L’assedio di Gallipoli

di Augusto Benemeglio

Agli inizi del terzo millennio, con il vecchio Aldino De Vittorio ci soffermavamo  ogni tanto (ormai non camminava più, lo andavo a prendere a casa sua, dove viveva praticamente segregato) sul bastione turrito di San Giorgio, affacciati  sul  porticciolo turistico. Da una tastiera invisibile ascoltavamo come un trasuono, una musica strana venire dal  mare, o forse da un’onda fonda di risacca che tesse e ritesse la spola del tempo, riapre  pagine  dolorose e pur gloriose della storia  di Gallipoli…

Alla vigilia dell’assedio, nel 1483, nessun libro, nessun documento della storia di Gallipoli ci dice esattamente quali fossero le condizioni della città. Tutto è andato perduto, tranne una “supplicazione” presentata dall’Università a Ferdinando d’Aragona: – Maestà,  la città è desolata, c’è penuria di uomini da lavoro e anche per fare vettovaglie. Il re è magnanimo e concede franchigie da ogni dazio a “tutte quelle persone che volessero condurre  o far condurre grani o altre vittuvaglie, per venderle nella città”.

Ma è quell’onda di mare, -che ora passa e ripassa sulle antiche mura -, che ci racconta la storia e d’un tratto ecco venire verso di noi vessilli di cento leoni d’oro che ruggiscono nell’aria e fanno tremare le nuvole grigie. Sono le galee veneziane  comandate dall’Ammiraglio Marcello, riprodotte in una grande tela da Aldino (“L’assedio di Gallipoli”), una sorta di pannello scenografico teatrale in cui si può  rivivere la storia dell’assalto veneziano  sulle mura. I marinai veneti sono sulle biscagline  di corda, con i loro inguini di spuma, le oscillazioni di barbe ramate  e le  grida terribili; ma i guerrieri di Gallipoli hanno fiamme mobili nel cuore e un infinito di passioni. Gli avi di Aldino  si difendono valorosamente e  respingono  gli assalitori, finché possono. Sono barriere vive di stinchi, di braccia, di grucci e  bastoni.   Ma sulle mura c’è un’estasi di grida, un delirio  di vittoria  e di grandezza dei veneziani i cui capi urlano: “cento monete d’oro e  la più bella donna di Gallipoli per il primo che mette piede sulle mura” .

Lame, scale, vessilli invadono le torri e i bastioni,  ed è tutto un risuonare di voci strane e terribili che avanzano,  avanzano sui morti e risalgono le mura sbrecciate… poi  un suono  lontano  di campane  che annuncia  la muta  onda  nera delle donne  di Gallipoli. Tutte, giovani spose con il figlio in braccio  e  anziane,  fanciulle di undici o dodici anni con le trecce nere escono dalle  case e si riversano  sui bastioni con l’olio bollente,  i sassi a difesa estrema della loro città bella che sta per  cadere, essere presa… I loro cuori disperati formano una tastiera immensa, un’ultima barriera di clarini che  stordisce e fa arretrare i veneziani trionfanti. Le donne fanno il cielo scuro e il mare d’olio. E i  sassi e le rocce s’insanguinano di feriti e morti veneziani…  Tutto ciò è nel quadro di Aldino, come una sinfonia dalle intonazioni varie, da quelle più sorde a quelle più acute, la grandezza di un sogno che sopravvive alla sua degradazione e alla realtà della storia insieme ai granelli di polvere e al sentimento del vuoto e della morte, il tutto evidenziato con impressionante realismo e  geometrica  precisione; tutto ci puoi trovare,  anche il dolore più straziante  dei bambini massacrati, lo stupro delle donne e l’agonizzare delle onde che si infrangono  sugli scogli. Un  vizio assurdo,  un rimorso e  il silenzio, la luce  e le canzoni di mare  scritte da  un maestro  prodigioso di orchestre e di colori  che ha dentro di se  la tristezza di quelle onde infrante, il dolore di  una campana al tramonto che ridesta sopite malinconie e antichi ricordi del sangue. “Con la vanga dei ricordi/ scavo nei tumultuosi/ e frenetici abissi/ di questo mondo ora in eclissi/…Terre del mio Salento…/orlate di muri/merlettate di pietre/ come teschi calcarei… Il suo cuore è  una melograna profonda e aperta… Campi seminati di preghiere/ olivi benedetti/ e cori di bocche / di corpi sazi di lavoro/ echi di bestemmie / e rami secchi/ rivolti verso cieli neri.  E le onde sotto di noi si fanno semi fulgenti di sguardi lontani, mentre il vento del sud trasporta il profumo dei fiori d’arancio, intenso e penetrante,  e l’immagine viva di un bambino gallipolino con “ … un pezzo di carbone spento/ per angeli e madonne/ dal collo torto disegnare. 

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