di Gianluca Virgilio
Sarà una mia fissazione, ma da tempo ripeto ai miei familiari e amici che quello appena trascorso è stato l’Anno del Gatto.
Nel febbraio scorso Fuffy aveva compiuto dieci anni ed era ancora un bel gattone che andava e veniva da casa fiero delle sue conquiste. Al mattino, lo vedevi incedere sul davanzale come il re della savana, incurante delle sue ferite, che mia moglie Ornella prontamente curava. Sennonché un giorno tornò meno gagliardamente del solito: sembrava intontito. Ed infatti nel suo corpo era in atto un processo di avvelenamento che lo avrebbe portato a morte nel giro di poche ore. Non è la prima volta che tocca a me officiare in campagna il rito della sepoltura di qualche animale domestico.
“Basta coi gatti!”, dicemmo tra noi in casa, e Billie, il cane, tirò un sospiro di sollievo. Infatti, Billie non aveva mai dissimulato la sua antipatia per il felino, ma suo malgrado si era rassegnato alla convivenza forzata. “Basta coi gatti!”, ripetemmo all’unisono, rotti dal dispiacere. E così ora di gatti in casa ne abbiamo almeno tre. Dico tre, a non considerare Gray, il gatto di mia sorella, il Signor Gray, come noi lo chiamiamo, che abita al piano di sotto, ma non ha difficoltà a salire su per il gelsomino che gli fa da scala fino alla veranda di casa nostra; a non considerare la Fuffa, così chiamata per la grande somiglianza con il defunto Fuffy, da cui discende per forza di geni; e Milù, un maschio altezzoso e diffidente, altra fotocopia del predetto Fuffy. Ogni tanto poi si fanno vedere altri esemplari della fauna felina dei dintorni, i cui padroni forse lesinano il cibo… Le mie figlie li hanno chiamati Mascherino guerriero e Lady Mascherina, a causa del manto maculato che, intorno agli occhi, forma una specie di maschera nera.
Ora vi presento i nostri tre gatti, raccontandovi la storia della loro adozione – in realtà, credo che siano stati loro ad adottarci -. Fatto è che un bel giorno dell’aprile scorso, quando il dolore per la morte di Fuffy cedeva lentamente all’oblio, all’improvviso compare sulla veranda una gatta grigia dal musetto gentile e dal miagolio strappalacrime – i gatti sanno toccare certe corde dei sentimenti umani -, molto emaciata e smunta, quasi barcollante sulla zampine a causa della fame. Chiedeva del cibo. Potevamo noi rifiutarglielo? E’ ritornata il giorno dopo, poi il giorno l’altro e l’altro ancora, finché non si è rimessa in forze. A quel punto, sapete che cosa è accaduto? Ci ha fatto una sorpresa: una cucciolata di ben quattro gattine! Ora, se la gatta ci avesse presentato all’improvviso le sue quattro figlie, senza adottare i dovuti accorgimenti, credo si possa convenire che una sorpresa del genere avrebbe turbato il normale andamento della vita di una famiglia che vive in un normale appartamento, cioè con poco spazio a disposizione, nel quale due mesi prima si era giurato: “Basta coi gatti!”. Penso che la gatta si sia resa perfettamente conto della situazione ed abbia messo in atto una tattica dilatoria, ovvero dei piccoli passi. Eccone la descrizione.
L’appartamento in cui abita la mia famiglia, come ho detto, è posto al primo piano e si affaccia su un giardino per mezzo della summenzionata veranda; un gelsomino vi si arrampica coi suo rami nodosi e contorti. Ecco la gatta che, per quella strada impervia, sotto lo sguardo meravigliato di noi altri, ci porta le sue figliole, prese ad una ad una per la collottola. Non ha occupato subito la veranda – sarebbe stata scortese ed invadente – , ma uno spazio stretto tra la colonna e il gelsomino, trasformato in una sorta di “nido”, sicché noi non arrivavamo a toccare le gattine, ma potevamo vedere la madre mentre dolcemente le allattava. Il risultato è stato che l’istinto materno di Ornella, mai sopito, si è vieppiù acceso, e quello delle mie figlie Giulia e Sofia si è improvvisamente svegliato, mentre Billie ha cominciato a preoccuparsi e non la smetteva di abbaiare, presago di quanto sarebbe accaduto. Ed io? Mah, da tempo ho smesso di ostacolare il corso delle cose, soprattutto se esso mi pare del tutto naturale; o forse scrivo questa storia per farmene una ragione. Subito si è dato altro cibo alla gatta-mamma per rimpinguare le sue mammelle; poi, col passare dei giorni, quando ci si è resi conto che le quattro gattine potevano essere svezzate, con un panierino si è trovato il modo di calare del cibo nel “nido”; finché, dopo meno di un mese, le nuove arrivate hanno fatto il salto decisivo: dal “nido” alla veranda, senza curarsi dell’abbaiare di Billie – si sa che can che abbaia non morde -, del resto sorvegliatissimo dalla gatta-madre. Il passaggio successivo, cioè dalla veranda all’interno della nostra abitazione, è stato più che naturale.
