di Paolo Vincenti
Enrico Nascimbeni: l’impegno della leggerezza
Avere in casa un padre, grande giornalista e letterato, e libri dappertutto, certo condiziona. E anche conoscere da piccoli Eugenio Montale perché frequenta la propria casa, o Alberto Moravia o Pier Paolo Pasolini, condiziona eccome. Insomma, se non è orzo, è grano, come dicono dalle mie parti. Chiaro che Enrico Nascimbeni doveva interessarsi di letteratura, di arte, di giornalismo, e poi, mettendoci del suo, di musica. Un intellettuale poliedrico, versatile, mai “seduto”, curioso, un comunicatore, un affabulatore. Nascimbeni è uno che ha collaborato con Leonard Cohen, con Susanne Vega, Tom Waits, Shakira, Roberto Vecchioni, Paola Turci, Mango, Francesco Baccini, ecc. Sospeso fra la canzone impegnata degli anni Settanta e il pop degli Ottanta- Novanta, la prima per contenuti, il secondo per forma, Nascimbeni cerca quella leggerezza di cui ha detto Calvino, cioè trasmette messaggi importanti attraverso l’immediatezza della sua musica. Non è un disimpegnato, cioè, è un pensatore, come conferma la sua laurea in lettere e filosofia, un libero pensatore, illuminato, poco schierato politicamente, così mi pare, senza dubbio lontano da posizioni di comodo. Potrei ascriverlo ad una certa area ideologica anarcoide di sinistra, atea, critica, non dogmatica, ma so bene quanto prurito diano le etichette quando ci vengono appiccicate addosso, e allora me ne asterrò. Enrico Nascimbeni ha iniziato a suonare e incidere dischi prestissimo, a fine anni Settanta. Ma poi, nel 1985, si mette a fare il giornalista, come il padre. Lavora per varie testate, come Il Giorno, L’Arena, L’Indipendente, Studio Aperto, Verissimo (vabbè, si deve pure campare e poi nessuno è perfetto). Nel 2000, conduce per La 7 Gold una trasmissione sportiva e un programma di intrattenimento pomeridiano. Si occupa di cronaca nera e giudiziaria e insieme al collega Andrea Pamparana, pubblica il libro “Le mani pulite”. Scrive altri libri, collabora con la casa editrice Rupe mutevole per la quale cura la collana “Le due anime”. Vicino al popolo rom, è ambasciatore dell’Unicef. Ha ricevuto svariati premi e riconoscimenti ed è stato addirittura nominato Commendatore della Repubblica dal Presidente Giorgio Napolitano (ripeto quanto sopra, nessuno è perfetto). Nel 2002 riprende la carriera musicale e pubblica “Amori disordinati”, che comprende titoli notevoli come “La casa dove non vive nessuno” e “Eugenio”; nel 2004, “Le due anime” che comprende “Vuoti come armadi” e “Stigmate”; nel 2006 “Male d’amare”, con le bellissime “Siamo storie dentro le canzoni” “Le lacrime salgono” e “Il sarto di Barcellona”.
Veniamo ai referenti musicali e letterari. È, questa, una sezione che generalmente gli artisti recensiti detestano, ma purtuttavia necessaria, a mio avviso, a fornire delle coordinate a coloro che non conoscono l’artista o si approcciano per la prima volta al suo universo musicale. Dunque, il primo nome che mi viene incontro è quello di Roberto Vecchioni. Lo stesso Nascimbeni ha sempre confessato la stima e l’amore che lo legano al grande collega fin dai tempi del Liceo quando Enrico era studente e Vecchioni professore. Poi, tutto il cantautorato italiano storico degli anni Settanta, Ottanta. Dal punto di vista letterario, appare evidente che le matrici di Nascimbeni siano rintracciabili nella letteratura italiana del Novecento con un faro illuminante che è Montale, al quale ha dedicato anche la splendida canzone “Eugenio”.
Nel 2008 pubblica “Uomini sbagliati”, a mio avviso il suo opus magnum, per spessore musicale, equilibrio fra testi e musiche, compattezza.
Il primo brano è dedicato a “Modigliani” e ci fa subito entrare nelle atmosfere dell’album, rarefatte, vagamente jazz, come sospese in una non-dimensione spazio temporale. Infatti i personaggi che popolano l’album sono anonimi e discreti ma anche grandi geni dell’arte o della letteratura che dialogano insieme, quasi inseguendo il sogno di Nascimbeni, che è poi quello di tutti noi, della Biblioteca di Babele di Borges, ossia una apparentemente infinita biblioteca della quale a costo di complicati calcoli combinatori si possa venire a capo.
