di Antonio Errico
Finalmente adesso ho il tempo di leggere, mi diceva. Finalmente ho il tempo di riflettere su quello che leggo, di soffermarmi su un passo, una pagina, anche di rileggere un libro tutto intero. Finalmente adesso posso leggere e rileggere quello che voglio, che mi piace, mi interessa, mi attrae, mi appassiona, mi richiama.
Ho scoperto perfino la bellezza della noia, mi diceva.
Tutti pensano che quando si legge non ci si debba annoiare. Ma perche, poi. La noia ti costringe a ritornare indietro, a riprendere il filo, a ricomporre più fili che si sono sfilati dal rocchetto. La noia ti costringe a rinnovare l’attenzione, a rinforzare la concentrazione. Molte cose le abbiamo imparate in compagnia della noia. Tante di quelle battaglie di cui sono stracolmi certi periodi della storia, le abbiamo imparate sotto l’assedio dalla noia. Ma anche alcuni argomenti di geografia. Qualche volta abbiamo avuto noia anche per certe vite e certe opere di alcuni poeti. Per esempio, Vincenzo Monti, grande poeta e “gran traduttor de’ traduttor d’Omero” ci annoiava. Anche qualche capitolo dei Promessi sposi ci ha portato noia. Allora siamo tornati indietro, ci siamo imposti di leggere meglio, di capire di più, oppure soltanto di capire quello che era indispensabile capire. Non sempre l’apprendimento è un piacere; poche volte è soltanto un piacere. Quasi sempre è una combinazione di piacere e di imposizione, di noia e di attrazione. Probabilmente non è vero che la noia sia l’unica forma di felicità, come diceva Gesualdo Bufalino. Ma probabilmente non è neppure una forma d’infelicità.
Forse la noia è una condizione di attesa. Si aspetta che qualcosa riaccenda l’attenzione, che attribuisca un nuovo significato a quello che si sta facendo, a quello che si sta leggendo.
Quella condizione di attesa bisogna attraversarla; con quella noia bisogna fare i conti, aspettando un significato nuovo. Come accade ad un bambino che mentre sta giocando si annoia e si allontana da tutto, da tutti, per starsene un po’ da solo con se stesso, con la sua immaginazione, con il suo universo di dentro.
Forse la bellezza della noia consiste in questo. Forse è la bellezza di una sospensione, di un intervallo, di un attesa di significati nuovi o di un equilibrio tra i vecchi e i nuovi.
In fondo si legge per cercare significati nuovi, o rinnovati. Si legge per ripensare, riconsiderare. Ci sono molte occasioni che conducono ad un ripensamento, ad una riconsiderazione. Forse la noia è una di queste occasioni. A volte la noia proviene da una sensazione che quello che si sta vivendo, che si sta leggendo, sia già stato vissuto, letto, compreso definitivamente. Sembra che non possa dirci e darci nulla di nuovo. Ma attraversando la condizione di noia, imponendosi di ritornare sui concetti, sulle storie, accade che durante il percorso, oppure alla fine, si scoprano significati che aderiscono al nostro esistere in quel momento, che si conformano al nostro pensiero, alla visione del mondo che abbiamo in quel momento. Mentre si attraversa la noia si verifica l’evento della sorpresa. E’ a quel punto che tutto viene riconsiderato, ripensato, rielaborato, riformulato, rivissuto, risignificato. E’ a quel punto che si ha l’impressione che tutto quello che pensavamo fosse una conoscenza acquisita e immodificabile si ripresenta come forma sconosciuta generando il desiderio o l’interesse della conoscenza.
In questo tempo che macina le esperienze in pochi istanti e lascia di esse soltanto una insignificante poltiglia, forse la noia si può costituire come un’esperienza di senso, come un’approssimazione alla profondità.
Finalmente ho il tempo di leggere, diceva; finalmente ho scoperto anche la bellezza della noia.
Io lo ascoltavo e mi veniva in testa “Il manifesto del libero lettore”, quel libro che è un po’ saggio e un po’ racconto, in cui Alessandro Piperno scrive che il libero lettore è colui che si lascia guidare dal capriccio, dalle sete e dalla necessità. Il libero lettore è un dilettante e in quanto tale aspira al diletto, è uno che si immerge in un’opera narrativa e non sta lì ad interrogarsi sullo spazio che essa occupa nella storia letteraria, non si chiede se sia realista, vittoriana, modernista, tradizionale, sperimentale, se appartenga ad un qualche genere. Non gli interessa.
Il libero lettore legge e basta. Perché questo gesto gli dà libertà di pensiero, lo sottrae alle sovrastrutture degli schemi e delle categorie, dei canoni, delle classificazioni, dei modelli, delle predefinizioni.
Gli interessa soltanto che lo coinvolga la storia, che un personaggio gli parli. Vuole soltanto sentire il peso o la leggerezza delle parole. Il libero lettore è anche colui che ha o che si prende la libertà di indugiare, di rallentare il ritmo, di sfilacciare il tempo, di congetturare, di lasciarsi insidiare dalla noia. Non ha compiti da finire, resoconti da consegnare, recensioni da scrivere. Il suo rapporto con il testo è esclusivo e confidenziale, e in una dimensione confidenziale la noia alle volte si acquatta in un angolo e se ne sta sempre pronta ad assalire. Quando assale si può lasciare che corroda la confidenzialità, oppure si può cercare di rinnovare i significati delle cose che si fanno, che si dicono, di scoprire quello che dell’altro non si è scoperto ancora. Al libero lettore accade la stessa cosa: può lasciare che la noia corroda il suo rapporto con quello che sta leggendo oppure cercare i significati nuovi, o attribuire ai vecchi connotazioni, sfumature, gradazioni diverse. Allora, forse, la bellezza della noia nel corso di una lettura sta proprio nella continua ricerca, nella costante tensione di un suo superamento. In fondo è come quando si cerca di trovare in ogni giorno un nuovo senso, anche quando pare che le faccende di quel giorno siano identiche a quelle del giorno passato, e che per questo ci vengano a noia. Ma in realtà non sono identiche. Le faccende della vita sono ogni giorno assolutamente diverse. A volte questa diversità ci rasserena, a volte ci inquieta. Però così stanno le cose, inevitabilmente.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, domenica 19 novembre 2017]