di Gianluca Virgilio
Leggere e scrivere sono due verbi con un comune denominatore: le lettere di un testo. Si legge uno scritto, difatti, come si scrive quanto sarà letto. Risulta alquanto difficile dire qualcosa a proposito della lettura senza per ciò stesso parlare della scrittura. Eppure, che io sappia, esiste la Festa del lettore, ma non quella dello scrittore. Pertanto, darò inizio a questa puntata dei miei ragionamenti con una proposta, di dedicare una giornata di festa al lettore e allo scrittore insieme.
Mi piacerebbe capire come si configuri il nostro rapporto con i libri e, in particolare come si arrivi a leggere un libro, proprio quello e non un altro; e poi come un giorno accada che si passi, inaspettatamente, ma non senza motivo, dalla lettura alla scrittura. Del resto, il lettore assiduo che non abbia avuto la tentazione, almeno una volta nella vita, di mettere da parte il libro e di prendere in mano carta e penna, a me sembra come un giovane di buone speranze, ma che non voglia diventare adulto. Intendiamoci: so bene che molti lettori rimarranno per tutta la vita lettori, senza avvertire la benché minima esigenza di “evolvere” in scrittori. Ma se nella vita di un lettore non avviene questa trasformazione, allora che cosa avviene? Il lettore si trasforma in qualcosa d’altro: un uomo colto, informato, in grado, quando è in società, in una conversazione tra amici, di ostentare molte letture (“ma come, non hai letto l’ultimo libro di…”) come conseguenza dei numerosi acquisti librari che gli conferiscono una certa superiorità sugli astanti. Il lettore rischia di trasformarsi in attento esaminatore delle classifiche dei bestseller e, coccolato dai giornali e dalla case editrici, diviene un esibizionista della lettura. E’ lui il frequentatore abituale delle librerie, da cui esce sempre con un sacchetto di novità librarie, che nel 99% dei casi contiene porcherie, di cui, dopo un mese, non si parlerà più, e pure gli scaffali delle librerie ne saranno sgombri. E’ il lettore-consumatore, il bambino che acquista l’ultimo giocattolo che luccica in vetrina, il giovane che non diventerà mai adulto, il lettore che non si trasformerà mai in scrittore!
Io non ho mai festeggiato e mai festeggerò un simile sterile lettore! Perché il mio lettore ha fattezze e modi assai diversi. Egli non si fida delle ultime novità esposte in libreria, mentre più spesso è solito recarsi in biblioteca (e speriamo che, con questi chiari di luna, ne trovi aperta ancora qualcuna!). E’ un lettore maturo, uno che non si fa dire da una classifica di giornale quello che deve leggere, ma si lascia guidare dal suo fiuto, come un cane da tartufo che scopre sempre quanto cerca e, se non trova, continua a cercare. Come si sia formato questo nostro lettore maturo, non è facile a dire, come con è facile capire come faccia a trovare il tartufo il nostro cane.
Dovremmo risalire alla nostra prima giovinezza, quando, ancora ragazzini, la lettura d’un libro ci appariva troppo difficile per le nostre forze; e ci succedeva di fermarci, alla fine di una pagina, e di tornare indietro perché la mente s’era volta altrove. Ci mancava l’allenamento alla concentrazione e se ne approfittava la distrazione, lusinghiera sempre di giochi all’aria aperta. Leggere significava concentrarsi, sacrificare il mondo esterno, quello reale, e sforzarsi di recuperarlo attraverso le lettere. Leggere significava fermarsi e avere fiducia in questo movimento del mondo verso di noi, che richiedeva solo un’attenzione piena, una dedizione alla pagina scritta.
Una volta trovata la concentrazione, ecco che la porta attraverso la quale il mondo ci avrebbe raggiunto era aperta. Da quel momento, tutto poteva accadere!
Poteva accadere che il lettore apprendesse l’esistenza di una città, troppo lontana per poterla visitare, ed allora avrebbe cercato un libro su di essa, e mentre ne percorreva le strade nella pagine del volume preso in prestito in una biblioteca, ecco spuntare il nome di uno scrittore-viaggiatore, che richiamava su di sé tutta l’attenzione per farsi conoscere, ecc.
Così, di libro in libro, di scrittore in scrittore, di stella in stella, procede la lettura… La curiosità è l’anima della lettura: la voglia di conoscenza, di sapere, di apprendere. Il mio lettore passa da un libro ad un altro come un viaggiatore intergalattico si muove di stella in stella. Egli ama circondarsi di molti libri, molti dei quali non sa quando riuscirà a leggere, e questo gli è arra che camperà cent’anni; è un bibliofilo, ma non un bibliomane. Soprattutto, il mio lettore è uno che, quando si stanca di leggere, dice: “Basta, a me carta e penna!”; e inizia a scrivere, accorgendosi che la sua scrittura altro non è che la continuazione della precedente lettura; e d’essersi trasformato in scrittore; e si sente contento, gioisce dentro di sé, e di cosa gioisca egli non lo sa precisamente, ma vi assicuro che è proprio una bella sensazione.
Proviamo ora a indagare: di che cosa lo scrittore gioisce? Forse si compiace di una pagina ben scritta o finalmente di essere riuscito a esprimere se stesso attraverso la scrittura, a far parlare il proprio corpo che la lettura per troppo tempo aveva tenuto nell’immobilità e nel mutismo? Forse sono queste le domande giuste. Quello che conta davvero nell’atto della scrittura è essere riusciti a rompere la gabbia del solipsismo, in cui la lettura ci aveva gettati. I segni del solipsismo sono evidenti nella postura immobile, nel silenzio, nella concentrazione, nell’isolamento, cui si sottopone il lettore. Leggere è stare da soli e ricevere dentro di sé il mondo attraverso le pagine di un libro. Il piacere che deriva dall’identificarsi in un personaggio d’un romanzo, dal riconoscere uno stato d’animo o dal rivivere una vicenda che potrebbe essere la nostra, è il puro piacere fantasmatico del lettore che accoglie dentro di sé, nel tempo della lettura, un mondo intero, lasciando che il proprio desiderio se ne nutra. Ed è un desiderio così forte da farci sragionare, da non farci capire subito che non basta accogliere il mondo, ma siamo noi a doverci muovere, agire.
Per fortuna arriva poi la sazietà…
Il piacere dello scrittore è proprio di chi è finalmente riuscito a sottrarsi al solipsismo, andando questa volta lui stesso incontro al mondo, semplicemente con lo scrivere una pagina inattesa, che mai avrebbe pensato di scrivere; e quella pagina, foss’anche una pagina di diario, è scritta per qualcuno che la potrà leggere (il che potrà anche non accadere, ma questo non conta). La gioia è tutta in questa apertura di uno spazio comunicativo, che segna la fine dell’esclusione cui si era sottoposto il lettore durante le lunghe giornate in cui i suoi occhi sono rimasti chini sulle pagine di un libro. La socialità del lettore, fortemente limitata dal suo solipsismo, è ora pienamente realizzata. Lo scrittore è davvero quell’animale sociale e politico di cui parlava Aristotele a proposito dell’uomo.
(2014)