di Luca Benvenga
Proviamo a mettere ordine. Un successo elettorale con quota di maggioranza al 40% è, ad oggi, al netto di immanenti miracoli, narrazione metafisica.
Occorrerebbe comprendere se per un benjaminiano una vittoria della coalizione di Centro-Destra con spinte più o meno democratiche, con un vantaggio espresso in 37/38 punti percentuali, stando alle ultime stime, possa portare peso alla sua tesi sulla concezione non progressista dei tempi moderni. È la testimonianza storico-contingente di un avanzamento (dopo un ventennio di Governo Berlusconi, che si è portato appresso qualche legislatura di Centro-Sinistra con le presidenze del Consiglio affidate a Dini, Prodi, D’Alema e Amato, oggi fermi al 27/28%) o di un arretramento? (forse motivato proprio dalla connessione e contiguità con il passato prossimo).
È inutile aggiungere che è presente un sentimento disgiunto tra gli elettori. C’è un elettorato… underclass nei valori culturali (sciovinismo, difesa dei confini territoriali, sessismo, passione per la violenza di strada etc.); un blocco garantito, che smuove un pacchetto di voti indirizzati ai due Centri; una collettività multiforme, distribuzionale per caratteristiche sociali e solida come movimento d’opposizione ma forse non di governo.
Ora, mescoliamo un po’ di fantascienza alla Gibson, supponiamo l’esistenza di una società distopica alle prese con la ritualizzata ipotesi della fine del lavoro, in un surreale scenario in cui i soggetti sono pagati con quello che da sempre fanno, ovvero consumare in proporzione a quello che materialmente producono (e in alcune aree geopolitiche ciò già avviene). La stoltezza non è fonte di remunerazione, discriminante soggettiva e oggettiva che negherebbe l’accesso a soddisfacenti soglie di consumo, relegando i suoi alfieri ai margini in un ordine di valori gerarchico.
La nuova società, inoltre, prevede un rigido sistema di controllo sociale, con allocazione coercitiva periferica degli individui parchi di conoscenza e di coscienza critica, stigmatizzati con attribuzioni spurie e pubblicamente sanzionabili, esposti a pubblico ludibrio ogni qual volta abbandonano il loro territorio (un po’ come nella società coeva) in cerca di nuovi orizzonti di vita.
Quale sarebbe in questo futuro assetto la risposta adattiva di chi è sprovvisto di una risorsa di dominio come l’istruzione, il sapere, la cultura? La violenza dell’apparire. La rabbia sacrilega. Ovvero, quello che oggi è manifesto nelle aree urbane strutturalmente criminogene, la violenza disarticolata che risponde alla violenza quotidiana fatta di precarietà e depressione economica (e c’è da meravigliarsi, ahimè, se la ribellione non assume contorni più grevi).
Queste circostanze di vita, nella nostra società e in quella nuova, tradotte a livello di competizione elettorale sono e saranno strumento di proselitismo per organizzazioni xenofobe, le quali senza volerlo in questo gioco di figure retoriche, da sempre attraggono cittadini culturalmente non protetti, incapaci di adattarsi alle trasformazioni di costume e di inserirsi nel mercato del lavoro (sic!), facendo leva proprio su tematiche partorite da menti a-ragionanti (o ragionanti con faziosità ai fini politici): questo è lo scarto tra il presente che esclude, nella sua meccanica, la soggettività che non produce valore o che non lo oggettivizza, e il domani il cui contratto sociale tra individui liberi (?) è tutto da riscrivere per scongiurare un modello normativo-relazionale inquietante.
Cosa votano (e con ogni probabilità lo faranno anche il 4 marzo) una buona parte di individui culturalmente non tutelati ed economicamente non garantiti lo sappiamo già: formazioni populiste con tendenze antidemocratiche. E in questo ipotetico futuro di cui si è accennato, i “nuovi” voti confluiranno tra i sostenitori o tra gli oppositori in quella che sarà la riorganizzazione dei confini nazionali sulla base del possesso di capitale culturale (traduzione di quella regolazione su base etnica odierna)?
Quando, nel nostro domani fantasioso, l’accesso ai mezzi per vivere sarà rappresentato dalla variabile della ragione pensante cartesiana, nuovo valore di scambio esistenziale, l’elettore xenofobo autoperpetuerà la sua ignoranza votando per l’autoesclusione, perché incapace di dirimere anche le più semplici questioni economiche, politiche, sociali, culturali, spingendosi fino all’autoeliminazione?