di Paolo Vincenti
Luigi Mariano, cantautore di origini salentine ma romano d’adozione, ha esordito nel 2010 con l’album “Asincrono”, coronamento di un percorso iniziato molti anni prima, giacché fin da giovanissimo scrive e compone canzoni. L’album “Asincrono” è davvero una sorpresa perché caratterizzato da brani intensi, raffinati e vari per stile e ispirazione che se Mariano avesse esordito negli anni Settanta, lo avrebbero collocato nella schiera dei cosiddetti cantautori impegnati. Oggi, ad occuparsi di temi civili e politici sono i rappers e gli hip hop, ma lo fanno con risultati estetici modestissimi se non infimi, e tuttavia premiati in termini di vendite e seguiti da una pletora di giovanissimi pronti a cantare i loro facili ritornelli zoppi e zeppi di parolacce in rima. Farlo invece imbracciando la chitarra, ed essere credibili, come facevano verbigrazia i giovani del FolkStudio, è molto più difficile. E infatti quella dei cantautori puri è una razza in estinzione. Ciò anche perché dopo la penultima generazione dei Bersani, Ligabue, Silvestri, Fabi, Jovanotti, Venuti, Consoli, l’ultimissima si limita per lo più a ripetere stancamente quanto è stato fatto, col risultato che uno ascolta l’originale e non la copia. Dei guizzi di novità e freschezza troviamo in Brunori sas per esempio, o in Fabrizio Moro o Pacifico, ma poca roba. Chiaro allora che il più dirompente elemento di novità sia costituito dagli hip hop e che le classifiche siano da loro dominate. Ciò premesso, Luigi Mariano si colloca nel solco di quella nobile tradizione dei “poeti con la chitarra”, come venivano definiti una volta gli appartenenti alle varie scuole, romana o genovese o emiliana, ecc. Ma seppure si potessero riproporre le categorie del passato, non si potrebbe comunque parlare di una “scuola salentina” per Mariano, per il semplice fatto che essa non esiste. Una temperie culturale, un’epoca musicale fortemente connotata, infatti, si caratterizza per contiguità di interessi, affinità di ispirazione, stesse atmosfere e matrici musicali. Che scuola sarebbe quella in cui militano Mariano e Giuliano Sangiorgi? Sud Sound System e Alessandra Amoroso? Mino De Santis e Emma Marrone? Troppo eterogena la flotta dei cantanti salentini per non doverci limitare a parlare per loro di una semplice appartenenza geografica.
L’album “Asincrono” ha imposto Luigi Mariano all’attenzione nazionale come uno dei più interessanti del panorama attuale. Infatti Mariano ha vinto numerosi premi, come il Premio Daolio 2010, il Premio Bindi 2011, il prestigioso Premio Lunezia nuove proposte 2011 e ha avuto recensioni su: “Il Tempo”, “Il Fatto Quotidiano”, “La Stampa”, “Il sole24ore”, “Il Mucchio”, “L’isola”, “Blow Up”, “Jam”, “Rockerilla”. Partendo da Roma, dove è molto conosciuto e si esibisce in storici locali come “L’asino che vola” e “L’Arciliuto”, tiene concerti in tutta Italia con particolare riferimento al Salento dove torna sempre volentieri. Nel 2013 è stato insignito anche del premio Ciampi.
Il cd “Asincrono” contiene già molte canzoni degne di nota, come “Il negazionista”, che prende di mira il vezzo di alcuni pseudo intellettuali di negare la verità storica. Quella del revisionismo infatti è una tendenza che specie negli ultimi tempi ha contagiato una certa parte dell’intellighenzia nostrana ma anche quella parte più ignorante e suggestionabile del popolo che per furore ideologico e appartenenza politica, per il calcolo delle convenienze o semplicemente per moda, nega ora questo ora quello. “Il giorno no” che apre il disco è una canzone ironica e molto divertente che ha lo stesso tema della canzone “Fattore S” di Max Pezzali e di quasi tutto il canzoniere di Francesco Baccini, col quale Mariano sembra essere in sintonia. Così come per la sincopata “Il singhiozzo”, cantata anche in dialetto salentino, canzone apparentemente non engagé, invece profonda nel tema trattato, ossia la diversità e la fallibilità umana.
