di Gianluca Virgilio
Immagino un libro da scrivere, uno dei libri che non scriverò, dal titolo Ritratti di intellettuali salentini, una galleria di personaggi che ruotano intorno a un giornale, a un salotto, a un progetto, a una parrocchia, a una casa editrice, entro le corti contemporanee (Comune, Provincia, Regione, per dirne alcune), intellettuali strettamente scolastici, strettamente universitari, titolari di cattedra, scrittori assillati dal copyrigth, da un editore, direttore di rivista, ecc., tutti presi dall’ansia dell’ultimo libro da reclamizzare, zelanti gestori del proprio sito, del sito-io, con tanto di nome e cognome, perché nessun consumatore-navigante possa ingannarsi, venditori di una merce messa in bell’esposizione, che nessuno acquista e alla fine marcisce; sedicenti scrittori, poeti, artisti, cui una società disgregata sembra aver dato l’incarico della rappresentanza (compito che riesce loro molto bene), si aggirano nelle scuole, nelle università, nelle librerie, nei saloni dei palazzi storici, sulle spiagge, dovunque ci sia uno spazio per conferenze, con l’intenzione di dire, dire di sé, della propria opera, quello che mai non fu detto di alcuno.
La nostra società è fatta di una moltitudine di individui intenti al soddisfacimento del proprio interesse personale e privato. Questa moltitudine è tenuta insieme dalla comune volontà di autoaffermazione individuale. L’individuo che salvaguarda se stesso vive accanto a una moltitudine di individui che salvaguardano se stessi. Diciamo pure che la nostra società vive della complicità di una moltitudine di individui che si spalleggiano gli uni gli altri, si danno man forte perché ciascuno possa soddisfare il proprio interesse, ma sempre spiando l’occasione di tradire il compagno di ventura, l’amico. Il termine società è una pura contradictio in terminis, perché non esiste cemento che possa tenerla unita, ma solo l’occasione, il calcolo delle opportunità, oppure il cosiddetto dovere sociale, che diventa ipocrisia e maldicenza, pettegolezzo e chiacchiera. Se l’interesse privato è l’unico bene da difendere, si dovrà difendere l’interesse altrui solo nella misura in cui si richiede agli altri la difesa del nostro. In questa logica, seguendo i medesimi comportamenti di ogni individuo, si inscrive l’azione dell’intellettuale, anche di quello salentino.
L’ego degli intellettuali è gigantesco. Sono dappertutto, in tutte le contrade d’Italia, ma nel Salento-sentina rifluiscono tutti per una ragione geografica, perché oltre il Salento c’è il mare e oltre non si può andare. Molti si sono fermati qui o ci vengono periodicamente: dicono di essere innamorati di queste terre, che percorrono coi loro versi zoppi e con le loro prose sbilenche, intronando le orecchie degli indigeni coi prodotti d’un falso ingegno. Il Salento-sentina della nave-Italia rimesta, impasta, cucina, soprattutto nelle calde sere d’agosto, l’intellettuale-tipo: qualcuno che pubblica un libro all’anno lanciato da uno dei cento editori salentini, e va per paesi e per spiagge a venderlo come cerretano dei nuovi tempi: la fatica di scrivere, la fatica di vendere, di giorno in giorno, di mese in mese, di paese in paese: scrivere e vendere, vendere e scrivere, in un ciclo continuo che propaga il bla bla culturale delle presentazioni librarie. Gente che va in giro a chiedere il favore di una recensione; sicché si scrive una recensione non perché il recensore vuol dire che cosa pensa del libro recensito, per dibattere un’idea, sostenere una tesi, avanzare un’ipotesi critica, ecc., ma per fare un favore all’autore, per dimostrare di essergli amico, perché un giorno l’autore contraccambi il favore con una recensione piena di lodi e di paragoni sperticati e iperbolici.
Nel libro immaginario dal titolo Ritratti di intellettuali salentini un posto marginale avrebbe l’intellettuale in via d’estinzione che usa ancora il linguaggio degli –ismi, sollevando spesse cortine fumogene tra il lettore e il segreto della propria scrittura, che rimane tale anche al lettore che abbia molta buona volontà. Questo intellettuale in realtà non può comunicare alcunché e fa finta di trattare a parole chissà quale grande verità, quando invece tratta del nulla, il nulla del nulla.
(2013)