In “Ricordami”, c’è la rievocazione di una storia terminata che può sopravvivere nel ricordo, solo che questo non vada perso.
“Ho paura” è forse la canzone più disperata dell’album. Nell’accorata richiesta di un abbraccio solidale, c’è tutta la paura per la provvisorietà della nostra condizione umana, non confortata, anzi direi aggravata, dalla mancanza di una fede in una vita ultraterrena. Si coglie in filigrana tutta la lezione della lirica greca, “siamo come le foglie”, da Solone a Teognide, a Mimnermo.
Bellissima “Io sono un bambino”, quasi manifesto di vita per Nascimbeni come per qualsiasi artista, che è tale solo se non perde gli occhi del bambino, cioè quello sguardo innocente, entusiasta, ingenuo, che è scudo di fronte alle brutture e alla malvagità del mondo e alla dissolvenza della vita (e qui torna il pessimismo cosmico già espresso precedentemente).
“L’ultima notte di un vecchio sporcaccione” (che parafrasa il titolo dell’opera “Taccuino di un vecchio sporcaccione” di Charles Bukowsky)” è, insieme a “Ovunque”, il capolavoro dell’album, perché coniuga in prodigiosa sintesi tre mondi paralleli ma densi di poesia e vita vera, ossia quelli dell’autore, di Vecchioni e di Bukowsky. Il testo è di ottimo livello ed esaltato dalle parti recitate e dai bianchi e neri dell’interpretazione di Nascimbeni e Vecchioni. L’impasto delle due voci è bellissimo e il ritratto dell’autore di Post office e Fac totum prodigioso, come quello di Modigliani. Sembra che nei medaglioni, cioè nelle descrizioni degli artisti, Nascimbeni dia il meglio di sé (pensiamo a “Eugenio”, una delle sue più canzoni più ispirate, dedicata a Montale). “Ovunque” ha un teso molto poetico su una musica che valorizza la voce calda, affabile, di Nascinbeni. È la più vecchioniana delle tracce ma forse (anche), per questo, la più bella.
Molto significativa “La canzone più bella del mondo” dal testo di alto valore letterario. Poeticamente ermetica, scruta fra le pieghe della vita dell’autore, nei ricordi, nelle sue esperienze, senza però diventare meramente autobiografica. Ogni cantante insegue la canzone perfetta, la canzone più bella del mondo, e si spera non la trovi mai perché così, inseguendo quella chimera, continuerà a migliorarsi, a vantaggio suo e dei suoi ascoltatori.
In “ Dare un senso a questa neve” si rivolge all’amata, cercando, senza riuscirvi, di confortarla dai rigori dell’inverno e della vita e chiedendo implicitamente perdono per la propria reiterata assenza. La neve è un topos nella narrazione di Nascimbeni e una delle parole civetta nella sua produzione, come “amore” e “canzoni”.
“Non fate pettegolezzi” è dedicata a Cesare Pavese e al suo suicidio (“vattene affanculo vita mia”).” Rimorsi? Rimpianti?” sembra chiedersi l’autore, ma lascia il dubbio irrisolto (“se potessi tornare indietro, non lo so”).
“Mio padre adesso è un aquilone” rievoca la figura di Giulio Nascimbeni, prestigiosa firma del “Corriere della Sera” e fine letterato. Infatti ripercorre i luoghi in cui l’uomo ha vissuto, i libri, gli ultimi istanti prima di spirare e confessa “mi manchi, mamma mia se mi manchi”. Dedicare una canzone al padre è atto coraggioso perché molto facile cadere nel sentimentalismo o peggio nello smielato. Alla meno peggio, si corre il rischio di apparire scontati, banali. Nascimbeni non corre questo rischio. “Dimenticare, non ci penso nemmeno”: l’eredità di affetti che il padre ha lasciato è conforto per i giorni, così come il ricordo vivifica la presenza di lui, comunque ancora forte e sentita.
La figura del padre ricompare anche nel testo successivo, “C’è un cielo sopra il cielo”, nella nostalgica rievocazione di un’infanzia perduta ma stretta forte nel ricordo. Anche questo, un testo molto poetico. “Oltre quel confine” è metafora dei limiti coi quali tutti noi dobbiamo fare i conti nella vita, ossia con le personali Colonne d’Ercole, oltre le quali non sappiamo cosa ci sia. Sappiamo che dobbiamo andare, a volte non sappiamo dove, a volte lo sappiamo, ma non lo sappiamo dire.