Molto efficace “Il solito giro di blues”, sulla noia e la ripetitività di certa vita che diventa una solfa, come appunto un giro scontato di blues, o ancora la degregoriana “Questo tempo che ho”, su un tema molto sentito da Mariano, ossia il tempo, per il quale confessa di coltivare una vera ossessione, come dimostra la copertina del cd che ritrae il cantante abbracciato ad un orologio. Fugit irreparabile tempus, sostenevano i latini, e Mariano sembra provare sulla propria pelle l’irrimediabilità di questa massima. L’ossessione di non avere tempo sufficiente per realizzare ogni progetto ha bruciato tante vite di artisti incalzati da una sete inestinguibile e da una fame onnivora che ha finito per divorare anche loro. “Edoardo” è forse il capolavoro dell’album. Dedicato ad Edoardo Agnelli, erede dell’impero industriale di Torino ma in realtà incline per natura ad altre occupazioni come la filosofia e le religioni. Tutti ricordiamo la tragica fine del rampollo di casa Agnelli, suicidatosi nell’ormai lontano 2000. E Mariano, in questa struggente canzone, molto apprezzata dalla critica, traccia un delicato ritratto dell’uomo, dei suoi dissidi interiori, dell’incolmabile divario e dell’incomunicabilità col padre, basandosi sul contenuto delle lettere scritte dallo stesso Edoardo alla sorella Margherita. “Una nuova libertà”, voce e pianoforte, tratta il tema della dicotomia fra libero arbitrio e predeterminazione, ossia se l’uomo possa forgiare da sé il proprio destino, secondo la visione dell’ homo faber tipica del razionalismo tedesco (a cui si ispira Max Frish nel suo famoso romanzo), oppure non segua un percorso già tracciato (il destino) in cui l’anelito alla libertà sia mortificato dietro una invisibile prigione e l’azione del camminare sostituita dalla sua illusione, il volo dalla sua proiezione. Si intravede in filigrana la lezione dei classici sui quali Mariano, formazione umanistica, ha studiato. “Rai libera” è una canzone politica che riecheggia le canzoni di protesta di antica memoria (a tratti pare un Pietrangeli d’antan), e di impegno civile anche “Cosa avrebbe detto Giorgio”, dedicata a Giorgio Gaber, uno dei punti di riferimento di Mariano insieme a Jannacci. Sulfurea e corrosiva, l’autobiografica “Canzone di rottura” in cui gioca con la parole e i doppi sensi. “In questo album, seppur in piccolo” scrive l’autore nel suo sito,www.luigimariano.com, “si ritrova spudoratamente ogni mia sfumatura caratteriale: mi sono denudato, a costo di evidenziare presunti miei difetti, e col solo scopo primordiale di essere “vero” e autentico in ogni istante, nel dettaglio più insignificante. Era la cosa che mi premeva di più. Volevo un disco che cambiasse d’abito e atmosfera a ogni traccia, agile, senza per questo perdere mai l’idea unitaria della personalità (pur multiforme) del suo autore, anzi esaltandone ogni sfumatura, zompettando continuamente dalla profondità alla leggerezza, dalla raffinatezza alla carnalità godereccia, dall’afflato d’emozione alla goliardata ironica adolescenziale, dalla commozione al sorriso. Perché la vita è così: asincrona rispetto a sé stessa, densa di contrasti, perciò in movimento, costante e ondeggiante, alternato e contradditorio”. “Asincrono”, che dà il titolo all’album, è un buon brano, giusto compromesso fra pop e canzone d’autore, che nell’incompatibilità caratteriale di una coppia, nella mancanza di concertazione fra un lui e una lei, allude in maniera traslata alla mancanza di concertazione con la vita, ad una inadeguatezza di fondo tipica degli artisti e dei disadattati, ovverosia alla distonia fra vita reale vita sognata. Quasi sensuale “Intimità”, un viaggio musicale sul corpo della propria amata.
“Canzoni all’angolo”, pubblicato con l’etichetta “Esordisco” (2016) è un lavoro più compatto ed omogeneo che vanta collaborazioni molto prestigiose. Anche questo cd ha ricevuto numerosi premi come il “Premio LUNEZIA doc” nel 2016 e il Premio Civilia “Zingari felici”, quest’anno, votato all’unanimità, da una giuria di addetti ai lavori, come miglior disco di artista salentino del 2016.
“Canzoni all’angolo” è un album più americano, direi. Infatti Luigi, mantenendo l’impronta fortemente cantautorale, vira convintamente sul rock, con atmosfere acustiche e bluesy, suoni un po’ più sporchi, che lo avvicinano ad un folkteller, e alla fine dei conti, al suo maestro, Bruce “The Boss”Springsteen, del quale Mariano ha tradotto moltissime canzoni.
“Fa bene fa male”, cantata con Simone Cristicchi, è una canzone ironica sulla mania contemporanea di indagare con furore scientista su quello che ci fa bene e quello che ci fa male, soprattutto quest’ultimo. Tale mania è certamente incoraggiata dai media e dai tanti soloni, medici, ricercatori e ambientalisti, che vi pontificano, e che vedono potenziali minacce in ogni dove. “Come orbite che cambiano” è una canzone molto originale sulla fine dell’amore tra l’astrofisico Stephen Hawking e la sua prima moglie Jane.
