Introduzione all’edizione inglese di  STUART HALL, TONY JEFFERSON, RITUALI DI RESISTENZA

di Luca Benvenga

Questo numero di WPCS è dedicato alle subculture giovanili del dopo­guerra. Si è cercato di scomporre il termine “cultura giovanile”, cui normal­mente ci si richiama per affrontare il tema, e di ricostruire, invece, un quadro più preciso delle tipologie di subculture in relazione alle culture di classe e al modo in cui l’egemonia (culturale) si riproduce, strutturalmente e storica­mente. Questa rivista raccoglie il lavoro degli ultimi tre anni del Gruppo delle Subculture (d’ora in poi GdS) del Centro (Centre for Contemporary Cultural Studies, N.d.C.). Tale lavoro, tuttavia, continua sia nell’ambito del Centro, sia in un produttivo dialogo con i ricercatori che operano negli stessi campi di interesse. I risultati e le formulazioni raggiunte rappresentano una parte dei lavori in corso e non pretendono di essere esaustivi, definitivi o “corretti”. Au­spichiamo porteranno ad ulteriori approfondimenti, discussioni e chiarifica­zioni, che, in altre occasioni, confidiamo di ospitare nelle pagine della Rivista.

Nonostante la natura incompleta di questo lavoro, riteniamo che possa es­sere utile per descrivere brevemente come si sia evoluto il focus della ricerca nel corso del tempo, e come si è giunti alla conclusione attuale. Il nostro punto di partenza, così come per molti altri studiosi, è stato Outsiders1 di Howard Becker, il testo che, almeno per chi scrive, più di tutti ha segnato la “rottura” con la So­ciologia mainstream e la successiva adozione, da parte di una nutrita schiera di sociologi che lavorano con la devianza, la teoria subculturale e la criminologia, di una prospettiva teorica nota con il nome di “Interazionismo” (inizialmente sorta in America e rapidamente accolta anche in Gran Bretagna), e successiva­mente conosciuta come teoria “transazionale” e “dell’etichettamento”.

La lettura di questo volume, oltre che del successivo lavoro dei ricercatori anglosassoni fedeli a questa tradizione in rapida espansione, e il nostro impe­gno all’interno di questa prospettiva in generale, sono stati, tuttavia, sempre a doppio taglio; un senso di euforia per l’importanza di alcune idee generate

da questa “rivoluzione scettica” (la visione dell’azione sociale come processo piuttosto che come evento, per esempio, e soprattutto l’idea che la devianza fosse una creazione sociale, una conseguenza del potere di alcuni individui di etichettarne altri), e un senso di disagio: la sensazione che queste considerazio­ni, pur comprendendo intuizioni molto significative, non fossero abbastan­za esaurienti, e l’impressione, in particolare, che il comportamento deviante avesse origini non solo nell’etichettamento pubblico (che subiva) il soggetto. Tale senso di disagio trovava basi empiriche e teoriche nella successiva lettura dell’influente articolo di Phil Cohen (pubblicato in WPCS 2) sulle subculture giovanili, sulla loro origine nella struttura e nelle culture di classe dell’East End. Questo ha placato i nostri sentimenti di ambiguità e relegato l’analisi transazionale in una posizione marginale, a vantaggio di un interesse crescente per le origini strutturali e culturali delle subculture giovanili britanniche.

I nostri sforzi successivi, e per un lungo periodo, erano tesi a completare il quadro suggestivo tracciato da Cohen, inizialmente attraverso degli articoli che forniscono descrizioni più dettagliate di specifiche subculture (Teds, Mods, Skinheads, etc.), da cui vengono ripresi gli estratti nella sezione etnografica. Abbiamo anche cercato di sviluppare la nostra posizione in una serie di articoli, contenenti estensioni, revisioni e critiche a Cohen, tentativi che hanno costitu­ito la base della panoramica teoretica presentata in questa rivista.

A metà di questo lavoro è emerso il nostro coinvolgimento nel progetto sul fenomeno delle aggressioni a scopo di rapina – che forse ha rappresentato la maggiore, distintiva e organica influenza sullo sviluppo della ricerca e sul­la formulazione della posizione teorica e metodologica che qui assumiamo. Il progetto ha avuto due risvolti principali: politicamente ha portato ad una par­tecipazione più diretta, poiché, in origine, esso scaturiva da un interesse per un caso particolare e locale; teoreticamente ha riportato il transazionalismo nella nostra agenda di lavoro. Essendo il nostro impegno di partenza sollecitato dalla gravità della reazione giudiziale nei confronti del caso Handsworth2, non pote­vamo più ignorare la questione della reazione sociale, ma il nostro interesse a la­vorare sulle Subculture con forme di analisi strutturali e storiche, ha significato l’impossibilità di ritornare ad una semplice prospettiva transazionale. Il nostro obiettivo, quindi, era – e rimane – quello di spiegare sia l’azione che la reazione sociale, da un punto di vista strutturale e storico, in modo tale da rendere conto di tutti i livelli di analisi: dalle dinamiche di interazione “faccia a faccia” tra i delinquenti e i “controllori”, ai problemi più importanti e più indiretti – in gran parte ignorati dai transazionalisti “puri” – circa la relazione di tali attività con le trasformazioni nei rapporti di classe e di potere, con la consapevolezza (generazionale e di classe), con l’ideologia e con l’egemonia culturale.

