Studiare Vittorio Bodini

di Fabio D’Astore

Antonio Lucio Giannone, ordinario di Letteratura italiana moderna e contemporanea presso l’Università del Salento, da molti anni impegnato in un’assidua e rigorosa opera d’indagine e di ricerca volta alla riscoperta e alla riedizione critica degli scritti di Vittorio Bodini, ha curato il volume n. 10 della collana Bodiniana, da lui stesso diretta per i tipi di Besa editrice, uscito di recente (2017).

Il volume, intitolato Vittorio Bodini fra Sud ed Europa (1914-2014), è diviso in due ponderosi tomi per un totale di ben 722 pagine e raccoglie gli Atti del Convegno Internazionale di Studi, organizzato tra Lecce (3-4 dicembre) e Bari (9 dicembre) nel 2014 dal Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università del Salento, con la collaborazione del Centro Studi “Vittorio Bodini” e col sostegno dell’Assessorato alla Cultura della Regione Puglia, in occasione del centenario della nascita dello scrittore. Nelle quattro sessioni leccesi, l’attenzione è stata rivolta principalmente all’esame della produzione poetica, mentre, nelle due sessioni baresi, si è preferito privilegiare l’attività di ispanista e la rivista «L’esperienza poetica», nella quale Bodini espresse compiutamente la complessità che la novità della sua proposta sussumeva. E così, dopo l’utile Prefazione di Giannone, si susseguono trentacinque saggi (venti nel I tomo e quindici nel II), che ricostruiscono a tutto tondo la portata e l’impatto che la poetica, la poesia e la prosa di Bodini ebbero all’interno del panorama letterario nazionale ed europeo.

A partire dal solido contributo di G. Ferroni, intitolato Luce e buio del Sud, nel quale il critico individua nella «vivace disponibilità sperimentale» il nucleo portante del percorso poetico di Bodini e sottolinea come quello dello scrittore sia stato «uno sperimentalismo aperto in più direzioni, animato dalla passione per la poesia, dalla curiosità per il mondo, da una determinante tensione tra radicamento nel Sud e prospettiva europea», sempre comunque «estraneo a programmi troppo vincolanti, disposto a ridiscutere se stesso nella verifica dei contesti e delle proprie possibilità espressive».

È ciò che emerge pure dal persuasivo saggio di Lucio Giannone, massimo esperto dello scrittore pugliese, intitolato Mobili prospettive della poesia bodiniana. Qui il critico scandaglia in profondità, spesso con il ricorso a documenti inediti o poco noti, la complessa fase della teoresi poetica di Bodini, individuandone con acume un primo snodo fondamentale nel delicato ma decisivo soggiorno fiorentino degli anni 1937-1940, durante il quale conobbe alcuni degli esponenti più significativi della letteratura nazionale (Montale, Vittorini, Bo, Macrì, Luzi, Bigongiari, Pratolini e altri) e si immerse nella lettura di «libri sconvolgenti, come Kafka, Proust, Joyce», che gli aprirono gli orizzonti della letteratura europea. Orizzonti destinati ad ampliarsi in seguito alla permanenza di Bodini in Spagna (e siamo ad un altro snodo fondamentale, più volte indagato da Giannone), terra nella quale lo scrittore (ri)trova, lontano da casa, connotati vicini e simili alla realtà della sua terra, quel Sud che diviene così rappresentativo di una condizione umana e, quindi, valore universale, senza spazio e senza tempo, bisognoso di una nuova epifania della parola. Siffatte prospettive divengono strutture portanti dell’attività più intensa e significativa di Bodini dopo il ritorno dalla Spagna, quando, come sottolinea Giannone, tanto negli scritti critici, quanto nella «produzione creativa, in versi e in prosa, emerge il tema del Sud che sarà al centro delle raccolte ’lunari’ e dei racconti degli anni Cinquanta» (p. 83).

