di Ferdinando Boero
Nel 1960 il governo Tambroni si resse sui voti del Movimento Sociale Italiano, epigono del fascismo. Sempre in quell’anno il MSI decise di fare il suo congresso a Genova, città Medaglia d’Oro per il suo ruolo nella Resistenza. Non la prese bene, Genova. Sandro Pertini parlò alla folla, e la folla rispose. I moti del 30 Giugno videro la rivolta degli operai contro la Celere di Scelba. C’erano anche mio nonno e i suoi due figli, mio padre e mio zio, con le magliette a righe. Alcuni rivoltosi furono processati e furono difesi da Umberto Terracini, presidente dell’Assemblea Costituente. Fu Terracini a sostenere che quel congresso non si dovesse fare, che doveva essere impedito.
I moti del Sessanta proseguirono a Reggio Emilia, con cinque operai uccisi dalla polizia di Scelba, che sparò contro la folla. La deriva verso il fascismo fu fermata dalla violenza di piazza.
Altri tempi.
La storia non si ripete, ma chi dimentica la propria è destinato a riviverla, in un modo o nell’altro. Quella violenza era “popolare” ed era una propaggine della Resistenza. Vi parteciparono quelli che la Resistenza l’avevano fatta, incoraggiati dai Padri Costituenti.
Negli anni Settanta la violenza non era più “popolare”, c’erano le brigate rosse. E operai come Guido Rossa capirono che non era la stessa violenza, rimanendone vittime. C’erano la strategia della tensione e la teoria degli opposti estremismi: un clima teso a risvegliare la voglia di “ordine”. Bombe di destra, omicidi di sinistra. I “compagni che sbagliano” erano funzionali a questa strategia, ottimamente riuscita nella criminalizzazione dell’essere di sinistra. Come bene aveva capito Rossa, lasciato solo.
Oggi il fascismo rialza la testa. E di nuovo riesplode la violenza. Ma non sono solo gli operai a scendere in piazza. Non si capisce neppure bene chi siano i violenti. Anarchici, antagonisti, aderenti ai centri sociali. Forse i black block che, sempre a Genova, durante il G8, giustificarono con il loro comportamento criminale la altrettanto criminale macelleria della Diaz e di Bolzaneto, che colpì chi si opponeva in ben altro modo.
Certamente qualcosa bisogna fare, per rigettare la volontà di ripercorrere strade bocciate dalla storia. È stato bocciato il nazifascismo, ma anche il comunismo non esce diversamente dal giudizio del poi. E ora abbiamo di nuovo i violenti di “destra” e i violenti di “sinistra” che si scontrano, per rivendicare idee non molto chiare che portano a comportamenti identici.
A differenza della Germania, l’Italia non ha fatto i conti con la propria storia. Ci siamo autoassolti dal fascismo, dando tutta la colpa a un uomo solo, e ci consideriamo “brava gente”. Non lo siamo: siamo stati i primi a usare i gas contro la popolazione civile, volevamo spezzare le reni alla Grecia, e abbiamo promulgato le leggi razziali. Con l’amnistia, voluta anche dal comunista Togliatti, abbiamo assolto il paese che aveva sostenuto il fascismo per venti anni. E ora ci ritroviamo di nuovo potenzialmente fascisti. Sia a destra sia a sinistra.
Il malessere dei giovani senza futuro (sono milioni) e di chi pensava di averlo e se lo vede togliere si può sfogare con la violenza negli stadi, si può annientare nelle droghe, o si può rifugiare nel populismo ma, almeno in parte, si indirizza verso un modo violento di “fare politica”. L’avversario va eliminato fisicamente.
La violenza non è sempre evitabile: se gli Alleati non avessero usato la violenza della guerra contro il nazifascismo, oggi saremmo in ben altra situazione. Un atteggiamento non-violento con Hitler e Mussolini non avrebbe avuto grandi risultati, come dimostrano i milioni di morti nei campi di sterminio. Mio padre, internato, fu liberato dal Generale Patton, con i carri armati. Ma deve essere solo lo Stato a usare la forza, come misura estrema, per fermare la violenza del fascismo.
I rigurgiti di fascismo, anche quelli di chi si dichiara antifascista, vanno fermati con l’affermazione della legalità, ma questa non può sostituire una risposta politica efficace che rimuova le cause del malessere e che non ne contrasti soltanto i sintomi.
In tutte quelle piazze, contro il fascismo, ci sono anche io. Ma non voglio diventare come “loro”.
[“Il Secolo XIX” di sabato 24 febbraio 2018]