di Antonio Errico
Ormai si è fatto tutto liquido. La società, la letteratura, l’economia, la sociologia, le ideologie, la comunicazione, l’informazione, la formazione, i metodi, le teorie, le ragioni, i sentimenti, l’esistenza di tutti, di ciascuno. Tutto si è fatto liquido. Esasperando, esagerando, distorcendo la metafora di Zygmunt Bauman, tutti gli accadimenti sono diventati liquidi; la Storia è diventata liquida. Sono liquidi i rapporti tra madri/padri e figli, quelli tra amici, quelli di lavoro. Le relazioni amorose sono liquide. La liquidità cresce, diventa alta marea; si galleggia nella liquidità; in certi casi ci si lascia sommergere. Ma a volte mentre si galleggia, mentre si sprofonda nella liquidità, si viene sorpresi dalla sensazione, dal dubbio, dal sospetto, che si abbia anche bisogno di una qualche solidità. In natura si ha bisogno del fiume e del monte, del liquido e del solido. Si ha bisogno delle due cose anche nella cultura. Si ha bisogno di riferimenti che non si frantumino rapidamente, di certe condizioni che non si trasformino continuamente.
Una conoscenza liquida è suggestiva. Una conoscenza solida è necessaria. Il fascino della conoscenza liquida, non di rado si ritrova a confrontarsi con la facile deperibilità, l’effimeratezza, la provvisorietà. La conoscenza liquida svapora, si dissolve, lascia un vuoto. E’ come se non ci fosse stata mai.
La conoscenza solida, invece, è una stratificazione di significati, si costituisce come fondamento per conoscenze nuove, diventa un patrimonio per tutta l’esistenza.
La conoscenza liquida a volte sopraggiunge quasi inaspettata: spesso è un evento casuale, un fugace incontro con un oggetto del sapere, con una sua rappresentazione, un simbolo, un’icona, una sua sintesi sbrigativa, una sua schematizzazione inadeguata.
La conoscenza solida, invece, quella necessaria, richiede impegno, coerenza, costanza, fatica, sacrificio. Non viene per caso; bisogna cercarla, costruirla lentamente, coltivarla come una pianta, sorvegliarla continuamente, tenerla al riparo, certe volte, dalle intemperie, e di frequente le intemperie sono generate proprio dalle forme di conoscenza liquida, che promettono saperi immediati, contenuti facilmente spendibili, carte da buttare sul tavolo per vincere quella mano di gioco. La conoscenza liquida dice: basta un clic e nel giro di qualche secondo puoi conoscere quello che vuoi, puoi appropriarti di un’informazione, puoi avere nozione di date e di luoghi, puoi impossessarti di cronologie, biografie, bibliografie. Basta un clic e si apre una pagina che contiene la soluzione al tuo problema, l’appagamento della tua curiosità, il soddisfacimento del tuo interesse.
La conoscenza solida dice: per apprendere, per comprendere, devi studiare con sistematicità, devi rinunciare al sonno, devi mettere te stesso alla prova, ci vuole tempo, ci vuole pazienza, devi pensare, ripensare, ragionare, comparare, analizzare, discernere, verificare, ponderare, valutare. Non basta un clic sulla tastiera. Devi affondare lo sguardo dentro i libri.
La conoscenza liquida costa poco e poco dura. La conoscenza solida costa molto e dura per sempre. Questo è quanto. Basta semplicemente scegliere. Noi abbiamo scelto la conoscenza facile, immediata, confezionata, uguale per tutti, approssimativa, omologata, superficiale. Liquida. In ogni campo, in ogni parte del campo. Non abbiamo tempo o interesse o desiderio di renderla solida, di approfondire. Non ci importa che sia una conoscenza che dura, che si struttura, che in qualche maniera rappresenti l’identità culturale di ciascuno o di una comunità. Ci interessa soltanto poterla spendere per quello che serve, dove e per quanto serve.
Forse si potrebbe anche dire che non ci interessa più la qualità della conoscenza, che in fondo ha una relazione intrinseca con la qualità dell’esistenza.
Abbiamo fatto la scelta di quello che si consuma; abbiamo rifiutato la solidità del sapere. Abbiamo abolito l’idea della stabilità e i processi che conducono alla condizione di stabilità. Con arroganza, o con umiltà, ci si potrebbe domandare che cosa potrà rimanere, di noi, di questo tempo, fra un certo tempo. Qualche civiltà ha lasciato i numeri e gli alfabeti, qualche altra ha lasciato le conquiste di libertà, di diritti, di pensieri. Da queste eredità è venuto tutto il resto. La scienza, per esempio, è stata una conseguenza dei numeri e degli alfabeti. Quelli sono stati saperi solidi; anzi granitici. Che cosa lasceremo noi non si riesce facilmente a comprenderlo. Probabilmente, qualcuno potrebbe fare un lungo elenco, che io accetterei, di cui sarei ovviamente contento, a patto che non s’inganni: nel senso che in quell’elenco non dovrebbero essere comprese tutte quelle cose che sono diretta o indiretta derivazione dei numeri o degli alfabeti. Per esempio, penserei ad un inganno se qualcuno mi dicesse che la contemporaneità sta lasciando in eredità la tecnologia. Perché la tecnologia è sempre esistita ed è stata strettamente correlata ai tempi e alle espressioni della cultura; perché la sua evoluzione, anche straordinaria, è stata comunque fondata sull’evoluzione dei sistemi che riguardano i numeri e gli alfabeti.
Allora viene da chiedersi se non sia il caso di ripensare il nostro modo di confrontarci con la conoscenza e forse anche di rivedere le scelte che si fanno rispetto alle sue tipologie. Forse adesso, guardandoci intorno, guardandoci dentro, valutando gli esiti e le conseguenti prospettive, è venuto il tempo di una riconsiderazione, di una riproposta della domanda essenziale che riguarda la motivazione del conoscere. Forse questo è il tempo giusto per una riscoperta di quella conoscenza che assume la funzione del lievito e che di conseguenza risulta essenziale.
In qualche modo, e secondo le storie che ciascuno attraversa nel corso della vita, la conoscenza incide sul nostro modo di essere con noi stessi, con gli altri. In qualche modo decide anche i nostri destini. Allora forse vale la pena cercare, o farsi cercare, da quel sapere che può tenerci compagnia durante tutta la strada, che può farci comprendere le bellezze che ci scorrono davanti occhi, che può avvisarci dei pericoli che si appostano a certi incroci.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, domenica 26 novembre 2017]