figli e alle generazioni future.
Premesso ciò, va detto che dei “nove giorni” della Settimana santa (a Gallipoli inizia il Venerdì che precede la Domenica delle Palme, con la processione della Madonna Addolorata), in questo spaccato del costume locale, ci si occuperà, in particolare, del “Venerdì Santo”, giorno culminante in cui prende il via la processione “te l’Urnia”, ovvero L’Urna o Tomba di Gesù morto, che si snoda lenta per tutta la città fino a notte inoltrata.
Le origini della processione si possono collegare alla nascita della Confraternita del Santissimo Crocefisso, creata dalla categoria artigianale degli antichi maestri bottai verso il 1540, categoria che per diversi secoli , al tempo in cui Gallipoli era il porto principale del Regno – dopo Napoli – per il trasporto dell’olio d’ulivo, era molto considerata e faceva una vita assai decorosa dal punto di vista economico. I maestri bottai, che avevano una loro cappella devozionale nella strada detta S. Angelo (dove attualmente risiede la Biblioteca Civica), dedicata all’Arcangelo San Michele, in cui praticavano gli esercizi di pietà, si trasferirono in un nuovo oratorio vicino al convento dei padri riformati di San Francesco, e lì fecero erigere un’altra chiesa, che dedicarono al santissimo Crocifisso, avendo ottenuto una miracolosa immagine di Gesù Cristo, dipinta in tavola di legno. E stabilirono di praticare in chiesa le penitenze tutte le settimane, a partire dal primo venerdì di Quaresima fino al Venerdì Santo per la salutazione della Croce. Poi andavano in processione con la croce, la corona di spine, e i “penitenti” camminavano scalzi e portavano delle grosse pietre al collo, e si percuotevano la spalla con il cilicio, mortificando il proprio corpo. Oggi, nel terzo millennio, a parte le autopunizioni corporali, le cose non è che siano molto cambiate . La processione “ te l’Urnia “ parte nel vespro , intorno alle 18.00, dopo l’azione liturgica propria del giorno, dalla Chiesa del Crocifisso che si trova sulla riviera di scirocco del centro storico e attraversa l’intera città, comprese le vie del Borgo, seguendo un itinerario prestabilito, con un’enorme affluenza del popolo gallipolino. Organizzano e conducono questa manifestazione devozionale due confraternite: quella storica del S.smo Crocefisso, di cui abbiamo accennato, e quella di “Santa Maria degli Angeli” (o dei pescatori). I confratelli del Crocifisso indossano l’abito rosso con mozzetta celeste e una corona di spine che cinge la testa degli incappucciati, e traportano, – oltre alla statua lignea del Cristo Morto -, anche altre pregevoli statue in cartapesta realizzate dal prof. Mario Donfrancesco, di Lecce, che si sono aggiunte in questi ultimi anni e raffigurano i diversi momenti della passione: l’agonia dei Getsemani, la Flagellazione, l’Ecce Homo, Cristo con la Croce, la Crocifissione; la seconda confraternita , fondata dai pescatori nel XVII secolo, indossa abito bianco e mozzetta celeste, e porta la statua della Vergine Addolorata, statua in cartapesta risalente al 1700.
La Chiesa del S.smo Crocifisso , eretta nel 1741 dai maestri bottai, ha un prospetto semplice con al centro una grande rappresentazione della Madonna del Buon Consiglio, in maiolica. Al centro del timpano è presente una nicchia, in cui è collocata una croce, decorata da una cornice barocca. E’ una chiesa con un’altare in pietra leccese, coi lignei stalli realizzati dagli stessi maestri bottai e una serie di pregevoli tele. Naturalmente c’è la statua del Cristo Morto.
Quando cominciano ad apparire dalla porticina i primi du lampioni àstili, ed ancora altri due, stretti fra i guanti rossi degli incappucciati coronati di spine , si crea un momento di grande partecipazione emotiva. Gli incappucciati si dispongono in riga sul sacrato della chiesa tra squilli di tromba e il rullio del tamburo, e lentamente danno inizio al lungo pellegrinaggio. Tutto sembra rivivere in una poesia dialettale, “La prucissione te l’Urnia” di Aldino De Vittorio:
Intra dre strate
sturtijate
la prucissione vae girandu
cu l’Urnia
te Nostru Signorre.
N’c’è silenziu:
nu’ se sparene bbattarie,
nu sonene campane.
Lu sonu tristu te la tromba,
secutatu te lu tamburru,
te strazia lu core:
è segnu ca sta’ passa
la tomba te Cristu ,
quiddra te lu Crucifissu.