“Il lupo della steppa” rende omaggio nel titolo ad un’opera colossale della letteratura mondiale, quella di Herman Hesse. Il lupo, ma soprattutto il suo spauracchio, è un classico letterario usato a piene mani anche nella canzonettistica. Contro la paura del lupo, che esce dal libro con fare minaccioso, il bambino invoca protezione dalle figure care, sintetizzate nel dialogico tu cui si rivolge tutta la canzone.
“Angels”, l’ultima traccia del cd, è dedicata ai genitori dell’autore, come spiega lo stesso Nascimbeni in alcune interviste.
Testi e musica, dicevo, sono perfettamente bilanciati. Nascimbeni ha confidenza con lo spartito, essendo musicista, ma sa anche padroneggiare la lingua italiana. Per questo è molto apprezzato nell’ambiente degli addetti ai lavori e dei colleghi ma con alcuni album ha anche ottenuto discreti successi di vendita. La sua faccia da indiano padano nasconde la dolcezza dei modi ed una timidezza quasi compressa. Stropicciato come il primo Zucchero, un po’ maledetto come il grande Vasco Rossi, Nascimbeni è un personaggio interessante, da conoscere meglio per meglio apprezzarlo. La sua vita rabberciata è come il timbro della sua voce, la sua musica è una nave alla deriva, che non sai dove va, ma intanto va.
GIUGNO 2017
Allah Akbar!
Ennesimo attentato dell’isis. A Barcellona, sulla Rambla, un furgone killer investe un centinaio di persone, parecchi morti. Anche due italiani fra le vittime. I maledetti jiiadisti ormai colpiscono così, con azioni isolate ed estemporanee e non c’è modo di fermarli, di disinnescare questa miccia che si è accesa nel cuore dell’Europa, da est ad ovest, da nord a sud. A Barcellona si tratta di una strage pazzesca, enorme perché i turisti falciati provengono da tante nazionalità diverse, ben 35 nazioni, e dunque il lutto è davvero continentale. 14 morti, in totale. Barcellona, proprio come Nizza, è città a vocazione turistica e sulla Rambla passeggiava il mondo quella sera, mentre i pazzi jiadisti eseguivano la mattanza. Scene raccapriccianti, come sempre i racconti dei sopravvissuti fanno accapponare la pelle, vasto e sentito il cordoglio. L’indignazione diventa un boato che esplode ma che non serve a risolvere la situazione, a pacificare le strade del mondo. I criminali islamici continuano ad attaccare e lo faranno ancora chissà per quanto tempo. Essi portano la loro religione di morte nel nostro avanzato occidente e sembra vogliano per un attimo fare indietreggiare l’Europa, farla regredire verso un passato oscurantista, di violenza barbara e mostruosa, di fanatismo religioso, che per loro è invece presente, forma mentis, condizione di vita. Questi ottusi islamici, Corano in una mano e Kalashnikov nell’altra, per i quali la donna è un oggetto da piegare alle loro voglie, la religione instrumentum regni, la guerra santa, l’obbedienza ad un ideale-cieca, la missione permanente ed effettiva, gli occidentali infedeli da piegare e distruggere, non si fermeranno, nonostante gli sforzi della coalizione internazionale per sgominare l’organizzazione del terrore.
AGOSTO 2017
Note agostane
Maledetti bastardi . Terrore in Spagna, terrore in Finlandia, ormai tutta l’Europa è teatro di attentati e stragi terroristiche, nessuno può dirsi al sicuro, nessuno può salvarsi da azioni di guerra. Nella città di Turku, in Finlandia, un pazzo fanatico nel nome di Allah ha preso a coltellate molti passanti, almeno tre morti e diversi feriti. Il palcoscenico è globale e tutta l’Europa vive nel terrore perché questi cani solitari hanno dalla loro parte proprio il fattore sorpresa, imprevedibilità. Le agenzie di sicurezza fra i vari paesi dovrebbero collaborare più strettamente per prevenire questi fatti, creando un’azione interforce che punti a bloccare i foreign fighters.
Il comizio nella predica. Il parroco di Ostia Don Franco De Donno, già coordinatore della Caritas, lascia l’abito talare e si candida a Sindaco. Non ci sorprende. Vi è una consolidata tradizione in Italia, specie nei paesi di provincia, di preti che fanno politica e, se non si rendono protagonisti di scelte eclatanti come De Donno, ciò è ancor peggio, perché operano nel sommerso appoggiando ora questo ora quell’altro candidato a seconda delle convenienze e ogni domenica comiziano dall’altare durante l’omelia.
