di Luigi Scorrano
Alla data Luglio-Agosto 2002, nelle pagine culturali di “Presenza Taurisanese”, Ennio Bonea pubblicava un articolo su Aldo Vallone, sul collega ed amico con il quale, dentro e fuori dell’ambito universitario ch’era il loro habitat, aveva condiviso o discusso i fatti della cultura e della politica o, anche, semplicemente le cronache quotidiane. Tutto entrava nei loro discorsi perché tutto era degno d’essere osservato. Il titolo di quell’articolo, però, isolava, o ritagliava, due elementi fondamentali per la pratica di vita e per esercizio dell’insegnamento accademico. I due elementi si riassumevano nelle parole/tema meridionalista e dantista. Vasti e affascinanti, i due campi d’indagine potevano sembrare ben lontani l’uno dall’altro, ma questo era meno di quanto si potesse supporre o constatare. Con Dante la partenza sembrò esitante, con il meridionalismo imboccò una strada che ebbe risultati un poco oscillanti ma si tradussero in un esercizio di rassicurazione. Infine, su un orizzonte schiarito, Dante riapparve e giunse a dare sostegno e maggior chiarezza al meridionalismo: e questo, per un salentino attento, era sangue della propria vita. Se si legge con questo criterio, forse un poco avventuroso ma non inesatto, la esauriente bibliografia redatta da Giancarlo Vallone, questi due percorsi appaiono chiari e ricchi di scambi e relazioni tra loro.
Questi e altri temi e fecondi intrecci, al cui centro collocare la figura e l’opera dell’insigne studioso, hanno trovato in un Convegno tenutosi a Napoli (nella sede di Castel Nuovo) i giorni 16 e 17 aprile del 2013, sede e clima adatti a creare la cornice della manifestazione. Ora il volume, curato da Vincenzo Caputo, edito nelle partenopee Edizioni Scientifiche Italiane, riporta l’attenzione sulla personalità del critico galatinese: si dirà più giustamente italiano e ancor più giustamente, per l’ampiezza e profondità dei suoi studi, internazionale. Assunto a titolo del Convegno è stato un melodioso verso del poema dantesco, il v. 124 del sesto canto del Paradiso: “Diverse voci fanno dolci note”. L’agguerrito drappelletto di relato ri era composto da Corrado Calenda, Vincenzo Caputo, Marcello Ciccuto, Domenico Cofano, Rosario Coluccia, Massimiliano Corrado, Antonio V. Nazzaro, Valter Leonardo Puccetti, Pasquale Sabbatino, Luigi Scorrano, Leonardo Sebastio, Ruggiero Stefanelli, Giancarlo Vallone. Ciascuno degli studiosi qui elencati ha avuto qualche forma di comunicazione intensa con l’amico/Maestro; si è così instaurata una civile conversazione che al centro tiene i fili e dal centro irradia gli acquisti (di scienza e conoscenza) che maturano progressivamente e fruttificano nel rapporto con le novità che puntano spesso sul ripensamento delle salde posizioni critiche mentre vanno elaborando le novità aperte alla comprensione di metodologie accostate con prudenza. Nella visione valloniana la novità per la novità si esclude, gli avventurismi non si considerano come ardimenti dello spirito o come una forma di ulissismo critico. C’è la volontà, certo, di non ricusare le discussioni e di proporre un temperato giudizio. Lo si può cogliere all’interno della disputa sulla paternità del Fiore: Vallone vi partecipa non timorosamente ma tenendosi sulle salde basi di una persuasa filologia. Caputo ha visto bene questo momento e scrive che il “Fiore e il Detto d’Amore rappresentano […] un episodio esegetico importante non solo nei possibili risvolti comparativi sub specie Contini ma anche perché consentono una riflessione sulle modalità lavorative di Vallone”. Si consideri adesso, almeno per qualche rapido accenno ai contenuti del volume. Piace cogliere nel Saluto di Antonio V. Nazzaro il lampo di affetto in cui Vallone è detto “gentiluomo prima che Maestro”. Accostabile a queste testimonianze è Il ricordo di Aldo Vallone, rapidi cenni di Giancarlo Vallone.
