di Gianluca Virgilio
Ogni cosa esprima questa nostra vita – pensieri, sforzi, sguardi, sorrisi, parole, sospiri – tende verso l’altra sponda, come verso una meta che sola dia alla vita stessa un senso. Ogni cosa ci porta ad andare oltre, a superare il disordine, la morte o l’assurdo. Poiché ogni cosa è passaggio, è un ponte le cui estremità si perdono nell’infinito e al cui confronto i ponti della terra sono solo giocattoli da bambini, pallidi simboli. E la nostra speranza è tutta su quell’altra sponda.
Ivo Andrić, I ponti, in Romanzi e racconti, Mondadori, Milano 2001, p. 1184.
Ogni ponte rappresenta un rozzo tentativo dell’uomo, un abbozzo, ancora grossolano perché ancora legato al suolo, dello sforzo di realizzare il suo sogno di vincere la forza di gravità e di volare, per dominare il mondo e per trovare un posto migliore sulla Terra che calpesta e nel cosmo che lo circonda.
Ivo Andrić, Segni lungo il cammino, in op. cit., pp. 1145-46.
Siamo arrivati a Belgrado alle 17:30, dopo aver percorso circa 400 km. Abbiamo attraversato la campagna serba che, a differenza di quella albanese, macedone e bulgara, ci è apparsa ben coltivata. Grandi estensioni di mais e di girasole, ma c’è anche la piccola proprietà contadina, con le fattorie dai tetti molto spioventi – chissà quanta neve cadrà durante l’inverno! – dove si alleva il bestiame e si coltivano barbabietole, ortaggi di vario tipo e alberi da frutta.
Ad accoglierci si presenta una donna grassa e svampita, un po’ impacciata nel parlare in inglese: stenta a capire che abbiamo bisogno di un garage, come richiesto all’atto della prenotazione. Alla fine, riesce ad esaudire la nostra richiesta, guidandoci fino a un parcheggio poco distante dall’appartamento dove rimarremo nelle prossime quattro notti. Ecco il nostro indirizzo: Kraija Petra 36 Stari Grad. Possiamo considerarci fortunati per aver trovato un appartamento in una via centrale della città. Ma ci accorgiamo subito che soffriremo non poco dell’inquinamento acustico causato dalla presenza di un locale notturno proprio sotto le nostre finestre.
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La nostra prima passeggiata ci porta nel grande Parco di Kalemegdan, da cui si gode un’ottima vista della confluenza della Sava col Danubio, dominata dalla fortezza turca. Su tutto sovrasta la Statua del Vincitore.
In questo parco si può visitare un’esposizione di ordigni e armi del XX secolo, una mostra sugli strumenti di tortura del Medioevo e poi un Jurassik Park inanimato e in scala ridotta, oltre ad uno zoo, per la gioia soprattutto dei più piccoli. Un po’ troppo per noi! Torniamo indietro e percorriamo la Ulica Knez Mihailova, in italiano via Principe Mihailo, la strada pedonale e commerciale della città, che rimane il punto di riferimento per chi voglia orientarsi in questa parte di Belgrado; e poi andiamo oltre, spingendoci al di là di Piazza della Repubblica fino alla gigantesca Chiesa ortodossa di San Sava, la più grande dei Balcani, a cui si lavora da decenni, ma che è ben lontana dall’essere finita. L’enorme cripta invece è già pronta per fedeli e turisti, nuovissima: a noi ha dato l’impressione, coi suoi marmi pregiati, i colori sgargianti dei dipinti e le luci accecanti degli enormi lampadari, di assomigliare molto ad una sala-ricevimento d’un Grand Hotel extralusso.
La città si presenta in modo molto vivace: i palazzi sono ben tenuti e le strade sono percorse da turisti provenienti dalla Mittleuropa, dal resto dei Balcani e dalle regioni dell’Est; ma non mancano, sebbene meno numerosi, i turisti occidentali.
C’è poco da fare: se vuoi vedere una città devi camminare, e noi abbiamo camminato così tanto che alla fine, per tornare indietro, abbiamo dovuto prendere un taxi.
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La Sava e il Danubio scorrono in basso nel loro ampio alveo che s’incrocia sotto il poggio di Belgrado; le loro acque scivolano silenziose, lontane dall’abitato, verso l’ampia vallata che si vede dalla fortezza turca, segnando la distanza e quasi un senso di estraneità. Da queste vie navigabili giungevano il benessere dei commerci e degli scambi, ma anche eserciti vendicativi e assetati di sangue, piene distruttive e morte. Forse questo spiega il particolare rapporto di Belgrado coi suoi fiumi, che la città sembra tenere a distanza e sorvegliare dall’alto, su cui intende vigilare, fortificandosi contro le insidie che da essi potrebbero provenire. Qui non è come a Roma, Parigi, Londra, dove i fiumi accompagnano la tua passeggiata urbana come animali addomesticati e sono parte del vissuto quotidiano di ogni cittadino che abiti nei pressi della riviera. Qui i fiumi sono lontani dalla vita di tutti, dimenticati nel traffico urbano che volta loro le spalle e continua per conto suo come se essi non ci fossero. Chi voglia scoprire la città, deve allontanarsi dai fiumi, non seguire il loro corso.
