di Gigi Montonato
Era del 1931, Donato Valli; non era anzianissimo. Ci ha lasciati nella notte tra il 17 e il 18 ottobre, all’età di 86 anni.
Da qualche anno era tornato nella sua Tricase, protetto dalla moglie, la signora Enza, che cortesemente lo negava ad amici e colleghi che lo cercavano. Donato Valli non poteva accettare l’invito per questa o quella manifestazione culturale, come aveva fatto per tanti anni della sua intensa vita di intellettuale militante. Non più. Non stava bene. Ma aveva troppo abituato l’ambiente alla sua generosa disponibilità perché ci si rassegnasse al suo silenzio.
Ora che se n’è andato, la sua assenza naturale si fa più insistente presenza culturale, potendo ricordarlo e celebrarlo come uno dei più luminosi esempi di cittadino, di docente e di studioso della nostra terra. Un salentino tra i più legati al territorio, ma con l’occhio vigile tra regione e nazione, come Mario Marti, suo riconosciuto maestro, amico e collaboratore, insegnava.
Egli fu per tutta la vita un politico prestato alla cultura e insieme un intellettuale prestato alla politica, intendendo per politica anche quell’attività che lo metteva al servizio di enti e di singoli per iniziative culturali: prefazioni e presentazioni di libri, organizzazione e partecipazione a convegni, promozione e svolgimento di premi letterari. Erano i tempi a dettare la priorità ora dell’uno ora dell’altro campo.
Tra i suoi primi saggi critici troviamo quelli su Girolamo Comi di Lucugnano e Luigi Fallacara di Bari, ma anche sul milanese Clemente Rebora e sul triestino Umberto Saba, in “Saggi sul Novecento poetico italiano” del 1967. Aveva, all’epoca, trentasei anni.
La frequentazione di Casa Comi a Lucugnano, sede dell’Accademia Salentina, in atmosfere di incontri tra i nostri poeti e intellettuali e gli ambienti fiorentini, romani e milanesi, gli indica percorsi che resteranno in lui come imprinting di metodo e di finalità.
Iniziò all’Università di Lecce negli anni Sessanta quando non era ancora statale, dopo un breve periodo come bibliotecario alla Biblioteca Provinciale “Nicola Bernardini” quando era direttore Teodoro Pellegrino. Fece l’assistente alla cattedra di Filologia Romanza nel 1963, poi fu docente di Bibliografia e Biblioteconomia. Dal 1971 insegnò Storia della Letteratura Moderna e Contemporanea, divenendone ordinario nel 1976. Nell’Università avrebbe poi ricoperto le cariche più alte, fino a Preside di Facoltà e a Rettore.
Durante il suo rettorato (1983-1992) l’Università crebbe, fece il grande salto, si arricchì di altre facoltà, mise le basi di Ecotekne, il polo scientifico che bilanciava gli indirizzi di studio. Il che potrebbe sembrare una dissonanza per un italianista e letterato come lui; ma così non era per Valli, uomo di lettere ma soprattutto di territorio, di cui si fece sempre interprete e valorizzatore.
Testimonianza di quella sua esaltante ma anche dolorosa esperienza al rettorato è in alcuni suoi libri: “Un cero per Nostra Signora (L’Università segreta)” del 1992, in cui si definisce un “monaco questuante” per il suo continuo bussare alle porte dei potenti di Roma per chiedere nuove facoltà; “La mia Università di tutti” del 1995, in cui si racconta come “predestinato al sacrificio”; e qua e là in alcuni scritti d’occasione, in cui forte risalta il letterato che sacrifica il comodo otium letterario per lo scomodo negotium amministrativo di una grande istituzione. Da quell’esperienza derivarono successi collettivi e territoriali, ma anche infortuni e strascichi personali che, per la loro assurda ingiustizia, lo provarono fortemente nello spirito e nel corpo. Non fosse stato per la sua fede cattolica di credente e per la sua salda etica di cittadino avrebbe potuto perdere fiducia nei valori nei quali si era formato e nei quali non avrebbe mai smesso di credere.
Tra i suoi Maestri-sodali: Girolamo Comi, di cui fu condirettore della rivista “L’Albero” fino a quando non smise le pubblicazioni; Teodoro Pellegrino, con cui collaborò alla Biblioteca Provinciale dal 1958 al 1963; Mario Marti, con cui condivise la promozione di numerose iniziative editoriali e culturali; e Oreste Macrì, a cui dedicò un corposo saggio in “Aria di casa” (1999). Ma altri se ne potrebbero aggiungere: Maria Corti e Nicola G. Donno.