“Scambio di persona” è una canzone su una situazione quasi kafkiana in cui qualcuno viene scambiato per qualcun altro, che riecheggia “Il sosia” di Antonello Venditti, ma anche lo psicologismo di antecedenti letterari come “Il sosia” di Fëdor Dostoevskij o “Il principe e il povero” di Mark Twain, oppure, ad un livello meno alto, la farsa della commedia latina, piena di scambi di persona e di equivoci, pensiamo ai “Menaechmi” di Plauto, che ha poi ispirato “La commedia degli errori” di Shakespeare. “Quello che non serve più” è una delle canzoni più poetiche dell’album e anche in fondo più cantautorale, sul bisogno di liberarsi del superfluo, di fare spazio nella propria vita a ciò che conta veramente, eliminando le sovrastrutture che ci hanno accompagnato nel cammino. “L’ottimista triste” è una canzone molto divertente sui paradossi, scritta insieme a Mino De Santis, che canta con lui nel brano. Una parte del testo è in dialetto; si sente la zampata di De Santis, cantautore amatissimo in tutto il Salento, che presta a Mariano parte della sua innata e corrosiva vena ironica e autoironica. “Se ne vanno” tratta della ineluttabilità del destino e della transitorietà della vita, un tema universale, cui Mariano fornisce il proprio modesto ma convincente contributo. “Alla fine del check” fotografa squarci di vita quotidiana, come dei quadretti della nostra contemporaneità, scene usuali, ordinarie, che si alternano a immagini della vita del musicista a cui rimanda il titolo ( il soundcheck è la prova del suono che si fa prima del concerti). Intenso e vibrante il testo, convincente nel rendere quel clima di attesa, alla fine della prova generale, perché il pubblico tarda ad arrivare e la sala a riempirsi, che allegorizza l’attesa della vita quando nonostante tutti i sacrifici fatti i risultati tardano ad arrivare o non arrivano per niente. E l’attesa della vita diventa essa stessa la vita.
La voce di Luigi Mariano nel disco è calda, emozionale, vicina per timbro e purezza di emissione a quella di un Claudio Lolli o di un Renzo Zenobi; invece dal vivo, specie negli acuti, tende a farsi nasale e rassomigliare da presso a quella del grande Edoardo Bennato. La produzione artistica e gli arrangiamenti dell’album sono di Alberto Lombardi. La produzione esecutiva è di Pierre Ruiz. Fra i più belli, il brano iniziale, “Mille bombe”, dedicata al padre, come tutto l’album. Cantare dei propri genitori, o dei propri figli, è scivolosissimo e si rischia di diventare banali, scontati, nella migliore delle ipotesi, sdolcinati e stucchevoli nella peggiore. Ci si pone dunque all’ascolto di questa canzone in maniera fortemente pregiudiziale. Invece Mariano ha scritto un testo bello, asciutto, senza melliflue invocazioni al papà, che infatti nemmeno cita. Bellissima “Il fantasma di Tom Joad”, cover di Springesteen, anch’essa molto rischiosa, per non dire un azzardo. Un disco celebratissimo, “The ghost of Tom Joad”, famoso almeno quanto il romanzo da cui prende le mosse, ossia “Furore”, di Steinbeck. Un disco e un romanzo fortemente evocativi per chi, come me, è cresciuto col mito della frontiera americana ed i film western sulla conquista del West. Ma da Steinbeck il pensiero va subito alla Route 66, a Jack Kerouac e alla Beat Generation, perché la strada, l’attraversamento iniziatico del paese, le storie dei senza casa e dei disperati popolano questo mito letterario. Inoltre, confrontarsi con un gigante del song americano non è cosa da poco. Onore al merito dunque, poiché Mariano ha fatto una traduzione rispettosa sia nel testo che nella musica, aggiungendoci un tocco, cifra di grande personalità musicale. “Canzoni all’angolo”, eseguita insieme a Neri Marcorè, è la canzone manifesto di Mariano, quella dei cantanti di nicchia, di chi vive all’angolo appunto, appartato, lontano dalle luci dei riflettori, ma fiero di non avere svenduto la propria arte, di non essersi omologato perdendo la propria libertà. Nei suoi concerti, è molto applaudito. Trovo giusto l’impasto fra parti cantate e parlate, un vero e proprio recital, se non teatro canzone, ma con la leggerezza data dalla brevità delle parti parlate e il coinvolgimento dell’abbraccio empatico col pubblico. Poste la sua capacità musicale di polistrumentista e anche la sua cultura generale, sa creare un buon mix fra suono e parole, un perfetto bilanciamento fra le due cose. Per concludere, una nota caratteriale. Mariano ha talento ed è uomo disponibile, senza burbanze da star. Non c’è molto da almanaccare se gli si pronostica un felice prosieguo.