La gente fusce,
nde vae ncontru,
l’ha te vitire,
ave precare,
e l’innu “ Cristu è mortu”
ave te santire.
Segue la “Croce dei misteri“, sulla quale si intersecano in vario modo tutti i simboli del martirio di Cristo: i chiodi, il martello, le tenaglie, la lancia che ferì il costato, la canna con la spugna, la scala della deposizione, ecc., a cui seguono le coppie degli incappucciati che sfilano ed intervallano le statue dei misteri, portate a spalla, e si chiude con la statua della Madonna Addolorata, a cui segue il popolo in religioso silenzio e devozione. La processione si snoda per le vie della città sino a notte inoltrata facendo “sosta” di tanto in tanto nelle chiese della città che si trovano lungo il percorso e che espletano così i doveri di “ospitalità“ nei confronti delle due confraternite. Una banda intona, ad intervalli, marce funebri
…nu lamentu de tromba,
comu ‘nu chianti de mamma,
ca nde facìa ecu,
come ‘nu sussurru ,
‘nu lamentu de tamburru
(Emilio Passeri)
ed un inno che viene eseguito da un coro di voci bianche che seguono l’ultima statua dei misteri, costituita dal “Calvario”, modellato interamente in cartapesta grezza, sormontato dal Crocifisso . Alla base, in primo piano, domina l’elegante giardinetto in ferro battuto di provenienza dalle locali botteghe della rampa della Purità. Allestito con ceri e lampioncini in lamierino a quattro vetri, il giardinetto, dalle graziose volute, è arricchito da decine e decine di foglie, petali e pistilli , cacciati ( ricavati) da tondino e ‘ncapuzzati (saldati fra loro) . ravvivano poi la nuda roccia sottili steli d’edera, raccolta fresca, che distribuiti qua e là, si arrampicano dalle volute fino ai piedi della Croce.
Segue la processione un numero quasi interminabile di confratelli, fra il lucido del raso delle mozzette e la rilucente trasparenza del vetro dei lampioncini. Risalta su tutto il rosso della Passione, attraverso gli abiti, i guanti, i camici, i cappucci; ogni cosa è in perfetto ordine , ancora con le pieghe della stiratura. Le statue dei “Misteri della Passione procedono lungo la sfilata di confratelli fino alla “grande Tomba”, addobbata di fiori. La pesante macchina processionale, guidata dai silenziosi gesti dei “Correttori”, importanti figure preposte all’ordine della Processione e stretti collaboratori del Priore e del Maestro di formazione, figure espressamente contemplate dallo Statuto della Confraternita, è portata sulle spalle da giovani che si alternano ordinatamente. Seguono i confratelli di Santa Maria degli Angeli recando pesanti ceri. E dietro la statua della Vergine Addolorata – anche questa portata a spalle – si forma una folla di devoti che prega e canta gli inni della Passione.
La Chiesa degli Angeli, sede della Confraternita omonima, raccoglie la categoria dei pescatori. Fu eretta nel 1660, è di forma rettangolare , con due porte di entrata, situata di fronte al mare. E’ stata restaurata e abbellita di recente , è ricca di dipinti.
La processione del Venerdì Santo o “ te l’Urnia” si ritira intorno alla mezzanotte, dopo che, al rientro, il Sacerdote benedice col Sacro Legno della Croce, il mare, dal parapetto murario antistante le due chiese , del “Crocifisso” e degli “Angeli”.
I riti della Settimana santa proseguono, durante la notte stessa del sabato, con la processione della “Desolata”, che “incontrerà” il figlio morto, deposto in una bara di oro zecchino. Nei secoli scorsi Cristo morto veniva portato a spalla dagli ebrei presenti a Gallipoli. Si chiedeva loro di espiare il reato di deicidio, perpetrato nei confronti appunto di Gesù. Durante la processione indossavano il tradizionale vestito ebraico a strisce verticali. Per questo motivo, per la rassomiglianza con le livree delle donzelle, piccoli pesci che comunemente vengono chiamati “sciutei” gli ebrei venivano chiamati “li sciutei te la bara”. Oggi il simulacro di Cristo morto viene condotto a spalla dai fedeli, particolarmente devoti a questa pia manifestazione. Il momento più suggestivo e toccante è quando la Vergine e il Figlio morto si incontrano al largo Purità per l’estremo saluto, con il mare a far da sfondo e una folla immensa a far da cornice.