Strettamente legata a questa visione del Sud è senz’altro la specifica e singolare interpretazione di Bodini a proposito del barocco, come emerge dall’acuto e convincente saggio di Andrea Battistini, Vittorio Bodini e il demone gnoseologico del barocco, nel quale il critico evidenzia la portata innovativa del pensiero di Bodini, che «opponeva a un’idea di barocco quale periodo di decadenza rispetto all’esclusivo parametro quattro-cinquecentesco la concezione di una sua alternativa, in un sistema irriducibilmente bipolare dalla portata metastorica, in cui all’armonia rinascimentale veniva a contrapporsi una visione del mondo più drammatica, inquieta, per certi versi angosciosa, dettata da un’acuta percezione di precarietà, di caducità, di vuoto, di assenza» (p. 181), squadernando in tal modo il canonico iato armonia-disordine perpetuato dalle interpretazioni arcadico-illuministico-romantiche e, in ultimo, dall’idealismo di matrice crociana.

Nella dimensione «inquieta e in divenire della modernità letteraria» situa la radice delle questioni che Bodini affronta in tutta la sua opera anche Fabio Moliterni nel suo persuasivo saggio, Barocco, surrealismo, neoavanguardie. Vittorio Bodini e Luciano Anceschi (con lettere inedite), nel quale il critico, pure con il ricorso a interessantissimi documenti inediti, analizza la singolare posizione assunta dall’’antisistematico’ Bodini nei confronti dei fatti letterari. Emerge la posizione di rilievo dello scrittore all’interno del panorama letterario del Novecento italiano ed europeo, ribadito anche in altri saggi (F. Martina, M. T. Pano, D. Tomasello), che evidenziano la fitta rete di rapporti tra Bodini e numerosi altri intellettuali.

Agli aspetti più specificamente legati alla produzione in prosa di Bodini si interessa G. Bonifacino, il quale, nel saggio La morte e altre figure. Bodini in prosa, indaga con la solita acribia un «campo tematico di spiccato quanto fertile dominio nell’opera tutta di Bodini»: quello della morte, declinato nelle «diverse fasi della sua prosa» secondo ritmi e stilemi diversificati. Non meno interessanti appaiono le puntualizzazioni di E. Catalano a proposito delle talvolta ’velenose’ posizioni polemiche di Bodini, quali si andarono configurando sull’ «Esperienza poetica», rivista da lui fondata e diretta; la decisa presa di posizione nei confronti della complessa situazione politica spagnola dei primi anni ’60 (A. L. Denitto); le risultanze cromatiche nell’opera bodiniana (S. Schilardi). Né vanno sottaciuti gli importanti contributi relativi alla fondamentale attività di ispanista, nella quale Bodini profuse sforzi ed energie considerevoli.

Insomma, dopo la pubblicazione degli Atti del Convegno del 2014, nessuno potrà più accampare alibi a proposito di una presunta e spesso comoda scarsa diffusione dell’opera di uno dei maggiori interpreti del Novecento letterario italiano ed europeo, figura poliedrica e, per quanto attiene all’attività letteraria, in prosa e in versi, dagli aspetti multiformi. Forse, proprio tale vivacità si traduce in oggettive difficoltà quanto alla collocazione di questo intellettuale all’interno del pur variegato panorama letterario del Novecento, ma non giustifica in alcun modo l’oblio nel quale si è ‘preferito’ relegare Vittorio Bodini. Ora, grazie alla pubblicazione di questo volume di Atti, ognuno può e deve riconsiderare l’opera bodiniana nel suo complesso, senza la pretesa di cercare e trovare a tutti i costi una forzata, e direi inopportuna, collocazione dello scrittore in un canone (pre)definito secondo parametri ormai sclerotizzati ed obsoleti; pretesa che, spesso, ha causato la rimozione di voci letterarie di assoluto valore (penso, ad esempio, a Calvino). Anche perché appare davvero giunto il momento di smettere di “studiare solo la storia degli altri senza conoscere nulla della propria”.

Buona lettura e piacevoli scoperte.

[“Presenza taurisanese” anno XXXVI n. 299, Febbraio-Marzo 2018]

 

 

 

 

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