di Gianluca Virgilio
Se i miei figli sapessero lo stupore che provo al pensiero d’essere padre, forse non sarebbero così distanti. Ma essi non lo immaginano neppure, perché non hanno fatto l’esperienza di vedermi in una condizione diversa, quella di figlio, che ora appartiene a loro. Per i miei figli io sono solo il padre e, tutt’al più, in futuro, potranno vedere in me il nonno dei loro figli. Ma per ora – e tanto più dopo la morte dei miei genitori – io non sono più figlio, ma solo padre.
Lo stupore per il tempo passato così in fretta da quando avevo la loro età, per il tempo irreversibile, non ha nulla a che fare con il sentimento della nostalgia. Non cambierei affatto la mia condizione attuale di padre con quella di figlio. E poi, solo al pensiero di dover ripercorrere tutte le tappe che mi hanno portato fin qui, mi viene un brivido nella schiena. Lo stupore è nel constatare l’inevitabilità del cambio di ruolo, da figlio a padre, che ogni giorno lo sguardo del figlio mi segnala e certifica, oltre ogni ragionevole dubbio. Che io sia per lui ciò che mio padre fu per me trentacinque anni fa e mio nonno per mio padre settant’anni fa, e così via, fino alla notte dei tempi, tutto questo appare scontato solo a chi non abbia voglia di pensarci e di sprofondare nelle lontananze siderali delle genealogie; ma se solo per una volta si accettasse di fare questo esercizio, allora si rimarrebbe stupiti di come sia potuto accadere che il testimone della paternità alla fine sia pervenuto nelle nostre mani: sono io, ora, il padre!
Io mi stupisco, ma non i miei figli. Loro non sanno che il sabato sera, quando allungo loro una banconota, ripeto un gesto antico quanto il mondo, lo stesso di mio padre che dal suo studio mi chiamava a sé quando sentiva che ero pronto per uscire di casa e mi riforniva di moneta con cui avrei comprato le sigarette e sarei andato al cinema; non lo sanno, come non lo sapevo io allora, perché pensano, come pensavo io allora, di essere i primi e unici figli dell’intera umanità e che nessuno, dunque, sia stato figlio prima di loro. I figli non pensano che un giorno saranno padri e che i padri un giorno sono stati figli. Manca loro la prospettiva cronologica, la cosiddetta esperienza della ciclicità della vita. Il passato non esiste per loro, il passato comincerà ad esistere solo quando avranno subito la prima forte delusione d’amore che li farà volgere indietro e dire: “Ecco, questo che mi è accaduto appartiene al passato!”.
Ma di quale distanza mi lamento? Delle scuse che adducono per tornare tardi la sera? Della vita notturna che li tiene separati dagli adulti? Della loro vita gregaria, del loro narcisismo, individualismo, egoismo, della loro mancanza di comunicazione, della loro insensibilità per chi li aspetta a casa la sera, la notte…? Quanto sarei sciocco se indulgessi a questi recriminazioni! Ogni accusa, infatti, ricadrebbe sopra di me, sul me stesso di trentacinque anni fa, sul figlio “degenere” – e quale figlio non lo è? – che sono stato, senza peraltro accorgermene.
Piuttosto, dovrei accusare la natura che ci ha fatti in questo modo! Pertanto, sopporterò con rassegnazione d’essere chiamato invadente, rompiscatole, violatore della privacy, inutile predicatore, incapace di capire, insomma, in una parola, “vecchio”. Sì, è proprio in questo modo che si consuma la tragedia del padre, quando un bel giorno, durante una civile conversazione familiare, il figlio pronuncia questa fatidica parola, e improvvisamente ci si ritrova “vecchi”, terribilmente “vecchi”. Freudianamente, è questo il momento nel quale, con una semplice parola, si consuma il parricidio in ogni buona famiglia.
Allora, se così stanno le cose, ai miei figli non posso che dire: “Va bene, avete vinto voi, fate come volete, la vita è vostra e dovete viverla voi; ma io continuerò a fare il padre, e mentre voi fate di testa vostra, io la sera mi riguarderò quel bel film di Mario Monicelli, Padri e figli. Quanto mi piace la scena finale coi due padri che si allontanano ridendo e scherzando, sconfitti e trionfanti, sulla stoltezza della gioventù!
E dunque, se solo i miei figli sapessero tutto il mio stupore per questa sorte ingrata, che un giorno toccherà anche a loro…
(2014)