di Pietro Giannini
In questi giorni sembra di assistere allo svolgimento di una tragedia, di cui si attende ineluttabilmente la ‘catastrofe’ finale. La tragedia è quella del Partito Democratico. Il copione è molto semplice. Vi sono due personaggi, appartenenti allo stesso partito, che sono contrapposti tra loro: l’uno rivendica la legittimità della nomina a segretario, l’altro oppone il tradimento degli ideali fondativi. Nessuno dei due è capace di un passo verso le ragioni dell’altro: il contrasto è insanabile. I tentativi di conciliazione falliscono e la separazione è inevitabile. Ora le due fazioni si preparano allo scontro finale (elettorale) che sancirà con la forza dell’ordalia le ragioni dell’uno o dell’altro. Chi sopravviverà sarà il vincitore.
Detta così la vicenda dei nemici di partito non può non ricordare la storia dei figli di Edipo, Eteocle e Polinice. I due eroi sono fratelli, anche se nati dal legame incestuoso di Edipo con la madre Giocasta. Dopo l’esilio del padre tocca a loro governare Tebe. Convengono di regnare ad anni alterni: il primo turno tocca ad Eteocle. Ma, finito l’anno, egli si rifiuta di cedere il potere a Polinice e tradisce così l’accordo iniziale. Polinice non accetta di essere privato di ciò che gli spetta e organizza una spedizione militare con l’aiuto di Adrasto, re di Argo, di cui ha sposato la figlia. Con l’adesione di altri eroi, sette eserciti marciano contro Tebe. Ma questa minaccia non convince Eteocle a cedere dal suo proposito. E nemmeno il tentativo di conciliazione messo in atto, secondo alcune tradizioni, da Giocasta, riesce ad evitare lo scontro finale. Nella battaglia finale sotto le mura di Tebe Eteocle sceglie deliberatamente di opporsi alle schiere comandate da Polinice; così ha luogo il duello tra i fratelli, i quali muoiono l’uno per mano dell’altro (Sette contro Tebe di Eschilo).
Il mito può essere utilizzato talvolta per chiarire alcune situazioni attuali senza peraltro sovrapporsi in maniera totale ad esse. Voglio dire che non tutti i particolari del mito trovano rispondenza nella situazione concreta a cui esso viene applicato (e questo vale per ogni forma di paragone). Nemmeno nel caso in questione questo procedimento è legittimo. Tuttavia alcuni elementi di somiglianza possono essere rilevati.
Renzi e D’Alema possono essere considerati ‘fratelli’ in quanto appartenenti alla stessa ‘famiglia’ politica. Il loro compito sarebbe dovuto essere quello di collaborare per farla prosperare. Ciò non significa che sarebbero dovuti andare necessariamente d’accordo (questo non succede nemmeno nelle ‘famiglie’ vere); ma avrebbero dovuto almeno mantenere il loro dissenso nei limiti di una dialettica costruttiva: Renzi ha avuto una legittimazione dalle primarie e quindi ha acquisito il diritto di determinare l’indirizzo politico del partito. Ma Renzi ha commesso un atto di superbia: ha preteso di ‘rottamare’ l’avversario. Il rinnovamento delle classi dirigenti di un partito è un’operazione certamente legittima, ma le denominazioni dei fatti hanno un loro peso e ‘rottamazione’ richiama l’idea della distruzione di vecchie auto più che quella di un avvicendamento generazionale. Da qui la hybris che è all’origine dell’intera vicenda, come all’origine della storia dei figli di Edipo vi è la hybris di Eteocle che viola l’accordo iniziale. Ed in entrambi i casi la hybris genera l’ate che acceca i contendenti e li porta inevitabilmente alla catastrofe. Anche la mediazione di Fassino si è scontrata con i dinieghi del gruppo di D’Alema, come nel teatro tragico fallisce la mediazione operata in extremis di Giocasta (Fenicie di Euripide). Al momento attuale Renzi e D’Alema si preparano, con i loro partiti, a scontrarsi nei collegi elettorali in duelli della cui pericolosità sono essi stessi consapevoli perché, togliendo voti gli uni agli altri, molto probabilmente favoriscono la vittoria del Centrodestra o dei Cinquestelle. E che cosa è questo se non un omicidio-suicidio politico? Ma allo scontro essi vanno consapevolmente, con l’unica prospettiva di provare la soddisfazione di vedere sconfitto il ‘fratello’ divenuto ‘nemico’.
La cecità del progetto si manifesta anche nel fatto che i due contendenti pensano di rinviare al dopo-elezioni gli eventuali tentativi di accordo politico, senza contare che dopo le elezioni si potranno trovare in una situazione che li esclude totalmente dalla possibilità di governare.
Nel mito la morte dei fratelli, eliminando le cause dell’odio, porta alla salvezza di Tebe. Oggi non si sa quale sia la sorte del Partito Democratico. Se sarà una disfatta, i due contendenti ne porteranno tutta intera la responsabilità.
[“Il Galatino” anno LI n. 1, venerdì 12 gennaio 2018, p. 1.]