di Ferdinando Boero
Donald Trump non è quel che si dice un ambientalista: ha posizioni decisamente “dure” nei confronti di chi si preoccupa della salute degli ecosistemi. Però ha negato l’autorizzazione a trivellare i fondali della Florida per cercare combustibili fossili. Un po’ perché c’è già stato un incidente devastante nel recente passato e un po’ perché la Florida è “unica”, e questa unicità richiede che non sia esposta a pericoli. Il che significa che i rischi di gravi conseguenze a seguito di attività di estrazione ci sono. Come comprovato dal disastro della piattaforma Deep Sea Horizon, proprio in Florida.
Da noi si ragiona diversamente. Si concedono permessi per verificare la presenza di combustibili fossili nei nostri fondali in vista di concedere permessi di estrazione. La Puglia è proprio come la Florida: un promontorio che si protende in mare. L’Adriatico, con scarse profondità nella parte centrale e settentrionale, in Puglia diventa profondo, e recentemente sono state trovate formazioni di coralli bianchi simili a quelle trovate pochi anni fa di fronte a Santa Maria di Leuca, nello Ionio. In Puglia ci sono formazioni biologiche (le biocostruzioni di Posidonia e coralligeno) di importanza comunitaria, e poi, nel Golfo di Taranto, ci sono alte concentrazioni di cetacei perché il canyon sottomarino di Taranto arriva fino in Grecia, nella parte più profonda di tutto il Mediterraneo, e determina condizioni particolarmente adatte al benessere dei cetacei. C’è un’area marina protetta a Torre Guaceto, sull’Adriatico e una a Porto Cesareo, sullo Ionio. E ora se ne sta istituendo un’altra, tra i due mari: da Otranto a Santa Maria di Leuca, uno dei tratti di costa più importanti di tutta Italia, con un patrimonio naturalistico e paesaggistico di valore assoluto.
La Puglia è come la Florida. Di più, perché la Florida è bagnata da un oceano, un bacino enorme e in grado di “diluire” rapidamente eventuali impatti, mentre la Puglia è in un bacino di piccole dimensioni, dove gli effetti di incidenti sarebbero meno facilmente assorbiti.
La difesa dell’ambiente con i ricorsi al TAR si sta rivelando perdente. Non sono gli argomenti da azzeccagarbugli che possono fermare queste politiche dissennate. Lo deve fare la politica, e non per qualche falla procedurale che invalidi alcune decisioni. Chi prende queste decisioni deve capire di essere in errore, e i motivi per capirlo sono tanti e incontrovertibili. Tanto che persino Trump li capisce.
Non sono un ambientalista dal no pregiudiziale. Certe opere, se fatte bene e a fronte di reali necessità, possono ricevere approvazione (con la continua vigilanza sulle modalità di attuazione) e queste approvazioni devono rendere ancora più convincenti, prima di tutto agli occhi dei politici (in caso che non capiscano da soli), i motivi dei no.
Mi piacerebbe vedere ora un fronte compatto dei parlamentari, degli amministratori, di tutte le forze morali e culturali che chieda ragionevolezza al governo, in modo che questi provvedimenti siano cancellati. Mi piacerebbe sentire i motivi per cui le autorizzazioni sono state concesse e mi piacerebbe sapere quali sono i benefici che deriveranno da queste iniziative, a fronte dei rischi ambientali a cui il nostro mare sarà esposto. Mi piacerebbe sapere come si concilia la ricerca di nuove fonti fossili a fronte degli impegni verso l’abbandono dei combustibili fossili da parte del nostro paese.
Non si tratta dell’inosservanza di un codicillo giuridico, di una falla procedurale, si tratta della politica energetica e ambientale del nostro paese. La visione del futuro.
Non può essere decisa da un TAR. La devono decidere i politici eletti dal popolo. E il popolo ha il diritto di richiamare i propri rappresentanti e di metterli di fronte alle proprie responsabilità.
Quando abbiamo votato al referendum sulle proroghe alle concessioni petrolifere io mi sono battuto (spesso da solo) per una partecipazione al voto e per la negazione delle proroghe. Temevo che il fallimento del referendum avrebbe aperto la porta a future concessioni per trivellare. Alcuni partiti hanno chiesto di non andare al voto, gli altri non si sono impegnati gran che. Non ci sono state manifestazioni, cortei, levate di scudi e infatti il referendum è fallito. Non era un referendum sulle trivellazioni, ma sulle concessioni a mantenere in attività le vecchie piattaforme. Quel disinteresse, però, ha innescato il passo successivo. E ora si faranno prospezioni per cercare combustibili fossili e se i risultati saranno positivi si trivellerà. Anche la ricerca dei combustibili fossili ha effetti devastanti sulla biodiversità, figuriamoci poi l’estrazione.
Se fossimo alla disperazione, e ci trovassimo di fronte a condizioni estreme, potremmo persino pensare che valga la pena di correre un rischio del genere, ma le condizioni oramai stanno imponendo a tutti i governi di abbandonare i combustibili fossili. La scelta di cercare in mare i combustibili fossili non si basa su argomenti razionalmente difendibili. Come mai, allora, le concessioni sono state rilasciate? Chi è il responsabile? Mi piacerebbe che i politici riuscissero a trovare i nomi e i cognomi dei responsabili, chiamandoli a giustificare il proprio operato. Non di fronte a un tribunale, ma di fronte a chi ha la responsabilità di gestire la cosa pubblica. Senza rimpalli di responsabilità. Mi piacerebbe vedere qualcuno che ci mette la faccia, che dice: sì, sono io ad aver autorizzato e i motivi sono questi. A questo punto, se questa persona è stata nominata da politici, mi piacerebbe sentire i politici. E poi ci potremmo confrontare, comparando i costi di distruzione del capitale naturale a fronte dei benefici derivanti da un incremento del capitale economico, con una discussione pubblica e pacata, senza isterismi e violenze. Confrontando i dati, i fatti. Non i cavilli. Le questioni ambientali sono troppo importanti per essere affidate a semplici procedure amministrative, anche perché abbiamo visto che questa via non funziona.
Ci vuole la scienza (ecologia ed economia a confronto) e ci vuole la politica. Nella speranza che i politici abbiano sufficiente preparazione da comprendere le ragioni di eventuali parti che esprimano opinioni contrastanti. Magari facendosi ispirare da Trump….
Fallita la via dei ricorsi, è il momento di praticare la via della scienza e della politica. Sarebbe bene non assumere posizioni viscerali che degenerino in scontri fisici. Ora sono i politici a dover agire, o per fermare queste opere oppure per convincere la popolazione (e, nel mio piccolo, anche me) che si tratta di decisioni nell’interesse pubblico.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, giovedì 15 marzo 2018]