Alcune note sulla redazione. Una considerevole parte – tra cui la lunga prospettiva teorica – nasce dal lavoro del GdS. In linea con gli scopi del Cen­tro è stato un lavoro congiunto, con i suoi pregi e i suoi difetti: dallo sforzo di sostenere una discussione in corso sui temi teorici chiave, alla stesura e alla re­visione collettiva degli articoli. Un lavoro di questo genere è, in pratica, estre­mamente faticoso e non sempre possibile, ma coloro che vi hanno preso parte vorrebbero riportare, qui, il loro senso di soddisfazione, malgrado i problemi che ne conseguono. Gran parte dello sforzo empirico è stato realizzato anche dagli studiosi del CCCS non direttamente coinvolti nel GdS: questo nume­ro attinge ampiamente dal loro lavoro (come gli studi di Paul Willis e Dick Hebdige, ad esempio). L’operato del Gruppo è stato presentato ai membri del Centro nel loro insieme, con i quali si è discusso e un certo numero di saggi ha ricevuto un loro contributo. Abbiamo tratto benefici enormi da molte persone, che, anche se esterne al Centro, non solo stanno lavorando nella stessa direzione, ma sono entrati nelle dispute teoriche e ci hanno fornito supporto intellettuale. Accogliamo in questo numero i contributi di Paul Corrigan, Simon Frith, Graham Murdock, Robin McCron, Geoff Pearson e John Twohig.

Infine, la Rivista è stata prodotta dal GdS in collaborazione con un team editoriale che non solo si è fatto carico dell’aspetto pratico, ma ha ricoperto una funzione capitale in termini di discussione e revisione (quanto detto è parzialmente riconosciuto, seppure in modo inadeguato, nei “diritti d’au­tore”, che in altre circostanze sarebbero stati inspiegabili alla fine di alcuni articoli).

Nota: La Rivista inizia con una rassegna generale che, ci auguriamo, in­trodurrà i temi principali. Segue una lunga sezione ospitante i contributi “et­nografici” sulle varie tipologie di subculture nel dopoguerra. L’intenzione è, in primo luogo, farne un elenco (anche se non esaustivo); in secondo luogo mostrare prove empiriche, e sviluppare, infine, oltre alle evidenze riportate, un punto di vista teorico, questioni o argomentazioni che si colleghino ai temi principali presenti nella “rassegna generale”. In seguito, vi è una sezio­ne di interventi (teorici) più brevi che contengono e approfondiscono alcuni dei punti affrontati solo tangenzialmente nella rassegna generale: i problemi di “stile”, di “consapevolezza generazionale”, di “politica” e la relazione delle ragazze con le subculture.

Da ultimo, Brian Roberts (sebbene iscritto ad un altro Dipartimento, ha svolto un ruolo fondamentale nel lavoro del Gruppo) e Steve Butters (che ha un legame di lunga data con diverse aree di lavoro del Centro) tornano sulle questioni metodologiche. Il saggio di Steve Butters, conoscitore e critico sim­patizzante del lavoro del GdS, tenta di aprire una disamina della metodologia di lavoro e delle problematiche in essa implicite.

 

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1 H. Becker, Outsiders, Studies in the Sociology of Deviance, The Free Press of Glencoe, New York, 1963; tr. it., Outsiders. Saggi di sociologia della devianza, EGA, Torino, 2002. [N.d.C.]

2 Cfr. “Strutture, culture, biografie”, infra, cap. 12.

 

[Introduzione all’edizione inglese di  STUART HALL, TONY JEFFERSON, RITUALI DI RESISTENZA. TEDS, MODS, SKINHEADS E RASTAFARIANI. SUBCULTURE GIOVANILI NELLA GRAN BRETAGNA DEL DOPOGUERRA, a cura di Luca Benvenga. Prefazione di Davide Borrelli. Postfazione di Massimo Canevacci. Traduzione di Luigi Cocciolo e Angela Giorgino, Novalogos 2017. Si pubblica per gentile concessione del curatore.]

 

 

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