A questo punto devo ringraziare un collega di mia moglie per aver accettato di prendersi cura di due delle quattro gattine, che ora vivono felici e contente in un paese vicino al nostro, liete di scorrazzare in un bel giardino.
Quello appena trascorso, tuttavia, non sarebbe l’Anno del Gatto, se la storia finisse qui. Mentre accadevano i fatti che ho raccontato, io non perdevo la mia abitudine di andare in campagna, dove di solito bazzicano diversi gatti, che in estate i padroni vezzeggiano e nutrono, per dimenticarsene poi in inverno; e allora vedi questi poveri gatti affamati alla ricerca disperata di qualche povero topolino disposto ad essere divorato; salvo essere essi stessi preda d’una volpe o di un cane inselvatichito. Così va il mondo! Ora, poi, che nelle campagne salentine è comparso il lupo, chissà che cosa mai accadrà! Ma per tornare al nostro racconto, accadde dunque nei giorni di lutto per la morte di Fuffy, che ebbi la debolezza, recandomi in campagna, di portare del cibo ai gatti. Non l’avessi mai fatto! La volta seguente ero atteso sulla soglia del fondo da tre gatti affamatissimi, che evidentemente avevano rinunciato alla caccia al misero topo per attendere il mio arrivo. Si tratta di tre gatti, un maschio dominante che mangia per primo, e guai a chi si avvicina alla ciotola, poi mangia la femmina, infine il secondo maschio subalterno. Pertanto, tra le mie incombenze vi è anche questa: ogni volta che vado in campagna, devo ricordarmi di portare del cibo ai gatti, per non deludere le loro aspettative. Se me ne dimentico, sono capaci di rimproverarmi per una mezz’ora coi loro miagolii disperati, finché, rassegnati, non si decidono a iniziare la caccia.
Tornato a casa, trovo il Signor Gray, il gatto di mia sorella, che mi aspetta fermo sul muricciolo. Gli apro la porta per farlo entrare in casa di mia sorella, che non ha mai dimostrato alcuna simpatia per le nostre tre gatte, ma Gray… Gray è Gray, Gray l’ha stregata. Mi capita di sentire mia sorella che con voce tremula lo chiama affacciata alla finestra, “Gray, Gray…”, preoccupata che il suo gatto possa perdersi dietro qualche “gonnella” o finire sotto le ruote di un’auto. Ne deduco l’immenso potere dei gatti, la loro intima forza stregonesca, a cui credevano i nostri antichi. Gray viene spesso a trovare le tre gatte che vivono con noi, ma non lo facciamo entrare in casa perché, come ogni maschio, “spruzza” continuamente e dappertutto i suoi umori, con cui marca il territorio, dandosi un’aria d’importanza. E poi noi dobbiamo tutelare l’onore delle nostre tre gatte che non abbiamo sterilizzato e dunque…
L’Anno del Gatto: sì, ne sono convinto: mia suocera ha adottato due gattine – o viceversa -, mia cognata un’altra gattina – o viceversa -, sicché quando sono ospite nelle loro case siamo sempre in compagnia di queste gatte che scorrazzano per le stanze e i discorsi spesso vertono sulle loro esigenze veterinarie.
Vado al lavoro e mi dimentico dei gatti? Nient’affatto! Ad accogliermi la mattina c’è sempre lui, il Gatto, così chiamato per antonomasia, come si conviene ad un gatto scolastico. La mia scuola lo ha adottato dopo che, l’estate scorsa, un cagnaccio gli ha mozzato la coda. Se non si fosse trovata la madre di una nostra studentessa, pronta a portarlo dal veterinario, il povero Gatto sarebbe morto dissanguato. Ora è guarito e si è stanziato nel cortile, dove tutti, docenti e collaboratori e studenti e perfino la preside, fanno a gara per portargli qualcosa da mangiare. Speriamo che non diventi obeso.
Infine, il cimitero: vado a trovare i miei cari e sulla soglia incontro numerosissimi gatti, stanziati in due colonie, una per ogni ingresso. Che siano dei gatti-psicopompi? Questo spiegherebbe il loro grande numero, dal momento che in una città popolosa come la nostra sono necessarie molte guide per le anime dei defunti che cercano di raggiungere l’oltretomba. Certamente, qualcuno li accudisce, come si deduce dai piatti di plastica che si vedono ai lati degli ingressi.
Forse non mi crederete, ma ho scritto queste parole in compagnia delle mie tre gatte: Buby, la mamma gatta, non fa che dormire nella cesta, Tita insiste a volersi accomodare sulle mie gambe e non capisce perché io debba avere in grembo questa cosa che si chiama computer; Bianca va e viene dallo studio e torcendo il capo – il che le conferisce un’aria intellettuale – sembra dirmi: “Ma che stai facendo? La vuoi smettere di muovere le dita su quel piano?”. Sembra addirittura capirmi quando le spiego che ho appena scritto la loro storia, ma di sicuro non gliene importa nulla, dal momento che preferisce giocare con la pallina.
Bene, ho finito, ho detto tutto ed ora non credo che qualcuno possa negare che quello appena trascorso sia stato, come spero di aver dimostrato, l’Anno del Gatto.