di Ferdinando Boero
Il bellissimo articolo di Michele Carducci sul Quotidiano di ieri mi stimola ulteriormente ad approfondire l’argomento da un altro punto di vista. Mi piace molto il termine dossologico (dall’agenzia doxa) che basa le proposte sui sondaggi (la Doxa è un’agenzia di sondaggi). Una tendenza iniziata già nel secolo scorso: si deve dire alla gente quello che la gente già pensa, in modo da assecondarla. Ovviamente per poi fare tutt’altro. Berlusconi è maestro in questo, ma non è una strategia inventata da lui.
Scientismo è un’altra a parola degna di nota. Un tempo mi piaceva pochissimo e quando la sentivo dal compianto amico Mario Signore mi indispettivo. Scientismo significa eccessiva fiducia nella scienza. Ovviamente mi indispettiva! Che altro c’è, oltre alla scienza, per acquisire conoscenza? Poi ho capito. Non c’è una scienza, ce ne sono tante. E c’è un’altra parola che serve a capire le insidie di un’eccessiva fiducia nella scienza: riduzionismo. Significa ridurre la complessità di un argomento, suddividendolo in argomenti più semplici, in modo da comprendere il funzionamento delle sue parti. Ma, lo sappiamo bene, il tutto è più della somma delle parti. Dopo il riduzionismo, le parti scomposte devono essere messe assieme e devono contribuire ad acquisire una visione “olistica”: una visione del tutto. Lo scientismo è quello di una scienza riduzionista che pretende, da sola, di spiegare tutto. Quando si lanciò il progetto genoma umano, per esempio, si fece passare l’idea che, decodificato il nostro patrimonio genetico avremmo capito tutto. Non è stato così. I geni spiegano molto, moltissimo. Ma non tutto. E che dire del bosone, la particella di Dio? Anche quello è stato venduto come la soluzione di tutti i problemi sull’origine della materia.
I cultori di ogni disciplina, all’aumentare delle conoscenze, soffrono di una diminuzione delle conoscenze delle altre discipline. Coltissimi in una porzione di conoscenza, e sempre più ignoranti nelle altre. Come Stephen Hawking, grandissimo esperto di astrofisica, che consiglia all’umanità di risolvere i problemi ambientali andando a colonizzare altri pianeti. E’ evidente che di ecologia ed evoluzione conosce poco. Gli si potrebbe semplicemente obiettare: se stiamo distruggendo questo pianeta, cosa gli fa pensare che il nostro arrivo su un altro pianeta non distruggerebbe anche quello? E cosa gli fa pensare che esistano altri pianeti con ecosistemi belli e pronti che rendano possibile la nostra vita? O pensa di poter trasferire su altri pianeti gli ecosistemi terrestri?
Questi pochi esempi mostrano come scienze importantissime, dalla genetica, alla fisica particellare, all’astrofisica, non siano comunque “risolutive” e i loro cultori sono scientisti se, invece, lo pensano.
La conoscenza enciclopedica è oramai impossibile e l’unica soluzione consiste nella collaborazione tra le scienze. La parola “scienza” in questo ambito significa “via verso la conoscenza” e anche chi studia latino, o filosofia, è uno scienziato. Rifacendoci a Descartes, la conoscenza deve essere acquisita attraverso serie analisi seguite da altrettanto serie sintesi, non basate su pregiudizi o “verità” indiscutibili. La discussione e il confronto sono alla base del progresso delle conoscenze, e bisogna sempre essere aperti a possibili “rivoluzioni” se qualcosa di più convincente si oppone al pensiero dominante. La parola democrazia, tanto cara a Michele Carducci, acquista un ulteriore significato. La scienza democratica non è basata su quello che la maggioranza della popolazione ritiene “giusto”, ma dalla convergenza di tante discipline che, assieme, contribuiscono a ricostruire una realtà complessa, assemblando realtà più semplici. Le difficoltà di questo modo di procedere sono grandi, anzi grandissime. Potremmo quasi dire che siamo arrivati alla torre di Babele della scienza, visto che oramai i linguaggi sono talmente astrusi da diventare incomprensibili ai non specialisti. La divulgazione diventa a questo punto di importanza basilare, non solo per educare la “gente” ma anche per permettere che gli scienziati di diverse discipline comunichino tra loro. Non è un caso che l’Unione Europea chieda in modo sempre più pressante che si passi da approcci riduzionistici, con cui singole discipline elaborano la propria “verità”, ad approcci olistici, integrati, ecosistemici che vedano la collaborazione di più discipline. E’ una sfida difficile ma è l’unica che vale la pena di affrontare. L’organizzazione dell’Università in Dipartimenti focalizzati a poche discipline omogenee, l’abolizione delle Facoltà, per non parlare dei famigerati settori scientifici disciplinari, sono un ostacolo all’elaborazione del sapere “universale” (come suggerito dalla parola università) e spingono verso la compartimentazione dei saperi. Tutto il contrario di quel che si dovrebbe fare!
Scambi di visioni ed esperienze come questo con Michele Carducci sono oramai eventi rari, ostacolati dalla sempre più opprimente burocratizzazione e settorializzazione del vivere universitario, mentre le contaminazioni tra i saperi dovrebbero essere all’ordine del giorno!
Per fortuna ci sono ancora giornali, come “Quotidiano”, che consentono e alimentano questo tipo di confronto.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, mercoledì 10 gennaio 2018]