Era stato Comi a volerlo giovanissimo all’Accademia Salentina, dopo che Valli si era segnalato come un brillante studente, maturatosi al liceo con dieci in tutte le materie. Appare su “L’Albero” gran parte della sua produzione giovanile.
Con Teodoro Pellegrino Valli condivise il periodo iniziale della sua carriera professionale. Accanto a lui si specializzò in quelle discipline, bibliografia e biblioteconomia, che avrebbe più tardi insegnato all’Università di Lecce.
Fu sempre orgoglioso di considerarsi allievo di Marti, fedele interprete del suo metodo storicistico che antepone la filologia alla semiologia; e di Marti fu per anni collaboratore alla Biblioteca Salentina di Cultura, producendo volumi importanti su “Poeti e prosatori salentini fra Otto e Novecento: Ampolo Nutricati Rubichi” (1980), su “Giuseppe Gigli” (1982) e sulla “Letteratura dialettale salentina dell’Ottocento” (1998) e del “Novecento” (1995).
Con Macrì Valli visse una importante stagione culturale alla rivista dell’Accademia Salentina, “L’Albero”, e col grande critico magliese mantenne sempre rapporti produttivi, benché questi lontano dal Salento.
Numerosi i suoi studi sulla letteratura italiana dell’Otto/Novecento: “Romagnosi e Manzoni tra realtà e storia” (1969), “Anarchia e misticismo nella letteratura italiana del primo Novecento” (1973), “Storia degli ermetici” (1978). Importanti i suoi studi su Vittorio Bodini (1974) e Arturo Onofri (1979) per “I contemporanei” della Marzorati. Costante l’attenzione a poeti e scrittori salentini, in lingua e in dialetto. E’ del 2002 la più completa e diffusa antologia di poeti e scrittori salentini “Novecento letterario leccese”, curata con Anna Grazia D’Oria e distribuita con la “Gazzetta del Mezzogiorno”. E’ stato il più grande studioso-patrocinatore di Girolamo Comi, di cui pubblicò l’opera nel 1977; e di cui ci ha lasciato una significativa testimonianza umana nel suo “Chiamami maestro” (2008).
E’ stato il primo studioso salentino del nostro tempo a scrivere una storia critica dell’attività letteraria nel Salento, col volumetto-approccio “La cultura letteraria nel Salento (1860-1960)” del 1971 e col più disteso volume “Cento anni di vita letteraria nel Salento (1860-1960)” del 1985. Così per la poesia dialettale salentina, di cui diede un racconto critico-storiografico nel 2003 col volume “Storia della poesia dialettale nel Salento”.
La sua ricca attività di operatore culturale trova sistemazione nei cinque volumi di “Aria di casa. Cronache di cultura militante” del 1999 e del 2005, in cui si colgono importanti notizie della sua ricca esperienza di studioso, di operatore di cultura e di rettore.
Il suo nome resta legato tanto alla storia della letteratura quanto alla storia dell’Università e del Salento. Valli è stato l’ultimo docente che l’Università di Lecce, come si chiamava prima di diventare l’Università del Salento, l’ha vista nascere e crescere, grazie all’impegno di intellettuali e politici locali, di cui oggi ingiustamente si ha poca memoria. Si sentiva perciò come uno a cui era passata la consegna di farla diventare più ricca e più importante. A tanto vocato anche per la sentita appartenenza alla stessa terra tricasina, che, per stare al Novecento, aveva espresso una personalità d’eccezione come Giuseppe Codacci Pisanelli, più volte ministro di Stato, ma soprattutto “fondatore” dell’Università, di cui era stato il primo rettore.
E’ stato triste in tutti questi anni di malattia saperlo vivo ma in silenzio. Con lui si è spenta l’ultima stella di quella costellazione, così chiamata da Oreste Macrì, che brillava sul cielo di Lucugnano; che illuminava le sale di Palazzo Comi; che annoverava con lui e Macrì, Mario Marti, Luigi Corvaglia, Vincenzo Ciardo, Nicola G. De Donno, Donato Moro, Michele Pierri, Maria Corti salentina d’adozione, Erminio G. Caputo, Ercole Ugo D’Andrea, fino ai più giovani Gino Rizzo e Gino Pisanò. Un mondo scomparso forse prima ancora di chi lo aveva così brillantemente abitato.
[“Presenza taurisanese” a. XXXV n. 11 – novembre 2017, p. 6]