C’è qualcosa che non va nel modo in cui affrontiamo la crisi. Il blocco del rinnovamento che impedisce la sostituzione di chi va in pensione, e i licenziamenti delle attività che falliscono, o che si trasferiscono dove la manodopera costa meno, hanno generato disoccupazione e precarietà. Ci accorgiamo che presto non ci saranno medici, che le ferrovie funzionano male per carenze di personale, e che gli altri “servizi” sono inadeguati perché non ci sono più le persone che possano fornirli. Le privatizzazioni delle imprese pubbliche non hanno dato i risultati attesi. I fondi pensione sono stati usati per altri fini: i soldi derivanti dalle trattenute sugli stipendi non ci sono più. Dovrebbero essere i lavoratori di oggi, con i loro versamenti pensionistici, a pagare le pensioni dei lavoratori di ieri. E la loro chi la pagherà? Nessuno, visto che sono sempre meno quelli che hanno uno stipendio che permetta adeguate trattenute da garantire una pensione.
Il presente è buio, e il futuro non è da meno. I precari sottopagati e con laurea sono sempre di più. Chi ce la fa scappa all’estero, impoverendo ulteriormente il capitale umano del paese. Risolviamo il problema ridimensionando l’università che, in sette anni, ha perso quasi cinquemila professori. Tanto non servono: perché pagare un sistema di formazione, se non sappiamo che farcene dei laureati che produce? Meglio non produrne più, e risparmiare sugli stipendi dei professori. Il lavoro dei professori universitari è fatto, sempre più spesso, da precari sottopagati.
La popolazione impoverisce e non spende, e se non spende l’economia non “gira”. Ci propongono tasse più basse, in modo da mettere più soldi nelle tasche delle persone, in modo che spendano e ridiano vita all’economia. Ma se i servizi diminuiscono, quei soldi serviranno per pagare quello che prima lo stato sociale garantiva. Si mettono i soldi da parte per far fronte alle necessità future. E dove si mettono? Ma in banca! E abbiamo visto cosa hanno fatto molte banche con i risparmi degli italiani.
Pare che la classe politica non sia in grado di comprendere, proponendo ricette irresponsabili, che riguardano temi che distolgono dalla realtà. Gli immigrati, le tasse, la sicurezza, sembrano essere gli argomenti su cui confrontarsi. Assieme all’Europa e all’Euro. Falsi problemi. Effetti, non cause.
Abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità, e abbiamo fatto debiti immani per mantenere uno stile di vita economicamente ed ecologicamente insostenibile, rovinando i sistemi produttivi e gli ecosistemi che ci dovrebbero sostenere. Distruggendo la bellezza del Paese che era il più bello del mondo. Era. Ora è dissestato dai rifiuti, dal degrado sociale ed ambientale.
Manca una “visione”, un patto per il futuro. Riemergono i rancori, spesso non rivolti verso i profittatori che hanno aumentato la loro ricchezza. La malavita organizzata, oramai arrivata ai “piani alti”, ha generato un sistema di corruzione diffuso, con una vocazione soltanto: depredare e arricchire. Il che ci rende poco affidabili agli occhi del resto del mondo.
Non esistono ricette magiche che, nel breve termine, possano risollevare le sorti del Paese. C’è bisogno di un patto per l’Italia che dia centralità a un rinnovamento culturale, qualcosa di simile alla ricostruzione dopo la tragedia della Seconda Guerra Mondiale, quando vivevamo tra le macerie. I temi sono: riconversione dell’economia, innovazione verso la sostenibilità, ricostruzione del patrimonio culturale e ambientale del paese. Un nuovo Rinascimento. Siamo al giusto livello di disperazione per osare il nuovo. C’è un solo problemino: nessuno sembra rendersene conto, tra quelli che lo dovrebbero proporre.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di mercoledì 28 febbraio 2018]