Valter Leonardo Puccetti esplora con finezza il mondo delle Rime dantesche; ne ricava, a un primo approccio, il rilievo di una parola conduttrice, ch’è iter, e sostiene il racconto critico. Due novità di grande rilievo affiorano nell’interpretazione valloniana: la prima, il rapporto tra filosofia e dettato amoroso; la seconda, la consapevolezza che dopo la morte di Beatrice non vi sono donne reali e quelle che appaiono nelle pagine dell’opera sono come uno stampo colmabile con l’oggetto che creano. Di seguito al saggio di Puccetti si colloca quello di Marcello Ciccuto; questi procede (come suona il titolo) alla Sistemazione critica di due canzoni dantesche (Voi che ‘ntendendo e Tre donne intorno al cor): lettura “interna” di Aldo Vallone. Accenno qui a uno dei temi discussi nel saggio articolato sul significato delle tre donne che sono un’allegoria d’amore e di drammatica esperienza dell’esilio. A un esame che punta con rigore su questioni testuali, la maggior parte delle quali oggetto di infinite discussioni, procede il saggio, Filologia e linguistica negli scritti di Aldo Vallone dovuto alla competenza e al rigore di Rosario Coluccia. Meno strettamente ‘tecnica’ la relazione di Corrado Calenda che esamina Il Dante della Vallardi tra storia della critica e prospettive esegetiche: un’opera, valga riassumere con una rapida espressione usata per il Fiore da Calenda, “un’opera organizzata dal centro” e che a un centro continuamente e coerentemente tutto conduce. Alla ricognizione di un centro unificatore dell’attività valloniana procede vivamente partecipe Ruggiero Stefanelli, che scrive: “Il centro unificatore scaturiva […] dalla verifica che in tutte le sue opere Dante mira a denunciare i margini di errore dell’azione umana e quindi di deviazione da un corretto sviluppo della tendenza ad essa connaturata, che consiste nella ricerca della perfettibilità e nel raggiungimento della felicità”. Indaga Lo spirito laico in/di Dante Leonardo Sebastio, che sottolinea l’importanza della riflessione valloniana su tutta l’opera dello studioso dando rilievo a testi di ‘scuola’ federiciana; mentre a un’altra, diversa ma fervida e operosa artefice dentro e intorno all’attività del Maestro, è la “bella scola” cresciuta nell’insegnamento di Vallone. A parlarne, testimone eccellente, Pasquale Sabbatino nel saggio Il dantismo di Aldo Vallone negli anni della “bella scola” federiciana (con lettera inedita di Contini). Diversamente impostato il saggio di Vincenzo Caputo, che conduce a Dante attraverso Tasso presente in alcuni paragrafi che si rifanno ad un momento fruttuoso e vivace della discussione sull’interpretazione retorico-ornamentale e Dante. Una svelta e precisa messa a fuoco di un argomento di storia della critica dantesca in un’area intensamente battuta in passato è l’intervento di Domenico Cofano, Aldo Vallone e gli studi sul dantismo pugliese; Massimiliano Corrado allargava l’esplorazione dell’interpretazione dantesca nel resoconto preciso dedicato a Aldo Vallone e l’esegesi dantesca nel primo Novecento: il “realismo crico-storico” di Vittorio Rossi. Manca forse un tassello a questa esauriente e feconda esplorazione dell’opera del caro Maestro, la sua dimensione umana, la sua sapienza mai ostentata ma sempre comunicata con competenza e con una grazia del dire che la rendeva affascinante. E manca forse una parola sul Commento al poema dantesco, In queste pagine ne accenno in fondo, con la gioia e con il giusto timore di chi ha vissuto una singolare esperienza. Quale fu l’impostazione del lavoro, il risultato che si intendeva raggiungere, il linguaggio con il quale si voleva comunicare è scritto nelle paginette ultime di questo libro. Altro non potrei aggiungere se non varcando, contro le mie abitudini, la soglia della discrezione.
Una noterella. Sulla copertina del libro campeggia una bella foto di Vallone. La stessa che occupa il dépliant con il programma del Convegno. Nella riproposta di quella foto, la stessa utilizzata per la pubblicità del Convegno, è stato cancellato lo sfondo, un monumento insigne napoletano. Uno sfondo ‘parlante’ che aveva la sua bella parte: e rendeva meno astratta la pur bella immagine di copertina.
[“Presenza taurisanese” anno XXXVI n. 299, Febbraio-Marzo 2018, p. 10]