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Il più ricco museo di Belgrado, il Narodnj Muzej, chiuso per lavori in corso: delusione! Da buon turista, mi sono fatto fotografare in compagnia di Ivo Andric, nel Largo a lui dedicato (Andricév venac). Lettura pomeridiana di Pirjevec, Le guerre jugoslave.
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Stamane, io e Ornella abbiamo percorso in discesa la Kraija Petra, decisi a raggiungere le sponde del Danubio. Nessun aiuto dalle indicazioni stradali, numerose, ma non una che portasse verso il fiume. Lungo il percorso, visita all’unica moschea rimasta in città, la Moschea Di Bajrakli, del XVI secolo. A fianco sorge un piccolo, basso minareto. E dire che nel Settecento Belgrado era una città dall’architettura quasi interamente ottomana!
Alla fine, seguendo la cartina, eccoci davanti al grande fiume, il Danubio, l’Hister dei romani, il secondo d’Europa dopo il Volga. Qualche gabbiano, qualche anatra, un paio di cigni attratti dallo scarico di una fogna, un corvo sulla riva destra: questa la fauna presente in loco. La lunga passeggiata sull’argine porta fin sotto la fortezza. Una ragazza corre (pensando di essere) invisibile a tutti grazie ai suoi auricolari, una donna anziana seduta su una panchina prende il sole d’agosto, qualche pescatore con la canna, pochissimi viandanti. Al fiume sembra interessarsi quasi nessuno. Assente anche il traffico fluviale commerciale, neanche una chiatta o un barcone. Nell’ampia distesa del Danubio, solo un pescatore con la sua barchetta!
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Visitato il Museo etnografico, in cui sopravvive un certo spirito nazionalistico come motivazione ideologica di fondo. È tutto un po’ rétro. L’esposizione sembra inventata e abbandonata lì da circa trent’anni (e forse più), lasciata al buon cuore dei visitatori: non ci sono sorveglianti né telecamere. Eccetto noi, non ci sono nemmeno visitatori. Fa un gran caldo e noi usciamo nelle strade trafficate di Belgrado.
Belgrado è una città di quasi due milioni di abitanti, dove si svolge una vita innaturale come in tutte le grandi città. Città di queste dimensioni non sono mai esistite nel mondo antico, mentre oggi gran parte della popolazione è inurbata e vive in luoghi superaffollati, tanto che una città come Belgrado tutto sommato si può considerare piccola rispetto a metropoli come Il Cairo, Città del Messico, New York, ecc. Ora, finché tutto va bene, cioè finché l’economia tiene, non c’è problema, la pace sociale è assicurata e ciascuno tira dritto per la sua strada. Ma che cosa potrebbe accadere se un giorno qualcosa dovesse andare storto, se l’economia dovesse crollare e nelle grandi metropoli ogni giorno non dovesse più giungere l’immane quantità di acqua, di cibo, di risorse energetiche, ecc., che oggi le mantiene in vita e le fa prosperare?
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Nella Guida turistica di Belgrado (Intersistem, Belgrado, s.i.d.) che abbiamo acquistato in una libreria della Ulica Knez Mihailova, non si fa alcun accenno al Mausoleo del Maresciallo Tito: un esempio di rimozione della storia?
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Dalla piccola scrivania del nostro appartamento, scostata la tenda, vedo un pezzetto della Kraija Petra con auto parcheggiate a destra e a sinistra; alle nove del mattino, passano auto in continuazione. Di fronte alla nostra finestra, un palazzo di sette piani che ci impedisce la vista del cielo – noi siamo al primo piano -, e sotto questo palazzo, sul marciapiede, molti pedoni trascorrono veloci, perlopiù col cellulare in mano. Nessuno si guarda in faccia né si saluta. Sotto la nostra finestra, alcune persone parlottano tra loro: sono i gestori del pub che ogni sera, fino a mezzanotte, ci allietano con una musica ossessiva sparata a tutto volume, cosa che dovrebbe servire ad attirare un maggior numero di clienti. Inserisco nelle orecchie due batuffoli di ovatta prima di andare a dormire.
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Il centro di Belgrado è come il quello di tutte le città europee, un grande centro commerciale. I belgradesi vogliono fare i propri affari, senza altre complicazioni. Perciò tutto deve funzionare a dovere: le strade devono essere ripulite dalle immondizie (osservazione fatta dalla nostra finestra, sotto la quale sono posizionati tre cassonetti che vengono svuotati tre-quattro volte al giorno), le comunicazioni devono essere rapide e puntuali, le facciate delle case ben restaurate, il selciato ben curato, ecc. In generale, il decoro urbano è importante perché gli affari prosperino e per attirare i turisti.
