di Guglielmo Forges Davanzati
A fronte della crescita della disoccupazione nella gran parte dei Paesi OCSE, in Italia in particolare, e soprattutto della disoccupazione giovanile, un numero crescente di economisti si orienta a proporre un più incisivo intervento pubblico anche sotto forma di assunzione diretta di lavoratori nel settore pubblico. Si tratta di far svolgere allo Stato la funzione di datore di lavoro di ultima istanza (Employer of Last Resort – ELR).
Va innanzitutto ricordato che, contrariamente alla vulgata mediatica, l’intero settore pubblico italiano nelle due diverse ramificazioni è nei fatti il più sottodimensionato d’Europa. L’ultima rilevazione OCSE ci informa che, mentre nel nostro Paese la pubblica amministrazione assorbe circa 3.400 lavoratori, in Francia e nel Regno Unito, Paesi con una popolazione e un Pil pro-capite di entità simile alla nostra, se ne contano rispettivamente 6.200 e 5800. Negli Stati Uniti – Paese tradizionalmente guardato come una vera economia di mercato – il numero di dipendenti pubblici è di circa il 25% superiore al nostro. Si può aggiungere che, in Italia, l’occupazione nel settore pubblico riguarda prevalentemente individui con elevata scolarizzazione. Si può anche rilevare che una condizione di piena occupazione favorisce la crescita della produttività del lavoro. Ciò a ragione del fatto che le imprese non sono messe nella condizione di competere comprimendo i salari e sono, per contro, ‘forzate’ a competere innovando. In tal senso, lo schema ELR potrebbe essere anche – e forse più utilmente – pensato per generare crescita economica anche dal lato dell’offerta, non solo quindi come programma finalizzato al pieno impiego. A ciò si può aggiungere che, seguendo la linea teorica dei proponenti lo schema ELR, la spesa pubblica è complementare alla spesa privata per investimenti, dal momento che l’aumento della spesa pubblica accresce i mercati di sbocco e rende conveniente l’attuazione di nuovi flussi di investimenti privati. Conseguentemente, uno schema ELR potrebbe agire positivamente sul tasso di crescita della produttività del lavoro, sia per l’aumento degli investimenti pubblici che farebbe seguito a un aumento della spesa pubblica, sia a seguito del contenimento di fenomeni di obsolescenza intellettuale che si determinerebbero nel caso alternativo di disoccupazione, a maggior ragione se di lungo periodo. Un ulteriore vantaggio derivante dall’attuazione di uno schema ELR conseguirebbe dal fatto che, in condizioni di piena occupazione, sarebbe estremamente difficile reclutare lavoratori nell’economia sommersa o, ancor più, nell’economia criminale. Questo argomento è particolarmente rilevante nel caso italiano, e ancor più meridionale, dal momento che la presenza del lavoro nero e dell’attività criminale è molto più diffusa rispetto agli altri Paesi dell’eurozona. E’ un argomento rilevante anche a ragione del fatto che la riduzione dei tassi di criminalità costituisce un rilevante incentivo per l’attrazione di investimenti diretti esteri (e/o per evitare delocalizzazioni).
In più, come mostrato da un’ampia evidenza empirica lo schema ELR potrebbe utilmente ribaltare la linea di policy seguita in Italia – con la massima intensità fra i Paesi dell’Eurozona – finalizzata ad accentuare le privatizzazioni. Le privatizzazioni, come mostra un’inequivocabile evidenza empirica, generano effetti redistributivi soprattutto a ragione dell’aumento delle tariffe – e della conseguente caduta dei salari reali – e dell’eccezionale aumento degli stipendi dei manager nel passaggio dalla proprietà pubblica alla proprietà privata. Generano anche minore crescita dal momento che, in moltissimi casi, Italia non esclusa, le imprese privatizzate sono imprese orientate alla speculazione finanziaria che è un rilevante freno agli investimenti reali.
Le inefficienze del settore pubblico, come gli sprechi nel settore privato, sono ovunque. La retorica del dipendente pubblico fannullone resta tale, fa danni al Paese, impedisce un dibattito aperto su come l’intervento pubblico in economia può contribuire alla crescita economica e all’aumento dell’occupazione, soprattutto giovanile e soprattutto di alta qualità. Se assumiamo come variabile di approssimazione per quantificare le inefficienze del settore pubblico il numero di assenze per malattie, si scopre, su fonte INPS che, nel confronto internazionale, il settore pubblico italiano è caratterizzato da bassissimi tassi di assenteismo. La bassa efficienza del settore pubblico italiano non sembra essere quindi dovuta alla scarsa motivazione al lavoro dei suoi dipendenti, ma piuttosto alla bassissima dotazione di capitale che ne caratterizza i processi di produzione di beni e servizi.
Per quanto riguarda il finanziamento del programma ELR, si propone di reperire le risorse restando nella cornice dei vincoli europei di consolidamento fiscale. In questo scenario, l’intervento potrebbe essere finanziato tramite un consistente aumento della tassazione sui redditi più elevati, rendendo più progressiva la struttura delle aliquote di imposta – anche per elementari ragioni di equità distributiva e per contrastare la crescita esponenziale delle diseguaglianze. Il che includerebbe anche un aumento delle imposte su successioni e donazioni e sui c.d. capitali scudati. Un ulteriore (non alternativo) canale di finanziamento potrebbe derivare dalla riduzione di spese pubbliche si dubbia utilità, a partire dalle spese militari (si pensi agli F35). Ancora, il recupero delle tasse evase o eluse, stimato nell’ordine di circa 1000 miliardi l’anno, potrebbe – stando alla Commissione Europea – costituire un importo sufficiente per approssimarsi al pieno impiego, almeno nel caso italiano.