di Gianluca Virgilio
Passeggiando per le strade della città, ciascuno avrà avuto occasione di dire: questa mia potrebbe essere la più bella città del mondo, eppure… A me è capitato l’altro giorno, mentre camminavo guadandomi intorno. Ho detto: “Eppure…”, e subito mi è venuto il desiderio di descrivere il rapporto tra politica e cultura, almeno per quel che ne posso dire.
Procediamo con ordine. Compito del politico è di operare delle scelte in favore dei cittadini, volte ad assicurare il loro benessere e il viver civile. Buon governo significa creare le condizioni materiali perché i cittadini possano realizzare nel migliore dei modi la loro laboriosità e socialità. Quando il politico viene meno a questo compito, diciamo che ha fallito.
E che dire del politico che si occupa di cultura? Innanzitutto che il suo è un compito molto delicato, da svolgere con somma prudenza. Il politico deve aver ben chiaro che cosa sia la cultura. Provo a dare una definizione: cultura è l’insieme delle pratiche umane volte a coltivare la vita associata di una comunità. Coltivare? Sì, certo! Uso questa metafora suggerita dall’etimologia (cultura-coltura): la vita associata è un campo con varie colture, che però stenterebbero a crescere e a diventare edibili se nessuno durasse la fatica di estirpare le erbacce infestanti. Come il contadino, il politico fa delle scelte, di volta in volta stabilendo quali piante devono essere salvate e quali tagliate inesorabilmente: si chiamano scelte politiche, ovvero quelle che devono essere fatte a vantaggio della città. E’ inutile dire che in questa metafora le piante da salvare sono le energie positive della città, quelle che sono in grado di rendere migliore il vivere civile di una comunità. La politica non deve mai dirigere la cultura, e laddove lo ha fatto (vedi il Minculpop del periodo fascista o lo zadnovismo sovietico) ha arrecato danni spaventosi ai popoli.
Ma, ahimè, questa è la sua più grande tentazione, ben presente anche nei regimi cosiddetti democratici. Vedi il nicolinismo dei tanti assessori comunali imitatori dell’Estate romana del fu Renato Nicolini. Politica e cultura devono convivere, ma con la coscienza di avere ruoli diversi. La politica deve limitarsi – e non è poco – a liberare il terreno dalle erbacce, giusto per continuare con la nostra metafora, e garantire le condizioni materiali perché i cittadini possano esprimere liberamente la loro cultura. Ed invece il politico cosa fa? Organizza in prima persona i soliti ludi circenses – proprio come nell’antica Roma -, eventi mass-mediatici sempre assai costosi – ma tanto paga il contribuente -, di sicuro appeal e finalizzati ad ottenere un facile, immediato e sicuro consenso, spendibile nelle prossime elezioni per la propria effimera carriera politica; mentre dovrebbe volgere tutto il proprio impegno all’individuazione e valorizzazione delle forze che esprimono le energie vere della città, assicurando ad esse tutto il supporto logistico, tecnico e delle risorse finanziarie, in modo che queste forze possano emergere e creare cultura. Il politico che non sappia operare in questo modo è destinato a fallire. L’evento sporadico, infatti, quello di cui parlano i giornali un sol giorno, l’evento mediatico che raduna una gran folla anonima e poi la disperde, è il grande diserbante che uccide le colture insieme alle erbacce, e fa della città un deserto.
Che bella città è la mia, eppure…
[Quel che posso dire, Edit Santoro, Galatina 2016, pp. 13-15]