di Antonio Errico
Lo incontro in un angolo d’ombra, seduto sulla panchina di una piazza, con un cappello di paglia e I demoni di Fedor Dostoevskij tra le mani. Dico: – Vecchio vizio, i libri, professore. – Mi risponde: – Sì, un vecchio vizio, i libri. Ma a questa età è l’unico e l’ultimo vizio che rimane. Allora me lo tengo fino a quando gli occhi m’accompagnano. –
Per quarant’anni ha insegnato al liceo. Conosce i classici a memoria. Spesso a scuola diceva così: – E’ la sola ricchezza che possiedo. Peccato che non sia possibile lasciarla a nessuno. Perché questa è proprietà che ti devi costruire da solo, minuto per minuto, con pazienza, con fatica. Con passione.-
Gli chiedo come sta. Lui risponde che si sta “come d’autunno sugli alberi le foglie”. Un vecchio vizio, i libri. Poi mi dice: -Sai, d’estate la solitudine è più dura, più profonda.- Raccoglie una foglia secca da terra, la infila tra le pagine, per tenersi il segno. Poi continua: -E’ una solitudine più sola.- Aggiunge una frase in latino che non riesco a tradurre e mi vergogno di chiedere che cosa vuol dire.
Allora gli dico che la sua è la solitudine dei numeri primi. Mi guarda fisso, in silenzio. Capisco che posso continuare e dico che è il titolo di un libro di Paolo Giordano. Lui dice: -Non è un classico.- Dico: -E’ un libro nuovo.- Lui risponde, risentito, che i classici sono sempre libri nuovi. Ha ragione. Incasso. Ma continuo: -C’è una pagina bellissima che parla della solitudine dei numeri primi. Te la racconto un po’, così, come la ricordo.-
L’afa sembra galleggiare intorno a noi.
Allora comincio con il riassunto del racconto di Giordano. I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per se stessi. Se ne stanno al loro posto, schiacciati come tutti tra due numeri, ma un po’ più in là rispetto agli altri. Sono sospettosi. Solitari. Ma tra i numeri primi ce ne sono alcuni anche più speciali che i matematici chiamano gemelli. Sono coppie di numeri primi che se ne stanno vicini, o quasi vicini, perché c’è sempre un numero pari che gli impedisce di toccarsi per davvero. Per esempio l’ 11 e il 13, il 17 e il 19, il 41 e il 43. Andando avanti queste coppie si diradano. Si trovano numeri primi sempre più isolati, smarriti in uno spazio silenzioso e si avverte la sensazione che il loro vero destino sia quello di rimanere soli. Poi, quando proprio ci si sta per arrendere, quando non si ha più voglia di contare, allora si incontrano altri due gemelli, stretti l’uno all’altro.
Mi fermo. Lui mi guarda senza dire nulla. Intuisco che il racconto gli è piaciuto. Fissa un punto davanti a sé, forse nel vuoto, forse due api che ronzano intorno a un fiore. Sussurra a se stesso: -Già. La solitudine dei numeri primi.-
Si rivolge ancora a me e ripete : -Non è un classico questo libro. – Capisco che vuole allontanare dal suo pensiero quell’immagine, quell’idea della solitudine del numero primo, del suo essere destinato alla vicinanza con un altro numero primo, mentre un altro numero si frappone, li divide. Immagino che si stia domandando di che cosa quel numero che si frappone costituisca una metafora. Che si risponda che forse è metafora del destino.
Riprende Dostoevskij. Adesso è tardi,- dice, mentre l’orologio della piazza suona mezzogiorno. -Ho ordinato un pollo in rosticceria.- Non vuole più dire niente. Ripete soltanto: -D’estate la solitudine è più sola. Anche tu hai preso il vizio dei libri, ragazzo.-
Lo guardo allontanarsi lentamente. Penso che lui sia un numero primo.
(2016)