Abbiamo preso un taxi per raggiungere la Nuova Belgrado, sulla riva sinistra della Sava, dove avevamo intenzione di visitare la Galleria d’arte contemporanea degli autori jugoslavi del XX secolo. Arrivati sul posto e congedato il tassista, ci siamo accorti che anche questa Galleria era chiusa per lavori in corso. Delusione!
Seguiamo controcorrente il lungofiume, percorso da pochi ciclisti, pattinatori e pedoni, e guadagniamo la scala di cemento che ci conduce in cima al ponte sulla Sava già attraversato mezz’ora prima in taxi. Oltrepassato il ponte, da cui è visibile una parte notevole della città, ci dirigiamo sull’altra sponda del fiume, da cui facilmente si raggiunge la Ulica Knez Mihailova. Visitata una delle libreria presenti in questa strada e poi un’altra in Piazza della Repubblica; più per curiosità che per desiderio di acquistare un libro. Infatti, salvo qualche libro in lingua inglese, tutti i libri sono scritti o tradotti in caratteri cirillici, che a noi risultano pressoché illeggibili. Tra gli italiani tradotti, Vassalli, Eco, Tabucchi, Baricco, accanto ai globalizzati Kenn Follett, Dan Brown, John Grisham, ecc. Ma sono tradotti anche moltissimi classici della letteratura e della filosofia.
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Piacevole passeggiata pomeridiana a Zemun, quartiere un po’ lontano dal centro e dunque raggiunto in taxi, superando di nuovo il ponte sulla Sava. Camminiamo nella città trafficata, poi nel parco e infine lungo il corso del Danubio, nel tratto in cui non ha ancora incontrato le acque della Sava. Questo tramonto segna la fine della nostra permanenza a Belgrado. Dopo diciassette giorni di viaggio siamo davvero stanchi. Il giovane tassista che ci riporta indietro va molto veloce per le strade piene di traffico – facciamo appena in tempo a fissare dentro di noi una visione del paesaggio cittadino notturno pieno di luci scintillanti -, ma guida sicuro, rispettando tutte le regole del buon guidatore, fermandosi al semaforo rosso e dando la precedenza ai pedoni sulle strisce bianche, anche a costo di frenare bruscamente. Di che cosa mi meraviglio? In realtà, porto dentro di me la tristezza per l’ultimo attentato di Barcellona, dove un furgone ha seminato strage tra i turisti della Rambla. In questi formicai umani che sono le città, che cos’è l’uomo per l’altro uomo? Un niente, un niente che si può trattare come un niente. Solo se c’è una legge che gli impedisce di uccidere, l’uomo è qualcosa per l’altro uomo. Così il giovane autista belgradese, frenando bruscamente davanti alle strisce pedonali per far passare una donna, mi suggerisce l’importanza di questa legge e anche la gravità del farla cadere.
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A tarda sera, mentre stiamo preparando i bagagli, suona alla porta qualcuno: è il gestore del pub sottostante la nostra casa, che ci chiede di avere pazienza se la musica si protrarrà più a lungo del solito, fino alle due. “Voi siete leccesi” ci dice in italiano (l’avrà saputo dalla nostra padrona di casa), “e dunque conoscete Vukovic, che giocava nella squadra del Lecce. Ha organizzato una festa coi suoi amici nel nostro locale. C’è anche la sua fidanzata …”. Insomma, noi non sappiamo chi sia questo Vukovic né conosciamo la sua fidanzata, ma il gestore del pub ci chiede gentilmente di venirgli incontro e di avere pazienza. Ci vuole addirittura allungare dei soldi per comprare il nostro silenzio, ma noi siamo gentili e rifiutiamo l’offerta, concedendogli di fare musica fino alle due e rimanendo liberi di fare le nostre considerazioni su quel tentativo di corruzione.
Dormito ugualmente, cullati da una musica balcanica che tutto sommato non ci dispiace, io attenuandola coi batuffoli di ovatta.
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Alle sei, quando suona la sveglia, faccio in tempo a vedere decine di piccioni al pascolo sulla carreggiata della Kraija Petra, che beccano i resti dei bidone delle immondizie, mentre gli automobilisti ancora dormono. Ma già dopo mezz’ora i belgradesi sono svegli e i piccioni volano via sui tetti vicini.
I bagagli sono pronti, le ragazze ormai sveglie, possiamo partire. Destinazione Dubrovnik, dove ci imbarcheremo per Bari. Ma lungo la strada ci fermiamo a Visegrad, sul confine tra Bosnia e Serbia, per rendere omaggio ad Andrić, rifocillarci e farci una foto davanti al famoso ponte sulla Drina. Ahimè, quante volte ci scordiamo che a scambiare la letteratura con un feticcio si va incontro sempre ad una delusione!
Così ora siamo qui, a casa, e ripensiamo a tutto quello che abbiamo visto e provato nei giorni trascorsi in giro per i Balcani.
Che cosa avverrà dentro di noi dopo questo viaggio? Solo il tempo potrà dirlo.
(fine)