Tengo famiglia Ai festival dell’Unità ormai non passano più Guccini ma Ruggeri. Enrico, dopo tanti anni di onrata carriera da outsider (gli si attribuivano da sempre simpatie di centro destra) si è convertito al Pd. Del resto Ruggeri ormai non vende piu dischi, i suoi ultimi tre, quattro lavori sono stati ignorati dal pubblico e addirittura la storica reunion dei Decibel, il suo primo gruppo punk rock, che doveva essere un grande evento musicale, invece è passato sotto silenzio, anche perché il cd nuovo scritto per l’occasione è una fetecchia. Allora ecco che Ruggeri, che in passato ha cantanto perfino alla festa di Fratelli d’Italia, ora entra nel jet set dei cantanti di sinistra insieme agli storici De Gregori Guccini Fossati Ligabue, ecc. Dove non poté la musica poté la politica.
AGOSTO 2017
Tutti al mare
“Un’estate al mare
voglia di remare
fare il bagno al largo
per vedere da lontano gli ombrelloni-oni-oni
Un’estate al mare
stile balneare
con il salvagente
per paura di affogare”
( “Un’estate al mare” – Giuni Russo)
D’estate, il caldo afoso come quello che in questi giorni sta infuocando l’Italia, spinge la gente al mare, e sulle spiagge veniamo a contatto più spesso con lo spettacolo d’arte varia che offre una certa umanità colorata e chiassosa. Noi cerchiamo di tenere il naso attaccato al giornale o alla rivista che stiamo leggendo, ma non c’è niente da fare: la curiosità, che forse d’estate al mare si raddoppia, ci porta a guardare la gente che ci circonda, la nostra soglia di attenzione è bassa e crolla miseramente al tambureggiante vocio e agli schiamazzi dei cafoneschi bagnanti. Così alziamo gli occhi ogni due per tre e non riusciamo a non farci attrarre da quel circo barnum che è il caciarone e maleducato popolo balneare.
Che spettacolo risibile, quelle vecchie che si dipingono come fossero delle bambole o ancora ricorrono al bisturi per allungare contro natura la loro giovinezza: gonfiate come canotti, credono di poter gabellare il loro rancidume sotto una maschera di botox. Ma se anche la pelle a buccia d’arancia, le smagliature e le rughe sono state camuffate dagli interventi chirurgici, nulla può la medicina contro l’ imbecillità, che porterà queste vecchie bambine, intervento dopo intervento, finché lo permetteranno le finanze dei loro fallocefali mariti, a diventare dei mostri di protesi; e gli stessi meschini mariti nel frattempo, stanchi e respinti da tanta posticcia impalcatura, avranno cercato la novità e la freschezza di giovani e scalpitanti pollastrelle. Ma il problema è che ormai è un trionfo del botox. Anche le giovani diciottenni usano farsi regalare dai beoti genitori un seno nuovo o un sedere più rassodato o delle labbra più appariscenti, per il loro compleanno. Mi rendo conto di quanto i dettami della bellezza classica siano oggi superati, come del resto la stessa voga estetica che passa sui media dimostra. I gusti cambiano e le tendenze, specie in fatto di bellezza femminile, mutano. Sì, c’è il soggettivo gusto personale: a chi piace bionda, a chi mora, a chi in carne e mediterranea, a chi filiforme e nordica. A chi piace molto coperta, a chi invece semi nuda. Ma in linea di massima il gusto personale si modella su quello collettivo, si conforma alla moda imperante, anche in maniera impercettibile, inconsapevole. In spiaggia se ne vedono di ogni, ma a dominare è il modello sopra descritto, ossia la donna bambolona rifatta e l’uomo super palestrato e del pari ritoccato. Bisturi e narcisismo, insomma, chirurgia estetica ed esibizionismo, vacua mondanità, esaltazione spinta dell’apparenza. Si potrebbe scrivere un trattato di estetica e sociologia, standosene comodamente sdraiati sul lettino. Se non fosse che a un certo punto la ressa si fa insopportabile e l’arrivo dei giovani tangheri e delle smorfiose fatue che hanno scambiato la battigia per una passerella di moda, rendono l’ambiente per me davvero inospitale e sono costretto a lasciare sdraio e ombrellone e guadagnare più acconci e meno assordanti asili.
AGOSTO 2017